Che simpatico quel Nerone
Che simpatico quel Nerone r. Gervaso e il suo personaggio Che simpatico quel Nerone ROMA — Biografo e per sua stessa ammissione divulgatore di storie, Roberto Gervaso ha come stelia&po!are Voltaire e come esempio maggiore Lytton Strachev. A chiedergli se il lettore al quale si rivolge non è poi troppo poco esigente risponde che ciii scrive oscuro è un somaro, precisa che ha frequentato un corso di giornalismo negli Stati Uniti e là ha imparato a scrivere chiaro. Evoca Gibbon, magari ampolloso ma comprensibile, nonché Gregorovius scorrevole come un romanzo. Siedo nel suo salotto, guardo oltre i vetri distese di nuvole cupe, sul fondo l'Accademia di Francia. Parliamo del suo ultimo libro: Nerone (Rusconi, pp. 351 lire 7000). Discorre infervorandosi, contraddicendosi, s'alza per rispondere al telefono. Insiste sulle sue scontentezze recenti, accenna alle sue prossime intenzioni. Elenca i libri che non ha ietti, le filosofie che nemmeno ha sfiorate. Si promette studi dilungati, finalmente il rigore. Dice che frequenta pochi amici, che riceve rari visitatori, il direttore dei giornale a cui collabora, ii suo editore. Assicura che non concorrerà più a nessun premio, che non andrà più in giro per conferenze. Confida: «Cercavo il successo» «Ho cercato in tutti i modi, per anni, il successo. Ero un esagitato. Ora basta. Forse di tutti i miei libri restano le due pagine che ho scrìtto per mia madre. Pensi a Strachey, ha scritto non più di quattro cinque libri e sono rimasti». Ripete che la prima virtù è la sintesi e a questa si perviene solo grazie alla sincerità, solo andando all'essenza delle cose. Torniamo a parlare di Nerone. Gli domando le ragioni della sua scelta. « Tiberio era troppo cupo per me. Caligola è odioso, non è mai generoso. Nerone invece, visto a distanza, è un personaggio simpatico. Un megalomane, con l'ambizione sfrenata per il canto. Begava per il successo, era capace di tutto pur di procurarsi gli applausi e le corone in circo e in teatro. Eppoi, non è stata mia la scelta. M'accingevo a scrivere una biografia di Machiavelli e fu un libraio a suggerirmi la biografia di Nerone. Il libro è deicato a quel libraio». — Non le pare di eccedere nel particolare pettegolo, nel commento facile? «Quel particolare è spesso rivelatore di una psicologia. La piccola notazione è usata largamente da Gibbon e da Tacito. Svetonio ne abusa. La mia non è storia romanzata, quel che scrìvo lo ricavo da documenti. Le mie sono biografie rìgide, senza evasioni. Cerco di usare uno stile colloquiale, ammiccando ogni tanto al lettore, usando una terminologia corrente. Gli anglicismi i francesismi ì neologismi li adopero solo per rendere più chiaro il racconto». —Che fine si propone con i suoi libri? «Tutti.i^f aridi personaggi della nostra storia sono stati presentati o com'è eroi o come mostri a seconda del ccomodo di una certa ideologia. Montanelli ha demitizzato i santi padri, da Dante a Garibaldi Io ho fatto una cosa diversa: ho preso dei personaggi esecrati considerati finora come imbroglioni, banditi, avventurieri, e gli ho restituito il loro aspetto anche positivo. Sono contro ogni manicheismo. Nerone fu un assassino, ma non fu peggiore di Tiberio, di Caligola, di Galba, dello stesso Tito. E' vero che fece uccidere la madre, ma è pur vero che Agrippina congiurava contro di lui e ne voleva quasi certamente la morte. Tutti gli storici maggiori da Warmìngton à Paratore, lo hanno messo nella giusta luce. Purtroppo ebbe la sventura di cadere sotto la penna di Svetonio, che era un pettegolo e un calunniatore, e sotto quella di Tacito, storico eccelso ma fazioso e contrario a ogni specie di eccesso. A me è più simpatico Nerone che il Mazzini conosciuto a scuola. E' divertente, stravagante». Stravaganze di Enobarbo Di stravaganze, nelle trecento e più pagine del volume, Lucio Domizio Enobarbo soprannominato Nerone ne compie un'infinità. E tutte nel mezzo di devastazioni, recite, congiure, delazioni, spiate, esecuzioni capitali, conviti chiassosi. Affidato nella prima infanzia a un musico e ad un barbiere cresce con uzzoli circensi e teatrali. Eletto imperatore a diciassette anni non si lascia fagocitare né da parenti né da consiglieri. Quanti lo attorniano, fra donne scostumate, liberti profittatori, generali indecisi, efebi, bagasce, non gli sono minori nella malvagità e nella doppiezza. Agrippina è un mostro di abilità e di corruzione; Seneca è un subdolo retore e un sapiente ipocrita; quanto a Tigellino «vellicò la perversione, titillò gli istinti turpi del principe». Raramente consapevole, frequentemente agitato, Nerone fu facile alle furie e alle vendette. Se pure non fu lui a causare l'incendio dell'Urbe e se fu secondo Tito, nominato «delizia del genere umano», nel perseguitare i cristiani gli è toccato per secoli e secoli di passare per un vero e proprio Anticristo. Calunniato da Svetonio, incline allo scandalismo, definito da Renan «imperatore da melodramma.», Nerone s'aDprossima a una nuova insperata dignità grazie alle simpatie di Gervaso. Il quale fa sua. l'affermazione del rivoluzionario Saint-Just: «Non si può regnare innocentemente». Insomma ne vien fuori giovinotto più frivolo e inetto che crudele, persino lodevole nei primi anni di regno, istrione per vocazione, occupato* da spassi costosissimi, amante dei colori sgargianti e dei gioielli, morto pateticamente in una bicocca fra la Noraentana e la Salaria. Elio Pecora
Luoghi citati: Francia, Roma, Stati Uniti, Urbe
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