Guardò in faccia la propria morte di Luciano Curino

Guardò in faccia la propria morte La scomparsa di Pierre Viansson-Ponté, giornalista e storico Guardò in faccia la propria morte PIERRE Viansson-Ponté è morto a Parigi la notte del 6 maggio alla fine di una lunga malattia particolarmente crudele. Aveva 58 anni Cofondatore e redattore capo de L'Express dal 1953 al 1958, era poi stato vice direttore, editorialista e capo dei servizi politici di Le Monde, autore di numerosi volumi di storia politica contemporanea. Ma il suo ùltimo libro non tratta di storia né di politica. Parla di cancro, di sofferenza, di morte. Changer la mort è il titolo del libro che, scrìtto in collaborazione col cancerologo Leon Schwartzenberg, nel 1977 ha vinto il Prìx Sante. Quattro mesi fa «Cambiamo la morte» è stato pubblicato da Mondadori (pagine 275, lire 5000). Perché ha scrìtto questo libro? Viansson-Ponté risponde nella introduzione: «Perché tutti moriamo. E non solo perché uno su quattro di noi ha avuto o avrà il cancro, e due volte su tre ne morrà, ma anche perché la morte è cambiata, come cambia la vita». La morte è un atto di violenza contro la vita: nel libro il medico e il giornalista ne discutono per far sì che, cambiando il significato della morte, si cambi la qualità della vita. Non è senza emozione che ora si riprende in mano questo libro, scrìtto quando il male già minava l'autore e uscito quando già egli era condannato. «Testimoniare è il mestiere del giornalista» dice VianssonPonté. Lucidamente, aveva fissato, seppure con qualche approssimazione, una scadenza alla prognosi infausta. «Certo, bisogna percorrere la propria strada come se non si dovesse mai morire: altrimenti, potremmo fors? vivere? Non è però una buona ragione per chiudere gli oc¬ chi, turarsi le orecchie e tapparsi la Colpito dal male di cui si era occupato nel suo libro, aveva voluto sapere. Su questo argomento — dire o non dire la verità all'ammalato — ha scrìtto le pagine più appassionate e più importanti «Val più la pena di sapere che subire, di sapere prima di subire». Nel capitolo «La verità non è un gioco», Viansson-Ponté fa sentire la voce del pastore André Dumas: «Mai l'idea della morte è stata tanto familiare quant'è oggi, mai tanti esseri umani hanno saputo in anticipo che stavano per morire, checché si dica o si cerchi di nascondere loro, mai hanno accettato in tale numero e con tanta fermezza di guardare hi faccia la morte». Scrìve che spesso, quasi sempre, si cerca di nascondere la verità all'ammalato, privandolo dei suoi diritti, trattandolo come un bambino o un demente. «La vita ci sarà strappata, ecco tutto; ma i guasti provocati dal rifiuto della verità non sono infinitamente più gravi, più irreparabili, di quelli che forse potrebbero essere prodotti dalla franchezza?». Per sé ha chiesto, pretesò franchezza. Chi può dire come Viansson-Ponté è riuscito a «cambiare» la propria morte mentre si avvicinava? Si conosce la qualità della vita, si sa come sono stati gli ultimi mesi Sette mesi di sofferenze indicibili eppure sereno, ricevendo i molti amici per discutere l'attualità politica, i fatti del giorno, lavorando come aveva sempre fatto, quotidianamente mandando al giornale la sua nota, il famoso «Au fil». Ha mandato a «Le Monde» l'ultimo articolo sabato 5 maggio, poche ore prima di morire- Luciano Curino.

Persone citate: André, Dumas, Leon Schwartzenberg, Mondadori

Luoghi citati: Parigi, Pierre