Padova, la guerriglia nasce a scuola di Ernesto Gagliano

Padova, la guerriglia nasce a scuola A colloquio con Sabino Acquaviva, sociologo neU'Università «più calda d'Italia» Padova, la guerriglia nasce a scuola Analisi della città di Freda e Ventura dove recentemente sono stati aggrediti dall'ultrasinistra un preside e un professore dell'area comunista -1 giovani ddTAutonomia sono dei poveri, degli emarginati? «Molto meno di prima, c'è un po' di tutto adesso» - U passaggio dalla contestazione alla clandestinità - C'è qualche insegnante qui che teorizza la lotta armata? «Posso solo dirle che in questa Facoltà l'Autonomia ha un certo spazio politico e culturale anche tra i docenti» PADOVA - Piccolo, occhiali e giubbotto, il professor Sabino Acquaviva, cinquantanni, arriva all'Università in bicicletta. La Facoltà di scienze politiche si affaccia sulla via del Santo. L'atrio è tappezzato di manifesti del comitato di agitazione degli studenti: parlano di seminari autogestiti dai «compagni proletari», annunciano un'assemblea sul problema della casa, qua e là spunta l'emblema con falce, martello e fucile. Lì Acquaviva, ordinario di sociologia, trova anche una specie di laboratorio vivente da cui ricava le sue riflessioni: il cammino dell'ideologia che sbocca nella lotta armata, l'evolversi di quel magma inquieto che è l'Autonomia, i ragazzi che scompaiono ingoiati dalla clandestinità. Esperienze che gli sono servite per costruire il suo libro «Guerriglia e guerra rivoluzionaria in Italia* (Rizzoli), apparso in questi giorni in vetrina. E' un'analisi delle orìgini, fermenti e sviluppi della violenza politica compiuta con il tono distaccato dell'entomologo che osserva da vi-, cino i suoi reperti senza mai dare giudizi Cautela? Mentalità scientifica? Oppure, sotto sotto, il medico che finisce per appassionarsi alla «malattia creativa»? Sprofondato in una poltrona, unico lusso del suo studio, Acquaviva aspetta le domande guardando ogni tanto l'orologio poiché deve andare al Consiglio di Facoltà. — Professore, dicono che Padova sia una città di dogmi, di verità assolute... «No, non c'è mai un'accettazione totale di schemi monolitici. Anche il cattolicesimo è vissuto in maniera sfumata, benché non sia quasi mai rifiutato*. — Com'è possibile che coesistano qui due violenze di segno opposto, quella di destra, vedi Freda e Ventura, e quella dell'ultraslnistra? «Rovescerò la domanda: com'è possibile che ciò non accada? Padova svolge funzioni che altrove hanno Torino e Milano. C'è come una grande città che comprende Venezia, Marghera, Mestre, Padova, la riviera del Brenta. I compiti sono divisi. Padova è un centro culturale, commerciale e in parte industriale, Marghera è industriale, Venezia burocratica e turistica. In un certo senso Padova è il centro del centro. E poi c'è una zona agricola che in vent'anni è diventata industriale, c'è una crisi dei valori della Chiesa tradizionale, quindi masse di giovani disponibili per altre esperienze. La sinistra storica è debole, incapace di riciclare queste masse. E nello stesso tempo l'amministrazione è di tipo veneziano-asburgico, tendente al risparmio, con un certo senso civico, un bisogno di legalità. Quindi esistono anche delle frange, molto esigue, disposte all'uso della violenza di destra per difendere questa legalità*. — Lei ha scritto che fra «guerriglia rivoluzionaria» e istituzioni c'è una partita a scacchi ancora aperta, la situazione è fluida. Non è in grado di fare previsioni? «Non ho elementi, dovrei essere un futurologo. E anche le previsioni dei futurologi poi si possono rivelare sbagliate*. — Trattando di violenza, lei non dà giudizi, è come uno scienziato che esamina un fenomeno in laboratorio. «Non penso che questo sia il mio compito. Giudizi morali ne sono stati dati tanti. Un giudizio su questo momento esprime un'opinione che viene utilizzata a fini di parte. Poi penso che il sociologo, anzi lo studioso di scienze umane, debba pensare e propone anche il futuro. Se esprime giudizi si unisce a una parte che sta nell'oggi e quindi i suoi pensieri vengono squalificati». ■— L'Università di Padova è considerata tra le più «calde». E' possibile viverci dentro restando solo osservatori? «£' l'Unica maniera di viverci dentro. Se no, uno si limita a insegnarti, non può viverti*. — Tempo fa aveva tentato un dialogo con l'Autonomia e con gli elementi underground. Che ne è stato? «Il mio obiettivo era un dialogo tra due progetti di cambiamento della Facoltà e della didattica, quello dei professori e quello degli studenti dell'underground e dell'Autonomia. Questa era l'utopia. La realtà invece è che mi sono trovato un progetto rivoluzionario degli studenti e l'inesistenza di progetti dei professori. Quindi la mediazione è stata impossibile... Avrei dovuto mediare fra il nulla e un piano di distruzione della Facoltà*. — I giovani dell'Autonomia, lei ha notato, da qualche tempo sono diversi In che modo? «Ce stato un cambiamento di generazione. Sono più giovani, nelle assemblee li si vede più colorati nell'abbigliamento. Più vivaci, più moderni... Si vestono meglio, il che mi fa pensare che si sia un po' dilatato lo spazio del reclutamento*. — Sono dei poveri, degli emarginati? «Molto meno di prima, c'è un po' di tutto adesso*. j^S. « — Ha assistito alla genesi del «guerrigliero», al passaggio dalla contestazione alla clandestinità? «Vivendo in Facoltà, e non insegnando soltanto, ci si rende conto di ciò che accade nell'animo di questa gente... Prima qualcuno può essere indiziato per azioni violente, comincia ad avere problemi con la magistratura, poi scompare. Sono dei volti che non si rivedono più*. — Nel suo libro parla, con immagine da naturalista, di acqua in cui può navigare il «pesce della guerriglia». Qui a Padova ce n'è? «Abbastanza. Tra gli studenti, gli emarginati, carcerati o ex camerati (quelli che loro chiamano proletari detenuti) e in alcune frange, non molto vaste, di classe operaia*. . _ Il «sacro» è stato uno dei suoi argomenti di studio in passato. Ha scritto, quasi vent'anni fa. «L'eclisse del sacro nella società industriale». Nell'attuale violenza ne scorge qualche segno? «Senz'altro. Io ho fatto un articolo intitolato: "Sparare, atto sacrificale", questo mi pare spieghi come la penso. Cioè spiega che. secondo me, c'è una dimensione religiosa anche nella lotta armata*. — A Padova sono stati aggrediti di recente il prof. Guido Petter, ordinario di psicologia deÙ'età evolutiva presso il Magistero, e Oddone Longo, preside della Facoltà di lettere. Entrambi dell'area comunista. Lei è mai stato minacciato o aggredito? «No, mai. E non vedo perché dovrebbe accadere*. Non crede che terrorismo e ' guerriglia possano essere un'onda generazionale, e magari poi altri valori, altri metodi di lotta subentreranno? «Non so. Non ho elementi per giudicare. Quelli che fanno previsioni esprimono le loro speranze*. — Dopo il «caso Moro» la situazione delle Brigate rosse è peggiorata? «Il "caso Moro" ha messo in moto i mezzi di informazione che hanno diffuso panico nelle istituzioni. Queste si sono organizzate per difendersi ». — Dove avviene l'arruolamento delle Br e del Movimento armato? «Per le Br non c'è un luogo ideale, il reclutamento avviene faccia a faccia. Per il Movimento armato invece gli spazi ideali sono quelli che ho detto: scuole, università, emarginati, carceri, e dov'è possibile ambiente operaio e sindacato». — I mass-media, lei sostiene, si sono lasciati utilizzare dal terrorismo. Che cosa avrebbero dovuto fare? «Questo non lo chieda a me. Posso solo dirle che hanno fatto molta pubblicità alla guerriglia, il che si è tradotto da un lato in propaganda della stessa, dall'al¬ tro, comeaiamodetto, in Una mobilitazione delle istituzioni e una loro lotta più efficace». — E se il terrorismo vincesse che società nascerebbe? «Il terrorismo non può mai vincere. Può vincere la guerriglia o la guerra rivoluzionaria Il terrorismo crea soltanto il di ma di pre-guerriglia». , - Adesso io che fase siamo^ «Pre-guerriglia o quasi guer. riglia». — Nelle azioni di questi gruppi armati non c'è quasi mai uno spunto anticlericale. «Non sono anticlericali perche uno dei filoni del terrorismo è radicato nel cattolicesimo di contestazione e poi, forse, perché appunto c'è l'anima religiosa della guerriglia, di cui abbiamo detto. Si tratta di una religiosità in chiave psicologica». — Una volta lei ha descritto Pado/a come indifferente, quasi annoiata, tra attentati e aggressionl «La città è indifferente. Non è coinvolta né psicologicamente, né politicamente, né economicamente, né culturalmente. Quindi resta indifferente. E' come dire che le bastonate le sente solo chi le prende». — Non pensa che la società possa fare qualcosa per assorbire questi colpi? «L'unica cosa è tentare di demolire il sistema dell'ingiustizia e dell'inefficienza, il che è quasi impossibile. In caso contrario è abbastanza plausibile che ci sia qualcuno che tenti di demolirlo con la forza». Toni Negri, docente di dottrina dello Stato in questa Facoltà ha scritto tra l'altro in un suo libro «...Risento il valore della comunità operaia e proletaria tutte le volte che mi calo il passamontagna». C'è qui qualche professore che teorizza la lotta armata? «Posso solo dirle che in questa Facoltà l'Autonomia ha un certo spazio politico e culturale anche tra i docenti». Usciamo, Padova ci avvolge in un'atmosfera dolce e cordiale. Negozi eleganti, gente indaffarata, ragazzi che sciamano in motorino. I sussulti degli attentati, le aggressioni i lampi delle molotov sembrano appartenere a un'anima notturna. Ernesto Gagliano Ut *»» m I Un'immagine dello sceneggiato tv tratto da Occidente di Camon