Un realismo grottesco frutto del disimpegno

Un realismo grottesco frutto del disimpegno Un realismo grottesco frutto del disimpegno SEMBRA che alla Francia spetti il privilegio dei rilanci letterari. Succede a scadenze fisse e gli Stati Uniti ricevono un'attenzione particolare. Ecco ora che uno scrittore americano alle soglie dei sessanta —è nato nel 1920 — virtualmente sconosciuto, prolifico autore di racconti, romanzi e poesie pubblicati da piccole caseeditrici o da riviste underground soprattutto in California, venga definito appunto in Francia «il nuovo Hemingway»: il gioco è fatto. Lo scrittore si chiama Charles Bukowski, nato in Germania; la famiglia si è trasferita negli Stati Uniti quando egli aveva due anni. Vissuto quasi sempre a Los Angeles ha praticato vari mestieri, è stato in ospedale per disintossicarsi dall'alcool, poi ha fatto l'impiegato delle poste e infine si è; dedicato completamente alla letteratura, il suo interesse principale da. almeno trent'anni. Del personaggio fa parte l'ostentata avversione per gli addetti ai lavori, per gli accademici, per i suoi confratelli — si fa per dire — della beat generation, per quel Burroughs al quale pure viene fatto di avvicinarlo, tutti quanti avendo poi come padre e iniziatore Henry Miller. Sta di fatto che la sin qui modesta fama americana di Bukowski era dovuta precisamente a un gruppo di intellettuali californiani, alcuni dei quali conosco benissimo e mi hanno sempre parlato di lui con la venerazione dovuta a un guru letterario, i quali pur praticando costumi «autre», assumendo atteggiamenti anti-establishment, coltivando la religione dell'avanguardia nella sua singolare versione americana degli ultimi decenni (raffinata e selettiva iniziazione assai più che rottura) insegnano tutti all'università, magari piccola e di provincia. Bukowski ha sempre aspettato con ansia il suo grande momento, che ora gli arriva, di rimbalzo, dall'Europa. Va rammentato, per dovuta correttezza, che qualcuno si era accorto di Bukowski anche in Italia. Nel '75, con il titolo mitigato Storie di ordinaria follia, Feltrinelli aveva pubblicato in edizione ridotta, adesso ristampata e reintegrata, Erections, Ejaculations, Exhibitions and General Tales of Ordinar}' Madness, che il sottoscritto recensì con freddezza, un poco irritato per una scoperta che non gli sembrava tale, e che qualche acuto osservatore come Franco Cordelli segnalò a una più meditata attenzione. Ora arriva la nuova ondata, a cominciare dall'imminente Taccuino di un vecchio sporcaccione (Notes of a Dirty Old Man), patrocinato da Guanda: una raccolta di racconti cui, significativamente, il traduttore Carlo A. Corsi ha premesso una introduzione, come si usa per i classici o per i nuovissimi che vanno «spiegati» (ma Bukowski vorrà essere «spiegato»? Chissà). La California è indubbiamente la chiave di volta della narrativa di -Bukowski; nella California, Los Angeles, città inesistente fatta di infiniti nuclei urbani e intessuta di agghiaccianti tangenziali sulle quali l'automobilista prova le stesse sensazioni di un astronauta, mentre i rari pedoni, salvo che in certe aree, sono poco meno che una razza perversa da distruggere come i pellirosse sulla Frontiera. Il tema della parodia della Frontiera, del resto comune ad altri scrittori californiani come Richard Brautigan — un narratore senza risonanza in Italia — ricorre di frequente nei racconti di Bukowski: una Frontiera che capovolge il mito glorificatore della storiografia americana ed è popolata di cow-boys ottusi e puzzolenti, di giovani pionieri illusi, di donne aggressive, tutti affamati di sesso. Ma la nota dominante di Bukowski investe la realtà quotidiana e contraddittoria della megalopoli Los Angeles vista nelle sue scaglie, nei suoi frammenti. E' un mondo limitato, dalle coordinate sfuggenti (A Sud di nessun Nord, traducendo il titolo di uno dei volumi di racconti di Bukowski) ma estremamente, persino vistosamente concreto al suo interno. Rapinatori dà quattro soldi che ammazzano le vittime senza ragione e che si servono dell'autobus per andare e venire dal luogo del delitto; pugilatori vanitosi e maschilisti ammalati di egotismo e di solitudine; barboni all'ultimo gradino dell'alienazione urbana frutto di un gratuito ma ostinato individualismo; carcerati per modeste trasgressioni, emarginati dentro e fuori della prigione ma solleciti all'adattamento pur di sopravvivere senza integrarsi; poveracci costretti a mestieri balordi o a una banale routine di lavoro; letterati e accademici ciarlatani. In mezzo, Bukowski appare e scompare con> ironici ammiccamenti firmando, per cosi dire, l'episodio con un personaggio maschera, Chinaski, sorta di derisorio buffone, di degradazione grottesca del burlatore cosmico, del trickster dell'umorismo popolare, che si trasforma da ribaldo a poeta itinerante, a piccolo borghese, inganna e! viene ingannato. La narrazione diventa pura tra\scrizione di episodi esemplari, di momenti intercambiabili, sostenuta da un dialogo fortemente idiomatico e scarnificato, da un colloquiale intriso di slang ricavato da una dimensione linguistica corrente in America eppure organizzata ih modo da creare un tessuto straordinariamente compatto, distillazione della banalità, gremito di una perenne oscenità che in effetti costituisce la1 più naturale risposta alla violenza endemica del mondo. L'apparente linearità del linguaggio, la sua coerenza interna, spiegano probabilmente il successo di Bukowski e il fascino, specie per il lettore straniero. Ma si tratta di un astuto lavoro, di derivazione operato su materiali già noti, da Miller in avanti, e analogo a esperimenti non soltanto letterari: pensiamo al dialogo dei tassisti in Taxi Driver. Contiene, poi, un margine estremo di insidiosa ambiguità, codificando in sostanza un rifiuto irrazionale, da discendente estremo ed elementarizzato di Celine o del «pensiero negativo». La solitudine, la sconfitta quotidiana, il realismo grottesco e deformato di Bukowski, sono frutio dei backiash, dei disimpegno, i sociologi alla moda direbbero del riflusso. Nella sua California o nella sua America non rimane più spazio per le illusioni, tanto meno per la rivolta, neppure al livello di strumento verbale. Claudio Gorlièr