Il dialetto resiste lassù arroccato in vecchi paesi

Il dialetto resiste lassù arroccato in vecchi paesi Continua la nostra inchiesta sulle letterature regionali: il Molise Il dialetto resiste lassù arroccato in vecchi paesi Il vernacolo spesso varia da Comune a Comune, o da frazione a frazione, e va ad annacquarsi nelle città - Tradizioni, campagna e motivi popolari in alcuni poeti di ieri e di oggi - La ripresa sulle scene di una commedia che racconta ii ritorno a casa di un emigrante - Poesie in lingua slava e filastrocche albanesi La nostra inchiesta sulle letterature regionali è giunta alla sedicesima puntata. Oggi è la volta del Molise. I servizi precedenti sono stati dedicati a Trieste e la Venezia Giulia (Magris), Emilia e Romagna (Marabini), Sicilia (Pasqualino), Lombardia (Cucchi). Basilicata (Trufelll), Sardegna (Mundula), Veneto e Trentino (Frasson), Roma (Rossetti), Napoli (Orsini), Abruzzo (Minore), Piemonte (Calcagno), Liguria (Astengo), Puglia (Motta), Marche (Luzi) e Calabria (La Cava). CAMPOBASSO — Un viaggio oggi nel Molise, sulle tracce del dialetto della regione, sollecita nostalgie, conduce a scoperte. «La strada borbonica era bellissima, lenta come il ritmo del tempo di allora, strada calma e patriarcale che rispettava ogni lembo di terra ed ogni diritto di pastura...» così nel 1932 Lina Pietravalle in uno dei racconti che introdussero il Molise nella nostra letteratura. La strada borbonica c'è ancora ma, simbolicamente, a fianco le corrono arterie modernissime — la Bifernina, la Trignina — che portano al litorale breve, quella striscia struggente e caduca, fiorita di erbe lunghe, segnata nella sabbia dalle zampe degli uccelli di mare. Nei capoluoghi «Guardialfìera ha di fronte un panorama lezioso: il Biferno dopo le furie della scesa si riposa in un greto ampio e pietroso, orlato di orti grassi; più giù un ponte, forse aragonese, con un arco intero e l'altro tronco...» così il romanziere Francesco Jovine nel 1941. Il ponte di Sant'Antonio, romano, però coinvolto nella diga del Liscione, ormai risulta, a seconda dei livelli dell'invaso, più o meno sommerso, quasi in un èrebo. Marcati in contoluce nei profili rudi, il Matese, le Mainarde hanno nomi essi stessi montuosi. Aderente alla campagna solitaria e non triste, arroccato sulle vecchie strutture di paesi semplici, sporadicamente presente nei due capoluoghi Campobasso e Isernia,j il Molise de? dialetto è tutto qui. I molisani residenti sono circa trecentomila. Punteggiano il territorio, salassato dall'emigrazione, impiantì industriali salvo rare eccezioni modesti, vestigia italiche e romane, architetture settecentesche, qualche nuova iniziativa agricola talvolta estranea alle suggestive costruzioni rurali ancora affioranti da un recente passato contadino che| ebbe peso e che langue insostìtuito. Il dialetto esiste in Molise; chi si arrampica fino alla masseria del colono può perfino stentare a capirlo. In città è stretto o annacquato, dipende da chi lo parla e dall'occasione. In famiglia si parla in dialetto, fuori ci si controlla. L'assalto dei mezzi d'informazione pianifica, la lingua deve essere comunicante, il dialetto eventualmente è un feticcio da studio. Nel Molise il dialetto muta da Comune a Comune, da frazione a frazione; l'influsso pugliese, campano, abruzzese, rispettivamente vicino ai confini, si fa sentire; esistono minoranze linguistiche di origine slava e albanese. Se il Molise non fu mai privo di cultura popolare originale, giacché canzoni storie bozzetti nacquero in ogni tempo provocati dall'amore e dal lavoro, non tardò a manifestarsi la cultura popolareggiante composta alla marnerà del popolo da maestri, da medici, da preti che in contatto col popolo sentirono il bisogno di imitarlo nella spontaneità della sua prima voce; magari in caso di feste di famiglia, di celebrazioni civili, per rallegrare gli amici in trattoria, per commentare e - meditare la natura e i luoghi. Un panorama delia letteratura dialettale di ieri e di oggi può offrirsi solo come agenda o taccuino di viaggio, anche perché classificazioni obiettive mancano per il Molise o sonojimitate nell'elencazione 6 superate dal tempo. La poesia dialettale di ieri incoronò il campobassano Giuseppe Altobello (1869 1931), studioso della fauna molisana e medico, il cui nome si lega alla creazione.di Minghe Cunzulette, contadino primitivo nutrito di usanze, di tradizioni, nonché di cavoli e cipolla, di pizza di granone. Quindi Luigi Trofa (1879 - 1929) nel vernacolo di Ferrazzano, borgo sulla collina di Campobasso, appuntò cose fini, gorgoglianti di colori, pubblicate in gran parte postume, con prefazione di Ettore Paratore, sotto il nome di Pampuglie, trucioli. Michele Cima (1884 1932), nativo di Riccia ove da cinque anni gli si dedica un premio di poesia, compose in riccese, con disarmarne semplicità naturale, sonetti intitolati Spine e sciure, spine e fiori. Certamente distante dai suoi contemporanei fu Eugenio Cirese (1884 -.1955) di Fossalto. studioso di tradizioni popolari, raccoglitore appassionato di canti, poeta cui accostarsi con la religione dovuta alla terra. «Ogne core scavata tè na buca, I cunchella de passione. I Ce càschene lucente I lacreme iuorne e notte, I antiche e sempre nove: / na nuvola dell'alma le fa chiove, I ru sole dell'amore, po', l'assuca.»; «Annanze annanze, loche a balle, I — ze vede e nen ze vede — I na cosa ghianca: l nu guagliuncelle. / Na palluccella de vammascia I che se trascina appriesse la prucessione.»; «Z'è sfucata la vària I mo che z'è fatto sera, e murmureia I e porta appriesse nuvole lontane. I Na luce fa ciocia I d'arrete a chi sa ddò, I e n'atra luccecheia I dentre a na massaria. I Lume de cunte mieze a la memoria». Dopo Cirese, la terra bruciata ha cominciato a mettere germogli. Poetano Emilio Spensieri di Vinchiaturo che in Cumme fusse allora eccelle in piccoli affreschi dipinti di parole placide o mordenti; Raffaello D'Andrea che opera in dialetto termolese; Lino Battista, editore-libraio, spirito irridente con le sue Cusarelle campuasciane; Giulio Salvatore Carano di Carovilli, Giuseppe Jovine di Castelmauro, Giovanni Barrea di Riccia, Nina Guerrizio di Campobasso. L'emigrante Per ii teatro in dialetto si è scritto qualcosa tra la fine della prima e l'inizio della seconda guerra mondiale. Intorno al 1925 fu rappresentata la commedia delTisernino Vincenzo Viti E* mmenute Celesctrino, E' venuto Celestino, tre atti sulla vicenda dell'emigrante che torna a casa col sudato peculio di dollari, commedia tornata in scena nel 1945, quindi nel 1977, come appare dalla locandina-programma contenente un'introduzione storico-critica di Angelo Viti, figlio dei- l'autore. «Doveva essere una trilogia» ricorda lo scrittore Franco Ciampitti di Isernia, che col Viti scrisse Gente alla macina (questo atto unico fu messo in scena una volta dalla compagnia di Bella Starace Sainati, che faceva il Grand Guignol). «La seconda parte Hanno scioccate Amatucce, Hanno ferito Amatuccio, non venne però rappresentata». Giacinto Tarra scrisse Ru renata, l'eremita; Giotto De Matteis una mascherata da recitarsi in piazza durante il Carnevale. Quale attenzione si presta oggi all'espressione del Molise? Il cantante campobassano Fred Bongusto ha lanciato col suo ultimo disco una canzone in dialetto, a Campobasso la radio libera TRC ha due ore di trasmissione a braccio per il dialetto locale: a scuola eccezionalmente gli insegnanti scelgono versi in vernacolo adattabili a ricorrenze particolari. Con i programmi Rai, Venanzio Vigliardi segue il canto popolare e ogni manifestazione del dialetto visto come realtà umana, non come struttura culturale; pur amando il passato, Vigliardi cerca il dialetto dove può trovarlo. Giulio Di Jorio, con Giancarlo Pizzi e Stella Barile, sta eseguendo per conto del Comune di Campobasso uno studio sui canti del ciclo della vita umana, dalla ninna nanna alle lamentazioni funebri, studio che prevede trascrizione e registrazione della parte musicale. Con lui parliamo dei canti di questua o «Maitunate» -(termine derivato da «mattinata» o da una contrazione di «mi hai intonato») che si tengono dalla notte del 31 dicembre alla mattina del 1° gennaio a Gambatesa, a Sepino, nelle frazioni di Campobasso. L'espressione dialettale d'augurio fondamentalmente è la stessa, ma varia col variare delle caratteristiche della persona cui è rivolta. Chi riceve la dedica ricambia con donativi di vino, dolciumi. Il Carnevale a Tufara, antichissimo esempio di drammaturgia popolare, inserisce l'attualità. Quest'anno le di¬ verse comitive che piangono ii Carnevale, prima di processarlo e farlo scaraventare dai diavolo giù dalla rupe, hanno accolto nella enumerazione dei malanni d'annata, di cui si fa colpa al Carnevale, anche il tema del petrolio; lo schema formalizzato è veramente minimo e le comitive improvvisano in dialetto. Suonano il «bufù», la fisarmonica e strumenti domestici come la grattugia e la tavola per lavare i panni. Precisando che la Giunta regionale ha presentato al Consiglio un disegno di legge per la protezione linguistica delle culture locali che si esprimono in dialetto, diamo uno sguardo alla situazione dei dialetti slavo-molisano e albanese-molisano. Slavo-molisano Ottimi tentativi di insegnare a scrivere lo slavo-molisano si devono all'insegnante Angelo Genova di San Felice del Molise, paese che con Montemitro e Acquaviva, Collecroce rappresenta quanto ancora sopravvive degli antichi insediamenti slavi, qui costituitisi a ripopolare centri già esistenti, negli anni successivi alla battaglia di Còssovo, del 1389 (fu l'episodio che segnò l'inizio del lungo predominio turco sulla penisola balcanica ed il conseguente progressivo arretramento di forti nuclei cristiani verso la costa dalmata, le isole litoranee, le sponde adriatiche dell'Italia). L idioma e il serbo-croato del tipo «stòkavo-ìkavo» in uso oltre cinque secoli fa in alcune zone interne della Bosnia-Erzegovina. «Quando tornano i figli degli emigrati che non sanno l'italiano, si fanno intendere parlando lo slavo» dice Angelo Genova, che per qualche anno ha promosso un.giornale scritto con la lingua veramente parlata a San Felice, non lo slavo moderno che sarebbe stato necessario tradurre. «Il giornale si prefìggeva di tenere insieme gli emigrati in Sudamerica, in Canada, in Australia, in Belgio, in Germania». Adesso a San Felice c'è solo un giornalino in ciclostile fat¬ to a scuola dagli alunni di buona volontà Rondinelle azzurre. A scuoia i ragazzi recitano poesie e pregano anche in slavo, nello slavo rimasto cosi come arrivò. Sembra che le maggiori opere slave siano scritte con la lingua che ancor oggi si parla a San Felice, Montemitro, Acquaviva. Cognomi slavi del Molise sono Liscia, losca, Blascetta, Berchicci, Iurescia, Clissa. L'albanese-molisano è il linguaggio di Campomarino, Montecilfone, Ururi, Portocannone. Sono il gruppo dei paesi di origine illirica, risalenti alla prima metà del Quattrocento, i cui abitanti parlano un albanese di tipo meridionale. Grazie alla fama del grande condottiero Giorgio Skanderbeg — chiamato in aiuto da Ferdinando I di Borbone contro i francesi e contro i feudatari locali — e soprattutto in forza di un proprio clero cattolico di rito greco capace di tramandare per iscritto le principali notizie storiche, non hanno mai posto agli studiosi speciali problemi di identificazione. Dice l'avvocato Muricchio di Portocannone: «Il servizio militare, l'emigrazione allontanano dal linguaggio albanese-molisano. Gli albanesi venuti qui 500 anni fa avevano un vocabolario ridotto ma puro. Oggi il linguaggio, avendo dovuto accogliere termini dipendenti dal progresso, è abitualmente inframmezzato di parole italiane declinate secondo le regole dell'albanese; ciò che insomma non è albanese viene albanesizzato». Un professore del Magistero superiore di Bari, Luigi Marlekaj, ha controllato per Portocannone duemila parole effettivamente albanesi, quindi, considerata l'epoca, un linguaggio quasi completo: presente la pastorizia, l'agricoltura, il corpo umano e le sue funzioni, manca del tutto ogni riferimento all'artigianato. Si ricordano filastrocche e canti; a Ururi si tiene d'estate un festival della canzone. Un maresciallo dell'Aeronautica in servizio presso la Stazione meteorologica di Termoli scrive poesie albanesi. Nicoletta Pietravalle Una scena del carnevale a Tufara Cerro al Volturno