Tagliava lo spazio con un'idea

Tagliava lo spazio con un'idea Una mostra di Fontana a Palazzo Reale Tagliava lo spazio con un'idea MILANO — L'esposizione in Palazzo Reale della cospicua donazione Teresita Rasini Fontana al Comune di Milano — 50 pezzi e 32 disegni — per il Museo d'arte contemporanea che avrà sede nello stesso Palazzo, propone una sistemazione museografica che consente una lettura il più possibile completa del grande artista. Essa è integrata da una biblioteca e una fototeca specializzata; da opere della collezione Boschi legata al Comune di Milano dal 1974 e da altre acquisite a suo tempo dal Museo; e da opere in ceramica appartenenti a collezioni private. La decisione presa dada vedova di Fontana in questi ultimi anni, di mettersi a capo lei, sua devota compagna di modeste origini, della complessa operazione di inventario, attribuzione, catalogazione, e culminata con questa importante donazione di opere di sua proprietà, è tra le più encomiabili. Ancora presso di lei è messo a punto l'Archivio Fontana, affiancato dal catalogo completo delle opere, in due volumi, curato da Enrico Crispolti: si può così, ora, positivamente considerare il prezioso patrimonio di Fontana saldamente salvaguardato, dopo il pericoloso dilagare di falsi (pare 200) negli anni immediatamente seguenti alla sua morte, avvenuta nel 1968. Anche se questa mostra non ha (per il numero delle opere) il grande respiro di quelle tenute rispettivamente nello stesse Palazzo Reale di Milano nel 1972 e nella Civica Galleria d'Arte Moderna di Torino nel 1970, il complesso percorso dell'artista ne risulta messo in evidenza con chiarezza. Ad esempio, è ben documentata la sua produzione plastica: la mirabile serie figurativa delle Terrecotte, Gessi e Bronzi colorati (busti e ritratti) degli Anni Trenta, in cui l'impianto strutturale, di tipo arcaico-novecentesco alla Martini, è contraddetto dalla colorazione, negativizzante la ponderaìità, in oro, in rosso, o in nero lucido; e le tavolette graffite astratte, che segnano il breve momento di partecipazione di Fontana al gruppo degli astrattisti italiani, nelle quali la condizione di ordine e di rigore plastico viene superata dal ductus del segno, che si apre già in una grafia libera ed errante. Periodo di ricerche e di sperimentazioni fecondissimo, che segue quello iniziale nello studio del padre scultore e dell'alunnato presso Wildt all'Accademia di Brera, e che a sua volta precede il soggiorno in Argentina dal 1939 al 1946. Dopo il quale, il ritorno a Milano segnerà una svolta fondamentale. Nella numerosa serie delle ceramiche esposte, compresa nel periodo tra il 1938 e il 1956, e da lui per lo più eseguite nell'atelier di Tullio Mazzotti ad Albissola (centro internazionale in quel periodo; basti pensare alle presenze di Jorn e del gruppo Cobra, di Baj e di Matta) la duttilità manuale, il senso di lievitazione interna della materia, resa sfarfallante all'esterno, il colore-luce del rivestimento smaltato, va di pari passo con la ricerca di superare il limite tradizionale della scultura e del quadro, ottenuto introducendo lo spazio nella materia, con i tagli e i buchi dei «Concetti Spaziali» dal '49. La terracotta, nella sua naturalità di materiale povero, precario e primevo, è ancora a protagonista nella splendida serie delle «Nature» espo' ste (1959-60): dove la vitalizzazione spaziale del segno-taglio che penetra, lacera e possiede è portata sulla materiaterra, che reagisce slabbrandosi. Dinamica spaziale, che allorché agita sulle tele monocrome mediante i tagli e i buchi, ne diviene essenzializzazione concettuale; teorizzata da Fontana nel «Manifiesto Bianco» del 1946. In esso egli afferma: «... Le antiche immagini immobili non soddisfano più le esigenze dell'uomo nuovo, formato nella necessità dell'azione, nella convivenza con la meccanica che gli impone un dinamismo costante. L'estetica del movimento organico rimpiazza l'estetica vuota delle forme fisse. Invocando questo mutamento operato nella natura dell'uomo, nei mutamenti psichici e morali, e di tutte le relazioni e le attività umane, abbandoniamo la pratica delle forme d'arte conosciute e abbordiamo lo sviluppo di un 'arte basata sulla unità del tempo e dello spazio. L'arte nuova prende i suoi elementi dalla natura... presentiamo la sostanza, non la marginalità delle cose... La nuova arte richiede la funzione di tutte le energie dell'uomo, nella creazione e nell'interpretazione. L'essere si manifesta integralmente, con la pienezza della sua vitalità». Se nel «Manifiesto Bianco» Fontana si avvicina allo slancio dei futuristi verso la necessità di ristrutturare il linguaggio dell'arte con le nuove possibilità della scienza, non ne condivide l'ottimismo tecno-scientifico e la fiducia nella macchina; allo stesso modo, già negli Anni Trenta, aveva mantenuto un distacco critico dal pragmatismo razionale del Baunaus. Gli «Ambienti Spaziali» nella poetica di Fontana rappresentano la più completa uscita dal limite del quadro e della scultura verso la dimensione dello spazio libero: tra essi ricordiamo i più importanti, come l'ambiente con il¬ luminazione a luce nera alla galleria «Naviglio» di Milano nel 1949, la decorazione spaziale al neon per lo scalone alla IX Triennale di Milano nel 1951, le «Fonti di Energia» nel padiglione di Italia '61 a Torino; esemplificati nella mostra attraverso una esauriente serie di diapositive. Qui l'uso di materiali industriali, come i tubi al neon o la luce di Wood non è diretto verso programmaticità di tipo ottico-visuale o tantomeno cinetica, ma verso una nuova attivazione spaziale coinvolgente lo spettatore a livello di ambiente. Già nel 1936 Edoardo Persico aveva indicato in Fontana quell'unità di arte e vita che ne caratterizzerà tutta l'opera; quel puntare sul processo operativo, sul ridurre l'esperienza estetica al fare immediato, che lo apparenta, nelle tele tra il '50 e il '60, alla gestualità e alle brillantezze materiche delle colature delXactionpainting, o ancora, per cerio polimaterismo denso di bitumi e sabbie quasi esplose sotto la violenza dei tagli, all'indagine esistenziale sulla materia di un Burri. Così la sua grafia, nervosa, gestuale, che si allarga o raddensa in meandri e rabeschi, come nella bellissima serie esposta dei disegni per il concorso della V Porta del Duomo di Milano nel 1952: Fontana ebbe il 1° Premio ex-aequo con Minguzzi; ma il progetto di cui è esposto il bozzetto in gesso con le 12 formelle modellate con una tecnica di tipo informale, non fu eseguito. «L'artista interviene nella società a mantenere viva la ragione di essere uomo» ha scritto Fontana, l'artista che per primo ha spezzato il diaframma invalicabile della superficie, sia pittorica che scultorea, aprendo nuove, inesplorate dimensioni alle correnti artistiche contemporanee. Mirella Bandini La mostra «Lucio Fontana» resterà aperta fino al 31 gennaio. Il catalogo, a cura di Gabriella Drudi, Zeno Birolli e Antonello Negri, è stato pubblicato da Multhipla Edizioni, Milano. E' un volume di 121 pagine con 105 illustrazioni, costa 3500 lire. Signorina seduta di Fontana (1934).