La guerra uccide anche la verità

La guerra uccide anche la verità Requisitoria di Knightley contro rmiiipolazioni e censure La guerra uccide anche la verità Philip Knightley IL DIO DELLA GUERRA Garzanti, Milano 509 pagine, 15.000 lire «q: tUANDO scoppia la I guerra, la prima vittima è la verità.», dichiarò nel 1917 uno dei più tenaci oppositori isolazionisti dell'intervento americano nella Prima Guerra Mondiale; Knightley ha ripreso quella frase lapidaria, ne ha tratto il titolo originale del suo libro («The First Casualty », rispetto al quale il titolo italiano è infelice e sema alcun nesso con il contenuto dell'opera) e anche forse quel vigoroso impegno morale, quell'intransigente attenzione per la verità dei fatti e delle situazioni troppo spesso tradita dagli operatori giornalistici che avrebbero dovuto illustrarla. L'analisi condotta da Knightley sulla base di questi presupposti è una requisitoria asciutta, puntuale e documentatissima del giornalismo di guerra, dalla Crimea al Vietnam; in essa trova espressione la nobile e antica tradizione del pacifismo anglosassone, senza punte di moralismo, ma anche senza concessioni nei confronti di tutti coloro (e, stando a Knightley, sono stati veramente tanti) che in nome dell'interesse personale e delle ragioni del potere hanno fatto tacere il potere della ragione, hanno rinunciato all'analisi spregiudicata dei fatti occultando ai destinatari del messaggio giornalistico gli orrori della guerra,, l'irresponsabilità dei generali e degli ufficiali il cinismo e la cecità degli operatori politici La requisitoria di Knightley tuttavia non è diretta primariamente contro i reporters di guerra in quanto tali E' la guerra stessa a trovarsi sul banco degli imputati per quell'immane meccanismo di manipolazione é per il potenziale di illibertà che essa comporta: la propaganda e la censura, la repressione del dissenso all'interno dei paesi belligeranti e la distribuzione, sempre iniqua e pretestuosa, dei meriti della vittoria e dei demeriti della sconfitta. Il senso della storia sottrae Knightley alla facile tentazione del giudizio sommario e lo porta anzi a calarsi entro il difficile ruolo del reporter di guerra, inevitabilmente esposto ài condizionamenti del potere politico, alla diffidenza o all'aperta ostilità dei generali alla perentoria necessità di vincere la concorrenza degli altri giornali (durante la guerra civile americana Joseph Howard del «New York Times» arrivò al punto di trasmettere per telegrafo la genealogia di Gesù per impedire ai rivali di adoperare la linea), alla barriera della censura (durante la Prima Guerra Mondiale Lord Kitchener, almeno fino al 1917, consentì ai reporters inglesi di descrivere poco più delle condizioni atmosferiche in cui avvenivano le battaglie sul fronte francese), alle suggestioni della propaganda (H. G. Wells, oltre ad inventare la bella formula della «guerra che porrà fine alla guerra» confezionò anche espressioni ad effetto come la «Germania di Frankenstein» e «l'inferiorità intellettuale dei tedeschi»). Non c'è ragione di meravigliarsi che in queste condizioni il reporter di guerra dovesse anche lottare contro i propri limiti: Stephen Crane, per esempio, venne assunto dal New York Journal il giornale di William R. Hearst, per descrivere la guerra ispanoamericana del 1898, per le descrizioni di battaglie del tutto inventate nel suo romanzo sulla guerra civile americana II segno rosso del coraggio. Non raramente il reportage di guerra si trasformò in un lucroso affare per esempio nel caso del venticinquenne Wxnston Churchill, con i favolosi diritti d'autore per i suoi articoli sulla guerra anglo-boera e le conferenze a cento sterline per sera, in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Canada Durante il secondo conflitto mondiale, al quale Knightley dedica molte pagine straordinariamente penetranti il rapporto tra la verità e i fatti non fu molto più stretto, tanto dà autorizzare un corrispondente dell'agenzia Reuter a scrivere qualche decennio dopo: «Si prova un senso di umiliazione ripensando a ciò che si è scrìtto durante la guerra. Eravamo un organo di propaganda dei nostri governi. All'inizio i censori ci imposero i loro criteri, ma alla fine ci censuravamo da soli». In un ben diverso contesto internazionale e con un consenso assai più labile nella popolazione civile, la guerra in Vietnam ha conosciuto in misura molto più limitata e indiretta il fenomeno della censura; nondimeno il potere ha mobilitato un apparato propagandistico senza precedenti e la verità della guerra potè emergere graziea coloro che non si allinearono. Una parte di quella storia avrebbe potuto essere raccontata molto prima, una parte venne rivelata per la prima volta all'estero e poi ripresa dai giornali americani; una parte, infine, venne raccontata da corrispondenti che rischiarono la vita e la carriera pur di vedere, pensare e scrivere quanto loro imponeva il senso della verità. Lo sconcerto e la crisi che hanno investito la società è la cultura americane non sa> rebbero spiegabili senza l'inquietudine creata dal coraggio dei corrispondenti che seppero lavorare con scrupolo e indipendenza nel pantano del Vietnam. L'opera di Knightley, con la sua precisione e il suo rigore, rende onore agli assunti che vuole difendere. Nella piacevolezza della scrittura e nella prodigiosa ricchezza dei temi e dei problemi affrontati, essa offre al lettore una preziosa lezione di storia, di mestiere letterario e di etica professionale. Gli possiamo perdonare quel tanto di anglocentrico che talora traspare dalla sua pagina: in fondo anche il giornalismo, soprattutto quello di guerra, è un'invenzione inglese. ' Piero Bairati Soldati sud-vietnamiti leggono la notìzia della vittoria elettorale di Nixon

Luoghi citati: Crimea, Germania, Inghilterra, Milano, New York, Stati Uniti, Vietnam