Teilhard: c'è una coscienza anche nell'evoluzione umana
Teilhard: c'è una coscienza anche nell'evoluzione umana Pubblicati alcuni fondamentali saggi di paleontologia del «gesuita proibito» Teilhard: c'è una coscienza anche nell'evoluzione umana Pierre Teli hard de Chardin L'APPARIZIONE DELL'UOMO Il Saggiatore, Milano 320 pagine, 9000 lire IL padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), quasi non più ricordato per i contributi di paleontologo e antropologo, continua a essere una presenza inquietante nel pensiero contemporaneo sull'evoluzione dell'uomo e il senso dello studiarla. L'apparizione di questo suo libro, una raccolta postuma di saggi pubblicata a Parigi nel 1956 e ora in italiano quasi un quarto di secolo più tardi, suscita ora un'occasione per riguardare all'eredità complessiva che l'opera di Teilhard ha lasciato. n libro raccoglie in ordine cronologico diciassette articoli e saggi che padre Teilhard scrisse tra il 1913 e l'anno della morte, devotamente ordinati sotto il patronato di una schiera di amici I primi scritti non sono che articoli semidivulgativi sui progressi della paleontologia umana e della preistoria, allora discipline agli albori. Sono gli anni intorno alla 1 Guerra Mondiale. Con il saggio sul Sinanthropus — nome dato al gruppo di fossili umani arcaicissimi scoperti negli Anni Venti presso Pechino —un capitolo nuovo inizia nella vita di Teilhard. Egli è invitato a collaborare alle ricerche in. Cina e ha la sua prima grande esperienza di lavoro sul campo, l'occasione di lavorare a contatto diretto con materiali e problemi che avrebbero concorso a plasmare le sue riflessioni successive. «Molte cose inesatte o interpretazioni frettolose si sono insinuate a proposito di questa scoperta, anche in artìcoli firmati da nomi famosi I lettori della Revue des questions scientifiques — egli dice — non saranno dispiaciuti di conoscere, sul problema dell'Uomo di Pechino, alcuni apprezzamenti di prima mano, forniti da un paleontologo ufficialmente assegnato agli scavi di CiuKu-Tien». I due memorabili reportages scientifici dalla Cina, del 1930 e del 1934, sono inclusi nel libro. Da questo momento la notorietà di Teilhard si espande, n libro riflette puntualmente i due volti della traiettoria successiva dello scienziato gesuita: la sua acquistata maturità di studioso, l'ampliarsi dei suoi interessi scientifici a ogni sorta di dati sull'evoluzione fisica e culturale umana; e, in parallelo, la sua emergente preoccupazione con il significato ultimo dell'evoluzione umana quale rivelata dalle scoperte degli Anni Venti e Trenta. Emblematico è «La questione dell'uomo fossile», il lungo saggio del 1943 in cui egli, sessantenne, seppe con-' densare lo stato della paleontologia umana in un giro d'orizzonte mondiale. La seconda metà del libro è interamente occupata dagli scritti degli Anni Cinquanta. E' in questi ultimi scritti che si rivela il Teilhard cui oggi immediatamente pensiamo, l'interprete e il filosofo dell'evoluzione umana. Sono questi gli anni del pensatore senza patria, non più membro intimo della comunità dei «tecnici» perché ritenuto privo di attaccamento per la nuda analisi dei dati, non più dei religiosi perché sentito eretico; uomo tuttavia con sempre più largo seguito di estimatori nell'autentica élite del pensiero scientifico del tempo. Teilhard si riconobbe impressionato dal «fenomeno umano», «questa enorme neoformazione bruscamente e còsi di recente germogliata sulla Biosfera». Ne «Lo structure phylétìque du groupe humain», del 1951, egli annuncia senza misteri le sue insorgenti attenzioni: «Per vivere, diventa per noi sempre più necessario capire l'Uomo. Ora, che cosa significa capire, in termini di scienza moderna, se non integrare nell'evolutivo cosmico?». Teilhard rilegge con profonda coscienza religiosa la teoria dell'evoluzione organica ormai diventata, in un secolo, conoscenza acquisita. L'Universo forma un tutto coerente, vedervi cesure è solo un nostro artificio di comodo. L'Uomo, per quanto straordinario, è uno dei prodotti dell'evoluzione biologica; si tratta se mai di capire la sua straordinarietà. Va operata una saldatura tra il «biologico» e il «culturale», il «non umano» e 1'«umano». Abbiamo motivo di ricercare una esplicazione globale del fenomeno vita e in esso del fenomeno Uomo, che è poi il fenomeno intelligenza-coscienza (la «formazione della Noosfera»). L'unità dell'Universo è inoltre una unità dinamica, e la direzio¬ ne del suo movimento evolutivo è orientata e non cieca. L'evoluzione umana assomiglia in un certo senso (perfino graficamente: si vedano le figure che accompagnano questi scritti) a un bocciolo, la cui fioritura perfetta conciderebbe con il «Punto Omega», «questo vertice dell'Ominizzazione» e «singolarità terminale della specie umana». A esso tende per Teilhard la nostra traiettoria come specie. Sta a noi vederlo e farne buon uso. Nel suo ultimo scritto qui presentato, «Le singolarità della specie umana», Teilhard pronuncia in tutte lettere quel suo modo diremmo «leibniziano» — anche nell'ottimismo! — che i lettori conoscono più compiutamente da «Il fenomeno umano». Come ricorda N. M. Wildiers nella affilata e commossa prefazione — eccellente a distanza di anni —, padre Teilhard «era innanzitutto un investigatore e un ricercatore sempre teso verso orizzonti nuovi, sempre desideroso di addentrarsi di più nel grande mistero del Mondo... A quello scienziato che egli era, perfettamente al corrente dello stato attuale della scienza, si aprivano prospettive rimaste per lo più sconosciute alla maggior parte di noi». n grande e durevole merito di Teilhard è stato non già quello di avere contribuito all'avanzamento di singoli settori o dettagli degli studi/bensì di avere stimolato il pensiero, di essersi fatto nostra «coscienza». Egli obbliga a porre domande a noi stessi ebrea il nostro presente e il nostro futuro come specie. Domanda dietro cui sta poi il significato sociale della paleontologia umana. La riluttanza degli studiosi più tecnicamente validi a porsi questa domanda è grande oggi come allora. Al termine della sua vita, Teilhard ha formulato la domanda lucidamente e vi ha dato una sua risposta. Per quanto la si possa non condividere, la risposta, come il disegno della domanda, somo li perché altri riprenda — in nuovi contesti di pensiero —il discorso. Percorrere questo libro, tradotto con garbo da Ferdinando Ormea e sobriamente prodotto dal Saggiatore come decimo volume delle «Opere di Teilhard de Chardin», vuol dire non solo rive- ' dere come in film l'evoluzione di una scienza dell'uomo hi questo secolo, ma subire il rischio e il fascino di quella domanda, di quel discorso. Francesco Fedele .
Persone citate: Chardin, Ferdinando Ormea, Francesco Fedele
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