Proust ritrovato

Proust ritrovato La Recherche in una nuova edizione integrale Proust ritrovato Marcel Proust ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO La strada di Swann All'ombra delle fanciulle In flore I Guermantes Sodoma e Gomorra La prigioniera La fuggitiva II tempo ritrovato Einaudi, Torino 7 volumi, lire 50.000 Da quando per la prima volta il nostro pubblico ha potuto leggere la traduzione del grande romanzo^ di Proust, Alla ricerca del tempo perduto, è passato qualcosa più d'una generazione. Prima lo conoscevano i raffinati, i pazienti e i fortunati. Ricordo, nel 1946, le mie complicità con un antiquario torinese che in pochi mesi riuscì, volume per volume, a procurarmi il testo nell'edizione della Nouvelle Revue Francaise. E' difficile ora pensare che quelle amatissime pagine, le pagine di base della sensibilità moderna senza le quali -non si è al mondo* (come diceva Schopenhauer di Kant) fossero ben lontane dall'essere filologicamente perfette e dovessero subire poi correzioni, tagli e aggiunte in gran parte provenienti dai Textes retrouvés di Philip Kolb. Ecco infatti che l'edizione della Ricerca che pubblica ora in sette volumi Einaudi, si può quasi considerare una nuova edizione rispetto a quella uscita nei «Supercoralli- fra il '43 e il '51. L'ha curata Mariolina Bongiovanni Berti ni, una giovane studiosa torinese che sta tenendo un seminario su Proust. Ne ha tradotto alcune fondamentali «appendici» che non comparivano nella versione ufficiale e ha scritto, per ogni volume, premesse e note intelligenti L'edizione corretta della Plèiade, uscita nel 54, a cura di P. Clarac e A. Ferré, ha aggiunto al testo, a lato, o ha testimoniato nelle note certe parti che erano state espunte dal romanzo in quel tempo frenetico e drammatico in cui Proust lottava contro la morte con l'angoscia di non riuscire a finire la sua «cattedrale». Ritrovarle ora, e veder cadute per strada certe pagine che comunque erano interessanti se non memorabili (ma tutto in Proust è memorabile) ci fa riconsiderare come questo monumento sia forse destinato a essere a lungo allo stato fluido o magmatico, seppure quella sua continuità difficile da proiettare in un ne varietur non finisca per essere una delle sue connotazioni essenziali o uno dei suoi fascini. Le bozze di Proust, si sa, (ce lo ha raccontato il Feuillerat) proliferavano all'infinito, diventavano stelle filanti aggiunte al testo o s'infeltrivano in sovrapposizioni di paperoles incollate. L'immagine tradizionale di Proust è stata dunque quella dello scrittore «che aggiunge», che non sa rinunziare. E' invece molto interessante (come io è stata anni fa la pubblicazione parallela di Fermo e Lucia, de Gli sposi promessi e del promessi sposi) vedere quanto e perché Proust abbia sacrificato tante situazioni e figure che comparivano nella prima versione pubblicata. Ad esempio la figura-chiave della cameriera della baronessa Putbus, un'ambigua bellezza che Saint-Loup paragona a un Giorgione e che andrà ad arricchire il personaggio di Albertine; o un uomo butterato, di orrendo aspetto ma munito di una buffa lorgnette, di cui s'innamora Charlus nelle pagine di Sodoma e Gomorra, e che nella versione ultima passa nelle pagine come una labile presenza. La psicanalisi, che con tanti suoi illustri rappresentanti si è già occupata di Proust, potrà di nuovo esercitarsi in ipotesi e scoperte a proposito di queste soppressioni, prima fra tutte quella del fratellino Robert che ha a lungo occupato la fantasia di Proust e che con tutta evidenza, deve la sua quasi totale scomparsa alla gelosia non risolta che Marcel aveva provato (come ha sottolineato il Painter) nei suoi confronti perché gli «rubava» l'affetto della madre. • Questa nuova versione, dice un'utile lettera fuori testo dell'editore, serve proprio a questo, ad aiutare il lettore a scendere più in profondità sotto la superficie apparentemente placata di un testo che in realtà nasconde dubbi, caverne ed esitazioni: La prefazione di Giovanni Macchia indaga soprattutto sul rapporto geniale e aggressivo che Proust ha intrattenuto con la sua malattia o meglio con l'idea stessa della malattia: il perno del ricco e sensibile discorso di Macchia è costituito da un titolo pascaliano, •Pour le bon usage des maladies». La malattia: evento negativo ma da non esorcizzare in modo banale e pragmatico perché l'interno di uno stato di sofferenza fisica o psichica può essere un «templum», una zona sacra dalla cui difficile dinamica compensativa può scaturire molta luce. Questa «Allegoria del diluvio» tocca altri punti di essenziale e suggestivo interesse come quello della memoria e dell'oblio, tema canonico che qui s'arricchisce con un'indagine sui rapporti fra il romanziere e certi medici e psicologi del tempo, sotto l'irradiazione indiretta e in parte retrospettiva di Freud il cui nome, dice Macchia, dalla penna di Proust non è mai uscito. Altri temi canonici sono lasciati in disparte (lo stile, la pittura, la musica, la gelosia), ed era inevitabile per l'economia di un discorso tanto approfondito nella sua scelta di ottica, di direzione, che però, denso com'è di rimandi interni e di echi, fa pensare a quegli specchi curvi posti da certi pittori fiamminghi in un angolo del quadro, con la funzione di condensare in una diversa prospettiva tutti i particolari di un interno. Le quarantatre pagine di questo profondo colloquio di Macchia con Proust faranno ormai parte, per noi, del testo stesso della Recherche. Maria Luisa Spazlani

Luoghi citati: Fermo, Torino