E Sallustio non va bene? di Giorgio Manganelli
E Sallustio non va bene? E Sallustio non va bene? OGNI tanto, qualche amico mi telefona, mi chiede: Tu, che cosa stai leggendo? oppure Hai letto niente di bello, questo anno? Di questi tempi, a tre settimane dal Natale, so che cosa quella gente ha in mente. Vuol regalare libri, che nelle strenne hanno preso il posto delle cravatte e della collana in vetro finto. Ma quando mi chiedono che cosa sto leggendo, in genere io non ricordo nulla. Letteralmente, balbetto, come se vedessi insidiato un segreto delicato della mia vita interiore. Dopo un po', rispondo: Ecco, sto rileggendo il Purgatorio. E' la verità, ma ottiene solo delle approvazioni fredde e un po' ironiche. Forse i miei amici sanno tutti a memoria il Purgatorio, o magari il Purgatorio non è «in». Ma è la verità. A questo punto, la voce interrogante attacca il telefono dopo qualche generico elogio a Dante. Con un altro, mi ricordo di avere appena finito una rilettura dell'Antico Testamento, tutto di fila, come Guerra e Pace; se questo signore ha in mente una strenna natalizia, dovrebbe andar bene, almeno per quel che mi han detto sul Natale; non va bene. No, non va bene. Dà un po' sui nervi, e inutilmente rammento la storia di Giuditta, di Tobia, di Giona. Forse è un po' vecchio, d'accordo, e un po'pedagogico. A Natale non fa allegria. Come che sia, il Vecchio Testamento è trattato con stima, ma, se non mi sbaglio, con freddezza. «Ma non hai in mente qualcosa di più strano?» dice qualcuno, come se io non avessi altro da fare che leggere libri «stra-: ni». Ma che cosa è, poi, un libro strano? «Non hai letto niente, in tutto l'anno, niente di speciale?». Dicono speciale in modo sommesso ed equivoco, e penso che per il Santo Natale, si pubblicano anche tanti bei libri sull'Eros, e forse questo vuol dissacrare, che ne so. O forse è l'anno scorso che si dissacra, ora si consacra, è più dignitoso e vagamente polacco. Ma la Bibbia, per favore, no. Ho letto Sallustio, dico anche, che è vero, e mi domandano se ho scelto il classico, alludendo, penso, al liceo. E' incredibile l'indifferenza della gente di buone letture per Sallustio; eppure scrive bene, e racconta cose da Documentario sul Passato; ma a Natale nessuno vuole Sallustio, e un Sallustio rilegato (Aàelphi) o sciolto (Rizzoli) potrebbe provocare una crisi coniugale e far piangere i bambini. Forse Sallustio non vuol far piangere i bambini, sebbene non risulti dalle sue opere e frammenti. Sallustio mi rammenta il Pontiggia, due metri di latinista e di romanziere, che ha tradotto il Sallustio ed ha scritto un delizioso romanzo. Adesso sì che sono aggiornato, e a chi fa domande gli descrivo II giocatore invisibile (Mondadori), ma non gli racconto come va a finire. «E* un gioco tragico», dico. «Bello?» «Bellissimo». «Inquietante?» Molto, ma con dolcezza. «E il Samonà, che ne dici?» Naturalmente, non si può parlare di romanzi, senza toccare il caso dell'anno. Un signore timido e universitario che scrive un libro come «Fratelli» (Einaudi), gran letteratura e grande angoscia, cose che un tempo si scrivevano solo in russo, in sospettosa attesa di una cerimoniosa fucilazione. Non è facile spiegare l'asciuttezza e la sottigliezza di quella prosa calma, esperta, dolcemente tenebrosa. Ma Fratelli l'hanno letto tutti, e qualcuno vuole titoli più peregrini. Ma non è peregrina quella bellissima Eneide che sta pubblicando la fondazione Valla? (Mondadori). Quella è poesia, sapete, e poesia antica e nobile e misterica. Va bene l'antico, ma c'è chi vuole più mistero. La sapienza greca del Colli? (Adelphi). «Dotto ed elegante. Non è un po' estroso? Molto estroso, la diomercé, ma se vuoi un tutto estroso perché non un po' di Nietzsche? Non sta calando? Sembra, ma quello dura. Roba buona. Leggeva Sallustio. «Ma possibile, qualcosa di peregrino l'avrai pur letta o riletta», dice un tale che ha l'erre moscia, e non dovrebbe mai usare parole con la erre. Penso. C'è un libro straordinario e terribile, l'hanno fatto uscire in luglio, quando nessuno era in grado di accorgersene. E' «Il cavaliere, la morte e il diavolo», di un Zorn, — è uno pseudonimo — che racconta i contenuti psicologici e filosofici della propria morte, a trent'anni, di cancro. (Mondadori). E' un libro illuminante e sconvolgente, anche perché è, incredi- " burnente, un libro che oserei definire allegro, come si dicono allegro certi tempi beethoveniani. Non ho dubbi, è un grande libro, che spaventa e affascina, ma non ha in sé traccia di «horror». Vorrei con tutto il cuore che qualcuno leggesse questo libro marginale, inconsueto, e chi dopo averlo letto lo regalerà e farà leggere avrà toccato il raro e lo straordinario in un colpo solo; ma vuole lettori intensi, anche impazienti, perché è un libro che si legge d'un fiato. E, per restare, nell'inconsueto, posso segnalare la ristampata Vita dell'arciprete Awakum, pura Russia Seicento? (Tascabili Bompiani). E'un libro poderoso, russo assai, e d'una allegra terribilità. Ma, sul terribile, avete provato a leggere Impressioni di follia di Anna Kavan? (La tartaruga). Leggetelo, vi prego; non mi pare se ne siano accorti in molti. Un amico di Firenze ha rintracciato un altro libro della Kavan al Remainder — umana sorte! — Ghiaccio. Oso dire che nel giro di pochi anni la Kavan sarà un terribile classico minore. No, non faccio il profeta; ma uno scrittore che sta arrivando — ormai scomparso, come la Kavan — credo che sia Wilcock. Sì, ho letto anche dell'altro. Ma non voglio essere beffato, e con la scusa che sto scrivendo I promessi sposi, riattacco il telefono. Giorgio Manganelli
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