In Friuli la lingua romanza conserva la sua piccola isola

In Friuli la lingua romanza conserva la sua piccola isola Continua la nostra inchiesta sulla letteratura regionale: il dialetto friulano In Friuli la lingua romanza conserva la sua piccola isola del fascismo. Pier Paolo Pasolini e la materna Casarsa nelle sue liriche giovanili Con il servizio di Giuliana Morandini sul Friuli la nostra inchiesta sulle letterature regionali giunge alla diciassettesima puntata. I servizi precedenti sono stati dedicati a Trieste e la Venezia Giuli:] (Magris), Emilia e Romagna (Marabini), Sicilia (Pasqualino), Lombardia (Cucchi), Basilicata (Trufelli), Sardegna (Mundula), Veneto e Trentino (Frasson), Roma (Rossetti), Napoli (Orsini), Abruzzo (Minore), Piemonte (Calcagno), Liguria (Astengo), Puglia (Motta), Marche (Luzi), Calabria (La Cava) e Molise (Nicoletta Pietravalle). UDINE — Un disegno della letteratura friulana comporta una definizione preliminare della sua geografia e della sua storia. Nell'ambito delle parlate regionali il friulano ha una sua distinzione e singolarità, trattandosi di un'isola di lingua romanza e sopravvissuta pressoché incorrotta nei tempi, e questo nonostante le continue invasioni e contaminazioni subite. E anzi la caratteristica della letteratura che tale lingua ha costantemente prodotto è un'ossessione a crescere secondo un filo autonomo e a difenderne il senso politico. Il friulano, sistema linguistico relativamente unitario con ricca gamma di varietà dialettali, mantiene una distinzione precisa rispetto alla koiné veneta e anzi l'udinese rivela già qualche cedevolezza rispetto alla purezza originaria. Inoltre i confinidelle parlate (le più corrette risultano le carniche) sono netti, come nei casi delle cesure stabilite dai fiumi Livenza e Tagliamento, con differenti accenti sulle rive «di cà e di là da l'aghe . bell'indagine per l'atlante linguistico etnografico friulano (Alef) la zona comprende la regione Friuli-Venezia Giulia negli attuali confini e isole nei territori di Treviso, di Venezia (il Pordenonense). di Trieste. Salendo dalla pianura udinese ai declivi collinari ai monti della Car- nia si contano circa mezzo milione di parlanti. ' Quanto alle origini di questa lingua, ancora insegnata negli atenei di Padova e di Trieste-Udine nonché ai fanciulli nella «Scuele libare! Furlan», sono nobilissime e risalgono ai patriarcati di Cividale e Aquileia. La "pulitiche,, Per vari secoli la letteratura friulana si esprime con una forte connotazione regionale che resiste a ogni interferenza e che ha un suo modo di produrre una determinata visione del mondo: (chi non ricorda il sistema argomentato dal mugnaio1 Menocchio di fronte al tribunale dell'Inquisizione?). Questa caratteristica illanguidisce a fine '700 quando il Friuli vede finire il Patriarcato (note dolenti recentemente ascoltate da Elio Bartolini) ed è anche coinvolto nel crollo della Serenissima. L'espressione dialettale diventa folclore nei versi facili anche se aggraziati di Piero Zorutti, primo editore dello «Strolic» (almanacco), bozzettista colorito per il suo «estro mat in poesie» (malizia da macchiette) e per il suo sentimentalismo di maniera «senis di afiet e sentiment» (sensi di affetti e sentirne*. M). Una facilità quella di Zort che a partire dai fratelli Mariuzzi di Campoformido ritorna in ogni sagra, nei balli, nelle mascherate, nei filò. L'Ottocento dice il "difficile rapporto tra cultura locale e cultura nazionale. C'è l'elegia della memoria e l'intimità all'ombra di Colloredo del Nievo, e c'è il raccontare tra feste di contadini e veglie nelle stalle di Caterina Percoto. Donna, con sog- gezione manzoniana, ma scontrosa e insoddisfatta quando la si vuol tradurre in bell'italiano. Caterina conduce la sua battaglia di scrittura Che è liberazione sua e della povera gente di cui condivide la sorte: sino agli ultimi scritti consapevolmente dialettali. La Caterina della «donna di Osopo » viene ristampata cent'anni dopo, quando Osoppo e altri luoghi dei suoi racconti sono tornati ad essere nomi di resistenza. Vena patriottica moderata hanno gli scrittori friulano orientali del Risorgimento: Del Torre, Favetti e Comelli. Ma il secolo si divide tra zoruttiani e percotiani e più interessano questi ultimi, come i camici raccoglitori di «flabis» fratelli Gortani, per la loro sensibilità antropologica. Una nota vera vibra nella rèverie del garibaldino Piero Bonini e nelle «malinconiis» del «vecio Corvàt» (Pieri Corvat), poeta del dispetto e del disprezzo. Se lo zoruttismo a lungo distrae impegno alla poesia friulana, questa però, a differenza di altre regioni incili l'involuzione folcloristica risulta inevitabile, riprende vivacità alimentandosi al lavoro dei filologi. Sull'esempio dell'Ascoli si coagula dopo la prima guerra mondiale la «Societat Filologice Furlane» e studiosi-letterati come Bindo Chiurlo, Ugo Pellis, Ercole Carletti pongono le basi per la rinascita. Questa rinascita è insieme un fatto filologico e politico. Con amarezza satirica il Siòr Barbe (Giuseppe DriuImi) colpisce il fascismo: «Bati lis mans a timp, mangia e tasè: je oneste la pulitiche di uè» (Batter le mani a tempo, mangiare e tacere: è questa la politica di oggi). E contro la violenza della dittatura che emargina, i friulani si ritrovano, come nell'antica villota, intorno al «biel cjscjel a Udin» (bel castello di Udine). Il fervore delle iniziative esplora la tradizione e insieme si raccorda alla cultura nazionale che condivide gli stessi sentimenti di opposizione come provano le autorevoli collaborazioni a «La Panàrie», la rivista fondata da Ermacora nel 1924, di Bacchelli, SvevoJ Soffici, Gadda e di molti alitai intellettuali che si ricònoscono nella causa friulana. Il recupero dell'antica voce è parallelo a questa nuova coscienza, e trova corpo nel-; la forza espressiva elementare di Argeo, nello sguardo con cui riosserva la sua terra: «Gran predarìis cujetis, inzuchidis i sot di un soreli \dolz e lizèr» (Vaste praterie quiete, assorte, sotto un sole dolce e lieve). E' l'incanto di un risveglio: «Culi Dimplan? Ce lue mai imaginàt... Chest puest a' mi ricuarde timpè passàz di vitis precedem» (Qui piano d'Arta? Che luogo mai immaginato... Questo posto mi ricorda tempi passati di vite precedenti). Giovanni Lorenzoni, glottologo e poeta, avverte anch'egli la freschezza di epoche passate: «A mi cjante 'na òdule tal cùr» (Mi canta un'allodola nel cuore). E1 Luigi Rodaro segnala le affinità tra catalano e friulano. Un respiro nuovo che non è solo dei poeti, ma ritorna nelle novelle («liendis» «mstoris» «sturiutis») di Dolfo Zorzut, alimentate dalle indagini sul campo inaugurate e sostenute dal Vidossi. ' E' una rinascenza che culmina con la guerra e la resistenza. Mentre i tedeschi a Barcis incendiano i libri del, poeta autodidatta Giuseppe, Malattia della Vallata, mentre nel sangue si scrive una nuova fede e volontà, Pier Paolo Pasolini torna a Casarsa, ai suoi braccianti, riscopre la melodia infinita dell'idioma materno di cui sente profondamente la duplice realtà lirica e antropologica: «O me domel! Jo i nas i ta l'odbur che la ploja / a suspira tai pras / di erba viva... I nas / tal spielì da la roja. i In enei spieli Ciasarsa i coma i pras di rosada l di timp antic a trima» (O me giovinetto! Nasco nell'odore che la pioggia sospira dai prati di erba viva... Nasco nello specchio della roggia. In quello specchio Casarsa, come i prati di rugiada, trema di tempo antico). Metafora piena di tale identità e resistenza, incarnate ancora nella lingua e nel suo dramma, è «I Turcs tal Friul» del maggio 1944. L'«academiuta» e lo «stroligut» segnano questa nuova stagione hi cui il coro politico e l'emozione 'sorgiva del mondo interiore e del paesaggio ritrovano l'intonazione del linguaggio passato. Cosi il Friuli unisce «il suo innocente trepido desiderio di poesia alla Provenza, alla Catalogna, ai Grigioni, alla Rumenia, e a tutte le altre piccole patrie di lingua romanza». Gli stessi affetti di Pier Paolo sono condivisi dà altri compagni. «In tal me còur sovin / Vài dentri I la vierta florida» (Nel mio cuore giovane ho la primavera fiorita) canta Tonuti Spagnol e la stessa impressione di «nuova gioventù» è in Cesare Borlotto: «Clara a montava il sèil i blanda la luna... e ni pareva / na nova vita» (Chiara ascendeva il cielo la bianca luna... e ci sembrava una nuova vita) e nell'argentino concerto evocato da Domenico Naldini «Sent ciampanis di oru a sonpa' l'aria, i a insembràsi cu l'alba» (Cento campane d'oro sono nell'aria a mescolarsi con l'alba). Così sentono intensamente questo risveglio Riccardo Castellani, Siro Angeli, Giso Fior, poeta quest'ul-, timo della lotta del «plui fuarz di prime» (più forte di prima). L'officina cresce . L'intuizione dell'academiuta si fa luce anche in un •alilo gruppo, che fa capo a Don Giuseppe Marchetti, poeta e studioso dell'arte e della grammatica friulana.1 L'immersione nel passato è vagheggiata sia da Marchetti «O ài mandade a spas l'anime mé i tane incone di len» (Ho mandato a spasso l'anima mia in una icona di legno), sia da Novella Cantarutti «J'm'in vai i là-par-entri'aghi' rimiti'» (Cammino lungo acque remote). Questi' letterati attivi anche negli Anni 50, tra i quali Lelo Cjanton.TJino Virgili, e MeriiTJcél, danno vita "a «Risùltive» e «risultive è l'acqua che si nasconde dentro la terra e torna a cantare nel sole dopo un giorno o mill'anni». La stessa acqua a cui Pier Paolo dedica i suoi versi: «Fontana di aga dal me pois i Ano è aga pi fres-cia tal me pais / Fontana di rustie amour (Fontana' d'acqua del mio paese. Non c'è acqua più fresca che nel mio paese. Fontana di rustico amore). E ancora l'acqua nella quale si specchia De Gironcoli: «In font a l'aghe dare I jo drivi i tiei vói» (In fondo all'acqua chiara io cercavo i tuoi occhi). Una comune volontà di far rivivere una linfa sopita. Scriver versi ha per PasoImi l'incanto di portare alla luce gli affreschi nella chiesetta antica del paese. Di questo ritorno, dopo una soggezione di secoli, non solo all'autenticità del tessuto regionale ma a una vena lirica incorrotta s'accorge tra i primi Gianfranco Contini. Il limite dialettale è cosi aperto a un respiro che continua i cantori romanzi e insieme permette di tradurre in friulano Rimbaud, Eliot, Jiménez. E l'immagine di questo Friuli atemporale «Ciasarsa ta chel luzòur di estàt / ch'a; no mòur mai, / blanc è sec coma la dalsina» (Casarsa in quel chiarore di estate che non muore mai, bianco e secco come la calcina) rimane presente nei fondali delle borgate e delle tragedie greche, nelle cornici delle novelle d'Oriente. Oltre a precorrere il rinsanguarsi per varie voci della letteratura nazionale, Pasolini apre un dibattito (più che mai vivo, si pensi a come trascorre nei versi veneti di Andrea Zanzotto e nei recenti assunti critici di Pier Vincenzo Mengaldo) sul momento di articolazione e sviluppo dell'in- tuizione poetica. Queste parole romanze (un friulano appena arcaico è carico d'echi antichi) oltre a esprimere la resistenza di una cultura al potere che la disperde, dicono infatti l'ascoltc dì emozioni profonde, del Lattato primo della poesia. Pieno d'amarezza per la politica culturicida degli anni seguenti Pier Paolo si isola, nelle successive produzioni friulane (come la «suite» e il «romancero») in una lingua angosciosamente individuale. Con «tetro entusiasmo» consuma l'irripetibile stagione poetica e nel '74 riscrive, come una separazione, le «poesie a Casarsa». L'acqua ossessiona un rimpianto: «Fontana di aga di un pais no me... Fontana di amour par nissun» (Fontana d'acqua^ di un paese non mio... Fontana di amore per nessuno). E in questa distanza Pier Paolo non è solo, se ricordiamo ad esempio la tristezza di Siro Angeli a Cesclans «J' sei, dopo tane' àins, I tornàt al gno pais. i Ma ì muore a'son lontans i e plui lontans i vis... Ancja i recuàrz i no son plui chei distès» (Sono, dopo tanti anni, tornato al mìo paese. Ma i morta sono lontani e più lontani i vivi... Anche i ricordi non sono più gli stessi). Ma la linfa di «Risuitive» e la «fontana» di Casarsa, chiare come le acque in valle, non si esauriscono: irrorano le fresche composizioni che si leggono in « Ce fasta ?», nello «Strolic», in «Sot la nape» e negli altri fogli che germogliano numerosi e vitali, nelle antologie che rivelano altre correnti come «Il tesaur» (il tesoro) e «Lo cjarande» (la siepe). L'estensione di questa produzione e il suo livello sono veramente inconsueti rispetto ad altre zone culturali. Se mai si può osservare che negli Anni Sessanta l'ispirazione rispetto alle speranze del dopoguerra si è resa un poco atemporale e che l'alba ladina rischiara oggi paesaggi cristallini, emozioni nostalgiche. Forse il teatro, e penso ad Alviero Negro e Renato Appi, accusa meglio nella fisicità del contrasto una insopprimibile emarginazione. Non mancano tuttavia sofferenze che ravvivano la voce, come nel canto di Mauro Vale per «l'ira delle acque» nel 1966 e nei versi recenti di Alberto Picotti per «la prlonte» (il sovrappiù) del terremoto. Segno.che una cultura riafferma la sua identità e anzi la coglie proprio quando la sente scossa e minacciata. E il lavoro filologico (Gianfranco D'Aronco, Mario Dall'Arco, Andreina Ciceri) continua a sostenere questa ricerca d'identità, ne rafforza proponimenti e risultati. Il disegno rimane aperto a questa officina che cresce. Ma non possiamo prenderne commiato senza dar conto del contributo che gli scrittori friulani danno al panorama nazionale. Ricordiamo Stanis Nievo che ha fatto rivivere il mito di Colloredo; Elio Bartolini e la sua amara storia di Ippolita lungo strade bianche di sole; Alcide PaolinL direttore negli Anni 50 de «La situazione» e poi intenso poeta e narratore di intensità mitteleuropea; Carlo Sgorlon e la sua attenzioneal Kafka allucinato, le sue irruzioni di mistero in un mondo arcaico e contadino; Luigi Bongiorno intento al mondo d'infanzia del «prato dei galli» e Giovanni Pascutto egualmente impegnato nello sciogliere paure ancestrali; Gino B oc cazzi e le sue visioni incise come strati geologici; Davide Turoldo e la sua carica mistica biblica e giovannea; Laura Conti e la sua mUitanza politica e civile; e altri ancora che in vari orizzonti e in diverse scelte non possono non portare nello sguardo i chiarori assorti della propria nascita. Giuliana Morandini La grandiosa Villa Manin a Passariano Pier Paolo Pasolini, Autoritratto (1965)