C'era una volta un cassetto pieno di elfi

C'era una volta un cassetto pieno di elfi Dall'«archivio» di Toikien al primo romanzo italiaii C'era una volta un cassetto pieno di elfi Ancora Toikien, e il suo primo erede italiano da Rusconi, che ha fatto conoscere in Italia il filone della «fantasy». Dello scrittore inglese Masolino D'Amico recensisce il «Siimaril!on». Teresa Buongiorno presenta «Le città del diluvio» di Pederiali E5 leale dire subito che capita di rado a un libro complesso come il Silmarillion di Toikien, uscito ora da Rusconi (452 pagine, 6000 lire) di potersi avvalere di un lavoro di traduzione-interpretazione intelligente e amorevole come quello compiuto da Francesco Saba Sardi. E'leale anche aggiungere che questo stesso libro appena uscito nei Paesi anglosassoni, non più di un anno fa, non soltanto ha avuto tutti gli onori della stampa, ma, il che in un certo senso conta di più, si è immediatamente insediato in vetta alle classifiche dei più venduti; negli Stati Uniti in particolare, dove il culto per Toikien ha proporzioni massicce, l'affare commerciale è stato immenso. Detto questo, liberiamoci subito la coscienza, e confessiamo anche noi quello che, sembra, l'enorme maggioranza degli acquirenti americani del libro ha poi confessato in seguito a un'indagine di mercato: Il Silmarillion è, come libro «da leggere», faticosissimo, per non dire impossibile. Del resto, non era neppure destinato alla pubblicazione. Se ne era sentito parlare; si sapeva che l'autore del Signore degli Anelli, già salutato dal suo amico A uden come il creatore di un mondo intero, con moltissime e varie razze nonché una sua storia, una sua lingua, una sua mitologia, teneva nel cassetto, di quel mondo, gli antecedenti, anzi, per cosi dire, i testi sacri. Ora che il figlio di Toikien, Christopher, ha aperto il cassetto paterno, apprendiamo che le coordinate dei popoli c del mondo in questione cominciarono ad essere tracciate addirittura una quarantina d'anni prima del libro famoso; che per tutta la vita Toikien, insomma, continuò segretamente a mettere insieme le basi da cui la storia del Signore degli Anelli scaturì. L'ampiezza e la meticolosità di queste basi, soprattutto la scala della visione, hanno del prodigioso. Potremmo tentare di darne un'idea attraverso un esempio approssimativo. Supponiamo di conoscere di tutta l'epopea derivata dal cristianesimo, soltanto la pur ricchissima e articolatissima storia della ricerca del Graal E quindi supponiamo di entrare in contatto, dopo molto tempo, con gli antecedenti di quella: ossia di scoprire che la ricerca del Graal era solo un tarde e collaterale episodio minore di una tradizione sterminata, che a partire dalla Genesi incorpora non soltanto l'Antico e il Nuovo Testamento, ma una infinità di storie e leggende germinate da quelli... Così dal paziente, sconfinato gioco privato durato quanto la sua esistenza, Toikien lasciò emergere, col Signore degli Anelli, soltanto una punta di iceberg; mentre per propria chiarezza e diletto personale, di quell'universo possedeva e continuava a definire tutti gli aspetti primitivi, la storia c le leggende, i Testamenti, insomma, antichi meno antichi. Perché illeggibile questo libro, che abbiamo accostato addirittura alla Bibbia? Ma perché creando dei finti testi sacri, Toikien si comportò come del resto richiedeva l'ispirazione alla letteratura altomedievale nordica dalla quale aveva preso le mosse (e che insegnava a Oxford). E cioè, non si abbandonò al piacere di descrivere personaggi; represse il suo incantevole senso dell'umorismo; assunse toni uniformemente solenni e criptici; sgranò elenchi di nomi, ètimi, parentele, dinastie. In una parola, non ncrrò; lasciò i fatti nudi, schematici e innumerevoli come in una serie di iscrizioni votive. I cinque blocchi che trattano le vicende dei tre Silmaril non vanno quindi etichettati come racconti; sono qualcosa di forse più alto e ambizioso, certo di diverso. I Silmaril comunque sono gemme tenute in altissimo conto dagli Elfi, ma concupite anche dal Primo Signore delle Tenebre, perché contenenti la luce dei Due Alberi di Valinor. Le aveva fatte Fèanor... chi è Fèanor? «Il maggiore dei figli di Finwè (unico rampollo di Finwè e Mìrtei)», dice l'indice dei nomi, e prosegue: «fratellastro di Fingolf in e di Finarf in ; il più grande dei Noldor e promotore della ribellione di questi: inventore della scrittura Féanoriana: ar¬ tefice dei Silmaril; ucciso in Mithrim nella Dagor-nuin-Giliath. TI suo vero nome era Curufinwè (curu, "abilità")... e via di questo' passo. Naturalmente Vindice spiega anche\ chi erano Fingolfin e Finarfin, e i Noldor, e dov'era il lago Mithrim, eccetera, eccetera. Concludendo: una manna, o meglio, una miniera, per i convertiti. Ma probabilmente un osso duro da rodere per i neofiti, che faranno meglio ad accostarsi a Toikien lungo le strade già note. Masollno ^Amico IL genere fantastico non ha mai goduto troppe fortune da noL ma col Duemila alle porte vien di moda parlare d'Apocalisse. I mostri escono dai confini d'una facile fantascienza, la fiaba è rivalutata come iniziazione al vivere, al Congresso Internazionale di Letteratura per la Gioventù di Wurzburg si dibatte sui limiti del realismo e la Lindgren ha guadagnato i bambini con la mitica saga dei suicidi fratelli Cuordileone. Non sappiamo se gli stessi bambini si godano, coi propri genitori, il Toikien cavalleresco come avviene in Inghilterra, ma è certo che piacerà loro Le città del diluvio di Giuseppe Pederiali che esce in una collana per adulti, la «Play Book» di Rusconi (234 pagine. 4000 lire), e trapianta da noi la «fantasia eroica» di mo-

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