SOCIETÀ

SOCIETÀ SOCIETÀ Prevenzione non carcere Georg Rusche-Otto Kirchheimer PENA E STRUTTURA SOCIALE il Mulino, Bologna 365 pagine, 8000 lire (g. s. pene vidari) L'impostazione del lavoro e gran parte del volume sono frutto dell'opera di Georg Rusche: solo l'introduzione ed i capitoli finali sono del più noto Kirchheimer, del cui contributo peraltro non pare il primo sia stato pienamente soddisfatto. E' indubbio infatti che il •taglio» storico dato all'esposizione del problema della pena da parte del Rusche (dal Medioevo sino ai suoi giorni) è stato poi dal Kirchheimer disatteso, nell'esame della politica penitenziaria contemporanza. Come fa notare Dario Melassi nella presentazione dell'edizione italiana, «Pena e struttura sociale non mira a raggiungere alcun carattere di completezza, dal punto di vista della ricerca storica; esso tenta essenzialmente di sviluppare le grandi linee di una tesi di fondo : il rapporto tra il fenomeno punitivo (in epoca borghese) e la struttura sociale in cui esso si iscrivo-». Ad essere sinceri, anzi, gli elementi tratti dalle notizie storiche servono più che tutto all'autore per costruire e dimostrare le sue teorie, volte all'esame del presente, e peccano spesso di semplicismo ed apriorismo. Se il libro può lasciare perplessi sul piano storico, può invece interessare molto di più su quello sociologico. Rivolge una costante attenzione al rapporto fra pena e struttura complessiva della società. Cosciente delle ragioni del fallimento della politica penale •liberale» quale si era venuta realizzando nella crisi della Repubblica di Weimar, il volume mette in luce l'obsolescenza del modello carcerario in una società capitalistica evoluta e, fra le diverse strade di politica criwAnale che illustra, sembra alia fine proporre «una politica delle riforme, come struttura portante di un controllo sociale essenzialmente preventivo». Tracurato per decenni anche dalla manualistica specializzata, penalistica o crimine-logica, il lavoro non può non risentire degli anni e del tempo in cui è stato scritto (mezzo secolo fa); ma la varietà degli interessi e degli angoli visuali ne rendono stimolante la lettura anche per la politica criminale dei nostri giorni e del nostro Paese. Antonio Piva LA FABBRICA DI CULTURA La questione dei musei in Italia dal 1945 ad oggi' il Formichiere, Milano, 100 pagine, 63 illustraz., 5000 lire (Piergiorgio dragone) Un titolo cattivante e un sottotitolo stimolante, ma ingannevole, per un volumetto che in realtà non riguarda il complesso e generale problema deUa museogratia, ma queUo più specifico e particolare deUa «filosofia» e del retroterra culturale di un suo singolo operatore, cioè dell'autore. Visto in questa chiave il Ubro può avere un suo motivo di interesse, più consistente di queUo che altrimenti non meriterebbe un testo che si limita più che altro a riportare qualche notizia e dei giudizi su alcune deUe maggiori realizzazioni museali italiane del dopoguerra (ma la Galleria d'Arte Moderna di Torino), che ne è senza dubbio un capitolo fondamentale, non viene neppure nominata), accompagnate dalle riflessioni dell'autore sulle sue personali esperienze nate dalla collaborazione con lo studio Albini-Helg. D'altro canto è Piva stesso a precisare il carattere del suo. Ubro citando in epigrafe Oud: «Non attendetevi da me un quadro immobile di fatti storicamente accertati. Non sono uno storico ma un architetto»; per lasciare intendere subito dopo che egU desidera procedere ad una trattazione quanto più contenuta possibUe. Di qui una breve ricapitolazione dei principali episodi di attività «musicale» di Albini, Helg, Scarpa e pochi altri; una rapida quanto doverosa citazione del Modem Art di New York e del Beaubourg parigino; ed infine l'approdo ai recenti allestimenti di un paio di sale del CasteUo Sforzesco di Mi-' lano di cui Piva è uno dei maggiori responsabili. Si nota l'assenza di utili raffronti con le esperienze dei musei esteri, ma soprattutto sarebbe stato importante che l'evolversi deUe scelte architettoniche nel settore museale venisse messo in relazione con lo svilupparsi di un diverso atteggiamento deUa critica — e in parte anche del pubbUco —nei confronti dell'oggetto-opera d'arte: in questo modo si sarebbe potuto constatare come le soluzioni adottate negU Anni 50 da Albini o Scarpa fossero consone alle concezioni artistiche contemporanee, contribuendo anzi ad un loro avanzamento, e verificare se le soluzioni di oggi siano adeguate alle nuove impostazioni maturate negU ultimi decenni.

Persone citate: Albini, Antonio Piva, Georg Rusche, Piergiorgio Dragone, Piva, Scarpa

Luoghi citati: Bologna, Italia, Milano, New York, Torino, Weimar