Allah è il tuo vicino (ma sembra irraggiungibile) di Giorgio Manganelli

Allah è il tuo vicino (ma sembra irraggiungibile) L'esperienza di Ràbi'a, mistica musulmana del decimo secolo alla ricerca dell'ultimo significato ' Allah è il tuo vicino (ma sembra irraggiungibile) Una volta un ricco mercante venne a far visita a Rabi'a. Vedendo che la sua casa stava crollando, le diede mille dirham d'oro e le fece dono di una casa in buono stato. Non vi si era ancora stabilita, che si immerse nella contemplazione di ciò che l'adornava. Allora, restituendo all'istante al mercante i mille dirham, disse: «Temo che il mìo cuore si attacchi a questa casa, e che non mi sia più possibile attendere all'opera della vita eterna. Mio solo desiderio è di dedicarmi al servizio di Dio — esaltato egli sia». Si racconta che Rabi'a era malata. Quando le fu chiesto che cosa l'avesse colpita, rispose: «Questa notte, poco prima dell'aurora, il mio cuore ha desiderato il paradiso. E Dio mi ha colpito con questa prova per indurmi, al timore!». (da «Ideiti di Rabi'a») i DETTI DI RABI'A Adelphi, Milano 102 pagine, 2500 lire «N TEL nome di Dio cle- dicso», la mistica sufi irakena Rabi'a si rivolge a noi, dal secondo secolo dell'Egira, un secolo prima del martirio di Hallag,, che parve chiudere, nel 922, uno dei periodi più affascinanti della storia islamica. Suppongo che per parlare di Rabi'a occorra essete orientalisti, cosa che io non sono; e tuttavia cercherò di parlarne, aiutato da questa accuratissima, intelligente e genialmente annotata edizione di Caterina Valdrè. Alle spalle di Rabi'a sta, naturalmente, il Corano, e il primo formarsi della Tradizione; suppongo sia impertinente e stolto suggerire ai lettori futuri di Rabi'a di leggere il Corano (è uscita in questi giorni la ristampa della traduzione di Bausani, annotata presso Sansoni; e nei Classici delle Religioni dellTJtet c'è la bella traduzione di Martino Mario Moreno); ma mi permetto di buio, perché è un libro non letto, o letto, oso dirlo, assai male. La lettura di Rabi'a ci fa capire che il Corano, il suo Corano, non è quel libro di «selvaggia poesia» che può apparire all'occidentale che lo sfogli, in una vaga ricerca di oriente; ma è, semplicemente, uno dei più straordinari libri in cui si sia mai concentrata l'esperienza che l'uomo ha di sé, del mondo, del destino. Credo che la lettura del Corano come documento poetico, di confusa e cattivante poesia del deserto, sia un segno di miseria occidentale, e un documento in cui l'atteggiamento estetico può servire ad eludere un'esperienza drammatica di sé. Incidental¬ mente, i poeti hanno orrore della poesia, e non è un caso che tutti i grandi poeti dell'ultimo secolo abbiano cercato di rendersi illeggibili, anzi, direi, di essere esteticamente inadoperabili, «brutti». Il Dio di Rabi'a è quello che nel Corano dice all'uomo: «Ti sono più vicino della vena del tuo collo». Rabi'a presenta con chiarezza straordinaria alcuni dei temi essenziali dell'esperienza mistica — non semplicemente teli-. gios&; l'esperienza del discorso solitario, verso un luogo umanamente deserto, dove si raccolgono i significati II colloquio con colui che è «più vicino» della vena dei nostro collo, è il dialogo impossibile, estremo con una nostra verità che, insieme, è noi e altro da noi; è la radicale deposizione dell'io, e insieme una definizione di sé tanto sterminata da includere il Significato, quell'Allah che tra i suoi nomi ha quello del «Vicino»; ora, di questa esperienza estrema noi sappiamo che essa ha tutti i connotati della follia, e che tuttavia è sapienza; che essa è stolta e afasica, e tuttavia comunica attraverso i secoli e scuote le gambe di legno della nostra cultura. Rammento che vi furono dei Sufi che pensarono il mondo come macroantropo — un uomo totale; e chi può contenere, adoperare la propria follisi per capire è appunto il macroantropo, l'essere umano attraversato e abitato dal mondo. - Rabi'a non è semplicemente una mistica, ma una Sufi, cioè una mistica musulmana: e il suo colloquio è total me n-. te e isolatamente con Allah, il vicino irraggiungibile, il Misericordioso tormentante. Non la affascina il paradiso e non ha orrore dell'inferno: dell'uno e dell'altro diffida, come veli che possono disto¬ gliere dall'unico tema, il colloquio con Dio. Di lei si racconta un famoso «esempio», diventato classico nell'Islam sufico. Rabi'a corre per la strada con una torcia in una mano e un secchio colmo d'acqua nell'altra: le chiedono che intenda fare. Risponde: «Sto andando in cielo, per gettare il fuoco nel paradiso, e versare l'acqua nell'inferno: non resterà così né l'uno né l'altro, e apparirà Colui che si cerca». E' indifferente ai miracoli: al santo che cammina sul tappeto steso sull'acqua, ed a se stessa che si prostra sul proprio tappeto librato nell'aria, dice: «Gò che hai fatto tu, lo possono fare anche i pesci, e ciò che ho fatto io, possono farlo anche le mosche. Gò che importa è che raggiungiamo un grado più alto dei due gradi da noi raggiunti». Rabi'a si immerge totalmente nella forza che la governa e le dà senso. A chi le chiede se si sposerà, risponde: «Il matrimonio è necessario per chi ha scelta. Quanto a me, io non ho scelta». Rabi'a tenta quella costrizione assoluta che è definitivamente liberatrice, un totale sciogliersi nel significato. E uno dei suoi detti, forse, meglio di altri illumina questa condizione, per cui l'uomo può pervenire a se stesso solo attraverso l'altro da sé, il Vicino, il Verace: «Un uomo disse a Rabi'a: "Ho commesso molti peccati e molte trasgressioni: ma se mi pento, Dio mi perdonerà?''. Disse: "No. Tu ti pentirai se egli ti perdona"». Giorgio Manganelli

Persone citate: Bausani, Caterina Valdrè, Martino Mario Moreno

Luoghi citati: Milano, Sansoni