Tolstoj: l'arte è una menzogna

Tolstoj: l'arte è una menzogna Le sarcastiche osservazioni estetiche dello scrittore russo Tolstoj: l'arte è una menzogna Lev N. Tolstoj CHE COSA E' L'ARTE? a cura di Filippo Fossati Feltrinelli, Milano 219 pagine, 2500 lire TOLSTOJ scrisse Che cose rane? fra gennaio e no-, vembre del 1897. Vi la-, vorò a fiotti intensi e intermit-j tenti. Ma quel «trattato» veniva da lontano, era cresciuto dentro Tolstoj lungo quindici anni, frutto anch'esso della «crisi» a cui lo scrittore aveva dato voce nelle pagine sofferte e squillanti della w£ Confessione U88Q_-_82).. Le prime avvisaglie e l'ideaguida (l"«idea fissa») di Che cose l'arte?sono nel diario.toistoJ jano dell'autunno '96: «... l'arte è una menzogna. £" la seduzione del piacere che danno le bambole, i libri illustrati, i canti, i giochi, le fiabe, e niem'altro. E\ mettere l'arte, come quelli ama-\ no fare (la stessa cosa poi che fanno con la scienza), sullo stesso piano del bene, è un tremendo sacrilège...»: «poco fa riflettevo^ sull'arte. E' un gioco. E quando è il gioco di persone normali, che lavorano, è una cosa buona: ma ' quando è il gioco di corrotti pa-, rassili. allora diventa una cosa^ turpe: ed eccoci tra capo e collo il i decadentismo». Sul terreno artistico, questo Tolstoj dopo 1*80 è spinto più che mai. per dirla con Dmitrij Svjatopòlk-Mirskij. «verso il. classico, il razionale e il primitivo». Nella sua condanna di quasi tutta l'arte occidentale, dal Rinascimento in qua. e di quasi tutta l'arte russa, a partire dal resno di Pietro I. sembra G ... addirittura indossare i panni di un tardo epigono dello slavofilismo, lui che per gli slavófilTdi metà Ottocento non aveva mai nutrito eccessiva tenerezza. Da un capo all'altro di Che cose l'arte?, Tolstoj è criticò e autocritico fino alla crudeltà e. al sarcasmo. Rifiuta l'esteticaj moderna e le teorie moderne i dell'arte. Condanna senz'appello artisti che gli erano stati» cari: Shakespeare, di cui già aveva ammirato «l'enorme talento drammatico»: Beethoven, la cui musica a volte l'aveva scosso fino alle lacrime.! E il pur scrupoloso curatore di quest'edizione italiana del sassio di' Cu Tolstoj avanza — un po' banalmente, mi pare — sospetti di sdegnosa rivalsa: «Tolstoj non duo ammettere elio /, • * ^» iV* p * i* i .'. t OUGSL virus riesca a far piangere Tolstoj, la natura insofferente dei suo genio si ribella a qualsiasi forma di soggezione». In realtà, a farlo piangere, «come una vecchia», per usare un'espressione del suo oTario. bastava" molto ma molto' meno di una sinfonia di Beethoven!...). Della letteratura del suo tempo. Tolstoj non accetta che un pugno di romanzi: / miserabili di Hugo. Storia di due città di Dickens, le dostoevskiane Memorie di una casa di morti. La capanna dello zio Tom di rriet Beecher Stowe, Adam ie di George Eliot, e pochissimo altro. Ma soprattutto egli ama le creazioni «collettive»: i, canti popolari russi, le esàrdàs ungheresi, il grezzo teatro dei voguli. una tribù ùgrica perduta nell'oceano della Siberia. Ed è iì che intravede quella che sarà «l'arte del futuro», destinata a provocare un irresistibile «contagio» emotivo, a esprimere, in una forma «accessibile a tutti», «i sentimenti che inducono gli uomini a unirsi o che realmente li uniscono», e non già «sentimenti esclusivi» in cui a riconoscersi è solo «la gente che s'è liberata dalla costrizione del lavoro umano». Prima un geniale critico-filosofo, Konstantin Leònt'ev. e poi il formalista Boris Ejchenbàum hanno sostenuto che la trasformazione di Tolstoj in profeta e predicatore rimane nel vivo solco del suo itinerario artistico: fu il passaggio da certi «procedimenti» letterari ormai consunti, «sfruttati sino in fondo», ad altri «procedimenti». E. in-, somma, non fu l'uomo, ma lo' scrittore, a vivere quella lacerazione e quella crisi. E' comunque un fatto che tra i due Tolstoj, il «moralista» e l'autore di Guerra e pace, di Anna Karènina, si insinuano, malgrado tutto, precise zone di continuità. Proprio in Che cos'è '.'arte?, ad esempio, uno spettacolo wagneriano o un quadro impressionista sono resi con la tecnica, ben familiare a Tolstoj, che Vìktor Sklovskij battezzerà «strani ficazione » (ostranènie) : quasi che a guardare fosse un occhio neutro e impietoso, l'occhio, si direbbe, dei persiani di Montesquieu. D'altra parte, nei varchi, negli intervalli che scandirono la G stesura del «trattato», il fastidio per la fabulazione romanzesca non impedi a Tolstoj di rimetter mano a uno dei suoi racconti più suggestivi Chadzi-Murai. E per Chadzi-Murat egli buttava giù appunti come questi: «/) l'ombra di un'aquila lungo il pendio della montagna: 2) in riva al fiume, sulla sabbia, orme di bestie, di cavalli, di uomini: 3) entrando nel bosco i cavalli sbuffano vigorosamente...»: «le. donne hanno brache gialle e rossi stivali di marocchino». Era quel gusto del «particolare», della «minuzia», a cui aveva sacrificato, in altri tempi, con tanta generosità e cosi luminosa maestria Remo Faccanj . \ fi Tolstoj ne! 1898 ^Agenzia Grazia Neri)!

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