Superman, l'eroe qualunquista di Ennio Caretto

Superman, l'eroe qualunquista Il personaggio ora sullo schermo mobilita anche sociok Superman, l'eroe qualunquista NEW YORK — Dal giorno in cui il presidente Carter e la sua famiglia vollero assistere alla prima dell'omonimo film a Washington, Superman (in Italia, Nembo Kid) è diventato un fenomeno di costume e perfino l'argomento di una accesa polemica culturale. Il suo successo commerciale è fuori discussione: non solo la pellicola è destinata a battere il primato d'incassi di Guerre stellari, 267 milioni di dollari in due anni: intorno a essa è anche fiorito un complesso d'industrie, editoriale, dell'abbigliamento, dell'arredamento e via di seguito, con un giro d'affari altrettanto sostanzioso. Quello che si dibatte è la validità se non la liceità, è il significato del culto di Superman nella società americana. Da quarant'anni, cioè dalla sua nascita come fumetto, Superman è parte integrante del folclore Usa. Nel personaggio de «L'uomo di acciaio» si sono identificate almeno quattro generazioni di bambini. Egli ha occupato nei sogni infantili un posto analogo a quello dei personaggi di Walt Disney, nati, non a caso, appena dieci anni prima. Dovunque si guardasse, nel paesaggio americano, accanto al pittore Norman Rockwell, al mito di Roosevelt, alla statua della Libertà e al Grand Canyon, c'era Superman. La sua presenza aveva qualcosa di rassicurante, pur non risultando indispensabile. Soltanto nell'ultima guerra è avvenuto qualcosa di simile a ciò che avviene adesso. Superman fu allora al centro di un culto senza precedenti. Al fronte, nelle baracche dei soldati, la sua «fotografia» figurava tra le pin-ups e i crocefissi. Come hanno scritto nel loro saggio 1. fumetti: anatomia di un mass medium gii studiosi Fuchs e Reitberger, Superman rappresentava per i combattenti «quasi un surrogato della religione». Mentre i kamikaze giapponesi si sacrificavano al grido di «Danzai», i marines speravano nell'incolumità e nelle esaltanti imprese dell'aeree di carta» e le copiavano. Finito il conflitto, questa liturgia rientrò. I reduci riportarono in patria voglia di soldi e di serenità. Dedicarono tutte le loro energie alla carriera, e i loro figli, maturati negli Anni Sessanta, dimenticarono Superman nell'impegno per i diritti civili, per la visione ispiratrice dei fratelli Kennedy, per la pace nel Vietnam. Le fortune dell'Uomo d'acciaio e degli altri iperpersonaggi dei fumetti, come Batman e Robin, l'Uomo Ragno, Superdonna, ripresero quota dopo lo scandalo Watergate e la crisi del dollaro. Negli ultimi anni, si percepiva un cambiamento nel loro ruolo sociale. La presentazione del film è caduta fortuitamente nella fase di maggior interesse culturale per i «comics», e di maggiore infatuazione per Superman. Di rado una pellicola è stata circondata da tanta aspettativa. La casa produttrice, la Warner, l'ha alimentata con molta abilità, prima sottolineando la ricerca dell'interprete (qualche nome: Robert Redford, Paul Newman, «Rocky» Stallone, Charles Bronson, Ryan O'Neal) poi insistendo sui costi di produzione (che anche adesso vengono definiti, a scelta, in 35 oppure 50 e addirittura 78 milioni di dollari). E naturalmente, ci sono stati «interessanti» incidenti di percorso, come la querela di Brando, nel film padre di Superman, per avere di più dei 4 milioni di dollari pattuiti. Con l'aspettativa, hanno attecchito tutte le altre iniziative. L'editrice di fumetti che ha i diritti d'autore ed è una filiale della Warner, oltre a splendide raccolte storiche, ha immesso sul mercato otto tascabili, e concesso l'uso del marchio e dell'immagine a 100 prodotti dalle uniformi «volanti» dei bambini ai letti per la coppia moderna. Sono stati riesumati vecchi programmi televisivi, e una serie di film ancora più obsoleti, per le stazioni di provincia. Nelle radio e nelle università s'è incominciato a discutere del fenomeno inatteso. Ogni altra cosa, nel settore svaghi, è passata in second'ordine. La pellicola in sé ha ricevuto, nella maggioranza, critiche almeno parzialmente positive. Aiutata dall'evento mondano costituito dalla prima a Washington, ha spesso raggiunto le prime pagine dei giornali. Il consigliere della Casa Bianca Gerry Rafhsoon ha riassunto una sensazione generale quando ha commentato: «Ci riporta tutti alla nostra in/ansia. Da bambino, mi mettevo un asciugamano sulle spalle e mi buttavo dalla finestra, fortunatamente al pian terreno, per volare come Superman». «La storia è così paradossale, ma l'impiego di messi cosi spettacolare — ha scritto la Washington Post — che non si lascia la sala scontenti». La decisione di girare Superman Z, così, è stata facile. Si sono prestati Io stesso soggettista, lo scrittore Mario Puzo, che ha già vissuto analoga e lucrosa esperienza col Padrino, l'interprete, il ventiseienne Christopher Reeve, e il cattivo di turno, Gene Hackman, uno dei re di Hollywood. La vicenda ha un finale a sopresa: l'«Uomo d'acciaio» rinuncia alla sue qualità soprannaturali, abbraccian- do il più umile nostro destino, per amore di Lois Lane, l'attrice Margot Kidder. Come piace agli americani, la fiaba suggerisce una semplice morale. Da un punto di vista commerciale, s'è detto, tutto ciò è spiegabile. Il pubblico americano ama i sogni e i supereroi, e quando non li ha se li crea, da James Dean a Elvis Presley, incentivato forse dalla loro morte prematura. Esso ama anche le celebrità, e la Warner ne ha cosparso la pellicola con sapienza: oltre gli attori già citati, vi compaiono Susannah York (la madre), Glenn Ford (il secondo padre), la sensuale e comica Valerie Perrine Ga cattiva) e numerosi altri. Ama infine i miracoli della tecnologia e gii affascinanti orrori della scienza, e in quanto a effetti speciali il film è imbattibile, pari, se non superiore, a Guerre stellari, nonostante un certo sapore di parodia. Meno spiegabile invece è la revisione del personaggio, dei fumetti, della mitologia di carta che né scaturita. Con grande sorpresa dei creatori di Superman, Jerry Siegel e Joe Shuster, entrambi di 64 anni, anche romanzieri, sociologi, critici, medici si sono dedicati alla scoperta dei messaggi e della verità in essi contenuti. Trent'anni fa, Siegel e Shu¬ ster commisero l'errore ui vendere i amiti all'editrice. La Warner li ha ripescati disoccupati e ammalati per la prima, regalando loro un vitalizio annuo di 18 milioni a testa. Oggi sono spaesati: «Ci attribuiscono — protestano — cose che non abbiamo mai voluto dire*. I due disegnatori avevano concepito Superman tra la favola e lo scherzo, con schemi molto elementari, la bontà che trionfa contro la malvagità, la giustizia contro l'ingiustizia, con la bellezza esteriore che riflette quella interiore,Jl linguaggio che rispecchia i sentimenti. lì film ha scatenato una polemica che probabilmente ribolliva da tempo. Alcuni hanno «intuito» che nel personaggio dell'«Uomo d'acciaio» si cela l'ideale americano della libertà individuale, della preminenza del singolo sul collettivo, ma in1 un ordine e legalità spontanei: altri che si celano tentazioni totalitarie di tipo fascista. C'è stato chi ha fatto coincidere col successo di Superman il passaggio dalla cultura scritta, libresca, a quella visiva, degli schermi: e chi invece la decadenza dalla introspezione e dalla sintesi, alla evasione e alla deresponsabilizzazione. Alla rivista Time, che ha dedicato al fenomeno ben sei pagine, è sorto il dubbio che «Superman sia il simbolo del Figlio di Dio, del Salvatore, della Resurrezione e della vita». «Non è incredibilmente volgare, non è un triste effetto della sottocultura che ha sepolto quasi la cultura vera?», — si chiede Time. E risponde di no, che c'è molto di positivo. Secondo la rivista, non vi è motivo per cui «questi grandi miti rivelatori non dovrebbero riaffiorare nella cosciensa collettiva nel modo più efficace e drammatico predisposto dalla nostra civiltà». Essa viene immediatamente contraddetta dal New York Times, che nel «boom» di questo personaggio dei fumetti vede da un lato un esempio di manipolazione dell'opinione pubblica attraverso i mass media, dall'altro un sintomo del disimpegno sociale e civile dell'America, lo stesso che ha portato gii elettori a disertare le urne, e ribellarsi alle tasse a costo di sacrificare i servizi, a denunciare qualunquisticamente il potere. Il quotidiano colloca Superman accanto allo Squalo, come operazione di cassetta. Personalmente, abbiamo l'impressione che gli Usa siano attraversati da una specie di Supermania, una moda destinata a scomparire come tante altre: come Vhoola hop, come John Travolta, come i beatniks. Se un discorso serio va fatto, non lo si può accentrare su un film che non resterà certo nella scoria per il suo valore artistico, che è stato diretto e interpretato con ironia, sia pure non sempre riuscita, e che non ha messaggi. La valutazione più esatta, secondo noi, l'ha data Henry Kissinger. Giocando sulla propria, notissima mancanza di modestia, con un sorriso, l'ex segretario di Stato, uscendo dalla proiezione, ha dichiarato: «Ringrazio la Warner per aver fatto un film sulla mia vita». Ennio Caretto

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