Jung: perché le idee chiare non servono di Augusto Romano

Jung: perché le idee chiare non servono Un profilo del grande analista, che spiega il suo rifiuto della sistematicità Jung: perché le idee chiare non servono Charles Baudouin L'OPERA DI JUNG Garzanti, Milano 413 pagine, 4000 lire J'UNG «trascina assieme all'idea, per paura di impoverirla, tutto un amalgama di realtà umana, naturale, illogica, prelogica, a cui essa aderisce intimamente», n merito maggiore di questa ricostruzione della psicologia junghiana sta nel mostrare, attraverso l'esposizione degli argomenti in cui essa si articola, la peculiare «impurità» dell'atteggiamento di Jung, la sua assoluta concretezza, il restar dentro, le cose o il tornarvi non appena abbia elaborato un concetto o un principio interpretativo di portata generale. Il lettore razionalista e il lettore ansioso (che spesso coincidono) sono irritati dalla scarsa sistematicità del pensiero junghiano, da quel procedere per cerchi concentrici raccogliendo in un unico plesso materiali apparentemente eterogenei ma che pure stanno bene insieme e si illuminano a vicenda perché tutti evocati dal calore di un interesse centrale: vorrebbero idee chiare e ordinate, vorrebbero illudersi che il mondo sia quale lo si legge nei compendi scolastici. A questo mondo senza spessore Jung si rifiuta: di qui la sua ambiguità, che è invero il tentativo di cogliere almeno alcuni dei cangianti aspetti della realtà; il suo possibilismo, o anche il fatto che i concetti costitutivi della sua psicologia sono sempre concetti in fieri, mai definiti una volta per sempre.' L'assenza di pregiudizi gli permette di dire che, in psicoterapia, bisogna saper inventare il metodo adatto a ciascun caso; il rispetto per la realtà del paziente, per la sua storicità, lo porta ad elaborare la tesi che ogni, nevrosi è una nevrosi attuale («a quale compito essenziale della vita tenta di sottrarsi il malato ad un determinato momento?»); il rifiuto di ogni tecnicismo difensivo gli consente di mettere in gioco nella terapia l'intera personalità dell'analista e di rinverdire il detto di Paracelso per il quale «dove non c'è amore non c'è arte». Coloro che accusano Jung di «misticismo» fraintendono radicalmente il suo pensiero; sono il suo empirismo, il rispettò dei fatti—cui non è estranea quella che Baudouin chiama la sua «solidità contadina»—a impedirgli di accontentarsi di spiegazioni unilaterali e a spingerlo a prestare attenzione a esperienze e immagini — come quelle religiose — che tanta parte hanno nella fenomenologia dell'umano, senza volerle frettolosamente ridurre a qualcosa d'altro (sessualità, bisogno di potere e così via). Parrà allora naturale che tutta la sua ricerca sia caratterizzata da una tensione dialettica, da un costante procedere per coppie di opposti, nei quali continuar mente la realtà — e l'uomo stesso nella sua problematicità —è portata a scindersi. Baudouin — che fu uno psicologo assai fine cui si devono, tra gli altri, bei contributi alla psicologia dell'arte — ha ricostruito con molta attenzione l'itinerario junghiano: cerca di cogliere l'opera nel suo farsi, la inquadra nel clima culturale e psicologico dell'epoca (frequenti sono i riferimenti a Bergson, Nietzsche, Janet, James e soprattutto a Freud), ne documenta gli sviluppi attraverso numerose e pertinenti citazioni, si diffonde intorno ai concetti essenziali per fissarli infine attraverso definizioni spesso molto efficaci. Lo stile è fluido, elegante, affabile, a tratti un po' manierato. Quest'ultimo aspetto indica anche il limite dell'accurato e spesso illuminante lavoro di Baudouin: una certa tendenza ad «annacquare» il pensiero di Jung, a renderlo più conciliante di quanto in realtà non sia, quasi fosse un po' allarmato dalla «confusione» e «dismisura» del personaggio, qualità di cui pure egli stesso sottolinea il valore innovativo. Augusto Romano

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