La strada del jazz conosce un "dopo free,,
La strada del jazz conosce un "dopo free,, Nuovi contributi alla musica afroamericana La strada del jazz conosce un "dopo free,, Autori vari JAZZ'78 a cura di Adriano Mazzolerei Bulzoni e Teatro Tenda, Roma 134 pagine, 3000 lire E' un libro scritto a cinque mani, ansi a quattro, perché Maurizio Furia si è limitato a un breve appunto sull'attività del Teatro Tenda di Roma. Sotto un titolo che ha il torto di essere troppo generico sono stati allineati tre saggi di Giorgio Balducci Claudio Sessa e Gianni Gualberto, rispettivamente su «Il solo e l'avanguardia musicale afroamericana», «Il rapporto del jazz degli Anni Settanta con il pubblico» e i «Momenti organizzativi del nuovo free», legati in qualche modo fra loro per la contemporaneità degli oggetti di studio, il quarto e ultimo è di Adriano Mazzoletti ed è completamente diverso. Si tratta de «Le origini del jazz in Europa», una fitta indagine storica che costituisce il primo capitolo di «Una storia italiana del jazz» alla quale Mazzoletti lavora da tempo con impegno. Diverse sono anche le generazioni a cui gli autori appartengono. Mentre Mazzoletti è un esperto assai noto die si occupa di jazz da più di vent'anni, gli altri tre sono giovanissimi E qui per fortuna, c'è da fare subito una considerazione consolante, in un periodo in cui tutti si sentono autorizzati a scrivere di jazz, e purtroppo trovano chi gli dà spazio, dopo aver ascoltato qualche disco e qualche concerto. Le argomentazioni di Balducci Sessa e Gualberto si possono condividere o meno, ma nessuno può negare che siano serie e documentate. A monte del loro lavoro stanno l'esame e il tenace confronto di centinaia di opere mon a caso Sessa può pubblicare una precisa discografia di un'ottantina di volumi) e lo studio attento di comportamenti e di tendenze dei musicisti e del pubblico. A Gualberto, in particolare, va attribuito il merito di considerazioni singolarmente acute e di un costante ancoraggio del jazz al suo retroterra sociopolitico. Egli porta prove abbondanti dell'esistenza attuale di un nuovo jazz informale, o free. sostenuta fin dal titolo del saggio (mentre Sessa e Balducci si riferiscono più genericamente a un «dopo jree>- o a una nuova avanguardia/: ha il coraggio di affermare che i discepoli di John Coltrane sono cilturalmente poco preparati e perciò hanno fatto fallire la fuga verso il folclorismo afroasiatico spingendo il jazz verso nuovi e pericolosi contatti con l'Europa; definisce stupendamente Eric Dolphy come un «autentico, geniale, sottovalutato trait d'union fra la tradizione parkeriana e le correnti che oggi portano ad Anthony Braxton»: e via di questo passo. Gli si può rimproverare soltanto, ma non è cosa da poco, un linguaggio per addetti ai lavori che in 'futuro potrà evitare con un minimo di attenzione. Adriano Mazzoletti ripropone il piacere sottile della rivisitazione storica, della scoperta, dell'illuminazione improvvisa di zone d'ombra che da qualche tempo nel jazz si tende a snobbare (chissà perché, dal momento che ce nè sempre bisogno). La sua esplorazione riesce a retrodatare di molto il primo contatto che l'Europa ha avuto con la musica afroamericana, ed è corredata di lunghe note a pie' di pagina che approfondiscono con grande competenza tematiche importanti. Se il suo libro sarà tutto di questo livello, ben venga. Per ora si deve riconoscere che rare volte la letteratura jazzistica ha offerto in così poche pagine tanti motivi d'interesse come Mazzoletti e i suoi collaboratori hanno saputo fare. Franco Fayenz
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