FILOSOFIA

FILOSOFIA FILOSOFIA Il superuomo in tasca Friedrich W. Nietzsche ECCE HOMO Newton Compton, Roma, 127 pagine, 1800 lire Friedrich Nietzsche UMANO, TROPPO UMANO Mondadori, Milano, 2 voli, di compi. 699 pagine, 5000 lire (f. d. a.) «E ora vi ordino di perdermi e di trovarvi, e solo quando voi tutti mi avrete rinnegato, io tornerò in mezzo a voi»: sembra che la nostra obbedienza al comando di Nietzsche sia stata pronta e precisa, come lucida e consapevole è stata la sua previsione. Con queste parole si conclude il Prologo di Ecce homo, opera doppiamente «postuma»: per un motivo biografico-editoriale (servita durante la sua permanenza catastrofica a Torino, ne fu differita la pubblicazione al 1908, otto anni dopo la morte del filosofo): e perché Nietzsche in essa rifletteva sulla sua opera passata dal punto di vista della posterità. Dalla Nascita della tragedia a II caso Wagner, appare tutto il complicato percorso dell'attività niciana, i motivi nascosti e le «interpretazioni» autentiche dei suoi scritti: e insieme appare una figura di filor^fo che è la realtà di Nietzsche e la sua norma: ciò che era e ciò che voleva essere. In Ecce homo —così spiega Aldo Venturelli nell'introduzione — l'immagine che Nietzsche presenta di se stesso può far comprordere cosa significa quel «superamento della morale» che appare compiuto in Zarathustra. La regola (paradossalmente) che sta alla base dell'«immoralità» è la negazione del risentimento: il rifiuto di interpretare la vita in termini di «disgrazia» o di «colpa», la rinuncia a qualsiasi «volontà di vendetta». Questa è propriamente l'etica del lavoro filosofico, etica anticristiana: «La filosofia — scrive Nietzsche — così come io l*ho intesa e vissuta fino ad oggi, è vita solitaria fra i ghiacci e le alture». Questa «freddezza» volontaria, la rinuncia «fra le alture» a ciò che è umano, le ritroviamo formulate per la prima volta in Umano, troppo umano che apre il «secondo periodo» del pensiero niciano, ossia l'epoca in cui, abbandonate le teorie di Wagner e Schopenhauer, che avevano influenzato in modo decisivo la Nascita della tragedia. Nietzsche comincia ad esporre il suo pensiero originale. Se nella Nascita l'arte, la metafisica, l'antica religione dei greci erano gli stumentipiù efficaci per penetrare all'interno dei fenomeni e comunicare con l'unica verità che li produce, qui dominano invece la critica, il sospetto metodico, la scienza. Mario Rossi Mo ti PSICHIATRIA E FENOMENOLOGIA Loescher, Torino 267 pagine, 4100 lire (augusto romano) In questa antologia ragionata, che appare compilata con cura, competenza e molto equilibrio, Rossi Monti raccoglie testi caratteristici dei filosofi ad orientamento fenomenologico od esistenziale e degli psichiatri che a quelli si sono ispirati (Dilthey, Husserl, Heidegger, Jaspers, Sartre, Binswanger. Minkowski, Laing, per citarne alcuni). Nella introduzione generale il curatore ripercorre in modo sintetico ma accurato le tappe essenziali della storia della psichiatria, dalla ottocentesca «mitologia del cervello», ispirata positivisticamente ad un atteggiamento rigidamente organicistico, alla crisi del metodo naturalistico (causale-riduttivo) ed alla applicazione della distinzione diltheyana tra scienze della natura e scienze dello spirito. Nella impostazione fenomenologica, che si oppone all'atomismo delia scienza tradizionale, il «malato» è considerato come una totalità significativa e non come una somma di funzioni; di lui viene studiata l'esperienza vissuta, cioè le modalità soggettive con cui i fatti vengono esperiti, e perciò il rapporto Io-mondo e le diverse forme in cui tale rapporto può strutturarsi. Scopo dell'antropoanalisi è mostrare, svelare uno stato, non giudicare: questo spiega sia il suo interesse relativamente secondario per la terapia, sia la sostanziale indifferenza al problema della distinzione tra normalità e follia. Non appartiene però a questo indirizzo la ambigua esaltazione — oggi di moda in una chiave pseudo-politica — della follia; Il folle, anche quando rende «oggettivamente» testimonianza a un modo di esistenza alternativo, resta pur sempre prigioniero di un mondo che non ha scelto, nel quale si trova costretto a vivere. Alfonso Ingegno COSMOLOGIA E FILOSOFIA NEL PENSIERO DI GIORDANO BRUNO La Nuova Italia, Firenze, 287 pagine, 8000 lire (alberto c. ambesi) L'attesa di una nuova e più giusta lex è fenomeno ricorrente, nella storia dell'Uomo. Attesa per lo più vanificata dal flusso e riflusso delle ideologie. Cosi accadde sul finire del Cinquecento, quando Giordano Bruno, guardando ad alcuni, coevi fenomeni celesti e ispirato dalla rivoluzione copernicana, potè intimamente credere che lo attendesse il compito di farsi plasmatore di un'età transcristiana, attingente alla non mai sopita tradizione ermetico-egiziana. Sappiamo oggi ch'egli errò nell'ergersì ad antitetico profeta, nei confronti del Cristo. Ma è altrettanto indubbio che alla sua figura hanno guardato più e più volle letterati e filosofi storici della scienza, e delle religioni, occultisti ed esoteristi, ognuno cercando d'interpretarne i tratti, la filosofia, secondo quanto conveniva alla propria lesi, ma talvolta distorcendo il vero. Nell'interregno della limpida erudizione si muove invece l'autore di questo volume, ben soppesando i vari aspetti della dottrina di Bruno e. con penetrante giudizio, per quanto non privo di parzialità. Som, pertanto esemplari le pagine in cui A. Ingegno sottolinea le difformità esistenti tra la visione cosmologica di Bruno e quella della comune astrologia, nonché i punti nei quali si raffrontano gli assunti da lui formulati con la tradizione ncoplutonica. mediata da Marsilio Ticino. Ma stupisce che non si sia avvertito che gli «eroici furori» bruniani non possono tutti etichettarsi come una tensione tra i/iagismoe misticismo, da un lato, e il profano filosofare, dall'altro, in quanto vi fu in esai un tendersi verso quella dimensione esoterica che va olire simili distinzioni.

Luoghi citati: Firenze, Milano, Roma, Torino