POESIA

POESIA POESIA Un Vangelo rovesciato Josuè Antonio Capo BOOMERANG Rebeilafo, Padova 76 pagine, 4000 lire (marco neirotti) La poesia di Josuè Antonio Capo (che vive a Mestre ed è autore di altre raccolte: Topi padroni. Via del tascapane, Forza esterna; si legge, fra simbolismi e improvvisi impatti con la realtà quotidiana, come una serie di sceneggiature di brevissimi drammi In certi momenti i versi di Boomerang sembrano quasi arroccarsi sulle posizioni dv un Vangelo rovesciato, macerato dal pessimismo, dove il «bussate e vi sarà aperto» si tinge dei colori beffardi della crudeltà: «Mi accolsero strade fulminate / e case sepolte /... / Pestai dappertutto / lamentandomi / e non mi aprirono una porta / Parlai anche al giorno / che non venne mai». Appare cosi frustrato il tentativo di raggiungere qualcosa di cui si ha la necessità e che viene rifiutato (il simbolo della porta ricorre frequente), è deluso lo slancio ad afferrare emozioni che è troppo tardi per provare: «Quando ero in tempo, non giocavo / perché i prati erano marci / o diventavano ghiaccio / Adesso quella terra è abitata e alta / Ma io sono uno che non può più giocare / sopra le case / Sono ( uno sconosciuto che passa». A tratti una venatura di ottimismo allontana quella che nella presentazione èben definita come una «visione da balletto della crudeltà» e lascia coltivare veloci speranze nella contemplazione di una notte bellissima perché «incinta di desideri». Nicola G. De Donno PAESE Capone, Cavallino di Lecce 108 pagine, 3500 lire (antonio motta) Il volume raccoglie settantanove sonetti, pubblicati in parte su riviste, che abbracciano un arco di tempo che va dal 1957 al 1978. I richiami dotti presenti nell'opera, da Belli ai poeti del Novecento, del resto assimilati e sedimentati, non tolgono niente all'originalità e alla singolarità di questo poeta, tant'è l'urgenza e la forza fisica del suo dialetto, legato prepotentemente alla cultura del «paese». Esso è paesaggio «reale e ideale», «fisico e metafisico» (Valli). Senza questo rapporto non si spiega nemmeno la poesia di De Donno, nemmeno il dialetto che del paese è la più immediata, la più elementare, la più sotterranea presenza. Dal di dentro del dialetto è come dire dal di dentro del paese; dall'interno di una realtà che si confronta con altre culture, da pari a pari. E' il paese che dibatte il problema della giustizia sociale, del referendum, del divorzio : Cristusignoreddìu, nu nn'issi sciutu, i nu nn'issi sciutu a dda zzila parata, / ...ca mo la Santachesia s'à ttaccata i a dd'acqùa fatta vinu, e à ribattutu / lumatrimoniu cu echidi de chiautu, / ca mancu la Matonna Ndolurata, / ca mancu la Matonna Cuncepita i potè nzerraja e cchiave cu Ila ota (Le nozze de Cana, p. 67). Ma orse il dato più immediato è la chiara sensazione che il dialetto aperto di De Donno non ha confini, pur essendo riferibile ad un paese reale e ben preciso: Maglie. Questo passaggio dalla condizione del mito nella condizione della ^oria è anche la prova più tangibile della crescita del dialetto. Gianni Custodero PANE Y PEMMEDAURE Schena, Fasano di Puglia 94 pagine, S.i.p. (a. m.) Pane y pemmedaure inaugura la collana «Aggetti» diretta dall'autore stesso e da Lino Angiuli per i tipi dell'editore pugliese Schena. E' da sottolineare che a fondo di questa e altre iniziative culturali vi è anzitutto il bisogno di una maggiore autonomia che si va conquistando la provincia meridionale (penso ancora in, Puglia ai recenti Quaderni del Sud di San Marco in Lamis e alla recentissima collana di poesia diretta da Nicola G. De Donno e Donato Valli per l'editore Capone), ma anche il bisogno di un discorso che parta dalla cultura del «paese» e del territorio. Basterebbero queste ragioni a scagionare il dialetto di Custodero da un gusto provinciale che sotto il pretesto del genuino e dell'autentico nasconde scelte retrive e nostalgiche. La prima conclusione che traggo dalla lettura di Pane y pemme- daure è il senso di una forte «pugliesità» legata a fatti personaggi modi di dire, reinventati dalla memoria dell'autore. In secondo luogo la misura della storia, del raccontare, con l'occhio attento a iniziare sempre da lontano, a smuovere i fatti della cultura del suo popolo, i momenti decisivi della storia del passato: Tanta penziìre / sciochene a' scorine: /...Penziìre, storie y cause / fouscene ioume sopa Tate / come i cavaddoune int'a maire (p. 35). E' questo legante antico col passato e col paese, come ha giustamente sottolineato Mario Trufélli nella premessa, a non far scadere mai il suo dettato nel vezzo del compiacimen to e del folclore. Insomma, quello di Custodero è un dialetto in bilico tra sociale e privato, tra storia e passione. Ma la cosa più importante è che il dialetto non è sentito come lingua esclusiva e privilegiata, non solamente «tempo» della memoria, ma strumento a cui rivolgersi soprattutto nei momenti della verità quotidiana.

Luoghi citati: Lecce, Padova, Puglia, San Marco In Lamis