Gargantua? Un devoto che amava i conventi

Gargantua? Un devoto che amava i conventi Rabelais e la religione del suo tempo, con qualche sorpresa Gargantua? Un devoto che amava i conventi Lucien Febvre IL PROBLEMA DELL'INCREDULITÀ' NEL SECOLO XVI La religione di Rabelais Einaudi, Torino XXIX-473 pagine. 10.000 lire A Pantagruel LLA fine della truculenta battaglia combattuta contro il gigante Loupgarou. accorge- con am¬ bascia, nel romanzo omonimo che nella mischia Epistémon, impareggiabile amico, è rimasto decapitato. Con estro fulmineo Panureo none rimedio alla disgrazia: prende la testa mozza, ne- inumidisce il collo con ** vino bianco, lo spolvera di aloe, lo unge per bene con un impiastro di sua fattura, quindi fa aderire la testa al busto, ne cuce i lembi, per maggior sicurezza, con qualche gugliata di filo.* et. vaila: Epistémon è bell'e resuscitato, *ra la gioia e la meraviglia dei presenti. E' uno dei tanti episodi del romanzo di Rabelais in cui a lungo si è vista la dissacrazione scanzonata e beffarda delle credenze cristiane: la parodia, nel nostro caso, delie resurrezioni operate da Gesjìi. Epistémon redivivo confermava, agli occhi di Lefranc e della sua scuola, la statura iconoclasta del turbinoso narratore cinquecentesco, l'effetto corrosivo del suo colossale riso, la sua volontà di rottura nei confronti della fede tradizionale, il primo prender corpo di un atteggiamento materialistico ed ateo di cui non mancheranno di ricordarsi i libertini del Seicento e i philosophes del Settecento. Poi giunse, nel 1942, il libro di Febvre, appena uscito adesso in veste italiana, e tutto, allora, entrò in una nuova luce. Riallacciandosi a quanto Gilson aveva prima di lui acutamente suggerito, il grande storico dimostrava, con la briosa esuberanza che gli era propria, l'assurdità di attribuire a Rabelais, con palese anacronismo, atteggiamenti ed impulsi che la cultura europea maturerà assai più tardi. Nessun ateismo, nessun materialismo nell'opera di Rabelais, afferma Febvre. Il Cinquecento non possiede ancora l'attrezzatura mentale né validi presupposti filosofici e scientifici per formulare ipotesi miscredenti. Rabelais è uomo dei suo tempo, ripete i miti e i convincimenti diffusi nella psicologia ' collettiva di un'epoca le cui condizioni di vita non sono, rispetto al passato, radicalmente • mutate. Nella sua pagina la lezio'ne di Erasmo si innesta su antiche persuasioni: la sua polemica si appunta, se mai. con-. tro le incrostazioni scolastiche e sorboniche, in vista del recupero, su una linea filo-riformata. , della purezza del messaggio ! evangelico. La resurrezione di Epistémon? Non parodia del Vangelo, bensì dei romanzi e. poemi medievali, in cui episodi di quel genere erano tutt'altro che infrequenti. La lettera di Gargantua a Pantagruel? Non inno di sapore pagano ad una immortalità tutta terrena, ma ripresa di schemi e luoghi topici già presenti in S. Paolo e in S. Tommaso. La ricorrenza di formule bibliche e "devozionali usate chiaramente in chiave comica, come quel ventrem omni-, potentem che sembra, nel Pantagruel, fare il verso al Credo? Nessuna volontà di profanazione, assicura Febvre. ma solo il perpetuarsi di vecchie buffonerie conventuali, di facezie di chierici, o magari, direbbe Ba¬ chtin, di quella carnevalesca, ambivalente volontà di violazione e degradazione che è tipica del comico popolare e medievale. Nonostante, infatti, le riserve di Bachtin (il cui saggio su Rabelais, uscito a Parigi nei '70. è oggi all'origine di un fecondo rinnovamento di studi), non direi che tra la posizione del critico russo e quella dello storico francese esista un divario essenziale. Certo. Bachtin insiste, assai più di quanto Febvre non faccia, sulla matrice popolare del riso di Rabelais, ma entrambi in fondo tendono ad ancorarlo, contro gli anacronismi della scuola positivistica, ad una cultura statica, tradizionale, la cui rivolta dissacrante assume forme archetipe, si riproduce secondo un rituale sempre uguale e scontato, non morde nei più veri convincimenti, non ne sconvolge l'armonia. Il curatore di questa edizione italiana del volume di Febvre sottolinea opportunatamente queste analogie, ma forse avrebbe dovuto ricordare come, invece, più profonde perplessità il grande storico abbia suscitato in altri ambienti: come, ad esempio, non ne abbia accettato le conclusioni uno studioso come il Busson, sostenitore di un .«razionalismo» cinquecentesco nelle fitte pagine di un noto saggio del '22, ripreso ed ampliato nel '57. Se-, condo Busson,-la tesi di Febvre lascia troppo in ombra in che cosa Rabelais testimoni pur sempre l'avvio di un nuovo modo di pensare e di scrivere, in che cosa insomma consista la sua originalità peculiare e, in definitiva, il vero spirito della, civiltà del Rinascimento. Per Busson l'incredulità non ha bisogno di germinare in terreni filosofici e scientifici particolarmente preparati. Il dubbio, dice Victor Hugo, ciascuno se lo porta dietro, come la propria ombra. Da Des Périers a Montaigne, il Cinquecento francese è tutto percorso da tensioni scettiche, alimentate da un lato dalla conoscenza di autori la cui lettura ha un effetto sconvolgente (Luciano, Epicuro, Lucrezio, Celso), dall'altro dalla lezione che viene, ad esempio, da Padova, dove Pomponazzi commenta Aristotele in chiave razionalistica, in aule gremite da un pubblico studentesco in cui i Francesi sono co-' ionia. Il dibattito, naturalmente, è tuttora aperto. Merito di Lurien Febvre è stato quello di avviarlo, facendo uso di quei princìpi metodologici — la nozione di outillage menta!, quella di «mentalità collettiva» — che hanno così profondamente rinnovato gli studi storici in Francia e così vivacemente condizionato la scuola dei Braudel, dei Mandrou, dei Duby, dei Le Gofì. Nell'ambito, poi, più spe¬ cificamente rabelaisiano. senza la rivoluzionaria interpretazione di Febvre non avremmo avuto né gli studi di Saulnier né quelli di Screech. né le più. recenti proposte critiche, attente a vagliare e disporre passato e presente, comicità popolare e proposte umanistiche, in quell'armonico pur se instabile equilibrio che forse del Rinascimento è l'anùria più verace e segreta. Lionello Sozzi

Luoghi citati: Francia, Padova, Parigi, Torino