La galassia Tolstoj
La galassia Tolstoj Troppe assenze da Mosca al convegno della Fondazione Cini La galassia Tolstoj VENEZIA — Tolstoj fu un pessimo viaggiatore, bizzoso, lunatico, irritabile; si concedeva ai luo-' ghi con ombrosa parzialità. In tutta la sua lunga esistenza non fu in Occidente che due volte, a cavallo dei trent'anni La seconda, arrivò fino in Italia, e una voce, quasi una leggenda, gli attribuisce un fantomatico passaggio da Venezia, che non sembra aver lasciato tracce. Ma almeno per tre giorni, a 150 anni dalla sua nascita, Tolstoj ha popolato di sè, della sua ideale presenza, una luminosa scheggia di Venezia. Dal 28 al 30 settembre, il nome dello scrittore, in una sala della Fondazione Giorgio Cini, ha risuonato migliaia di volte, con cadenze russe e italiane, bulgare e tedesche, francesi e slave, inglesi e croate. E' successo nella cornice di un vivace congresso che si intitolava all'«Umanesimo di Tolstoj» ed era stato organizzato da Vittore Branca, Sante Gra£ciotti e Vittorio Strada. All'appuntamento veneziano sono mancati purtroppo quattro specialisti sovietici di grande valore e prestigio che non hanno ottenuto il «visto di uscita» per l'Italia. Sono Jurij Lotman, geniale protagonista di un filone di ricerche nel campo della critica letteraria e delle teorie della cultura; Dimitrij Lichacev, raffinato storico e filologo della civiltà russa dèi Medioevo; Lidja Ginzburg e Vladimir Lakscin. Fortunatamente, le relazioni di Lakscin e di Lichacev sono state lette dai colleghi, e sono potute entrare nel dibattito che ha preso corpo intorno ai lavori del convegno. Una indisposizione ha poi tenuto lontano da Venezia Evel Gasparinl uno dei decani della nostra slavistica, studioso appartato e originalissimo, tra le massime autorità viventi in fatto di etnologia slava, ehe avrebbe messo a fuoco i rapporti di Tolstoj col variegato mondo delle sette religiose russe. Gli specialisti presenti si sono sforzati di avvicinare Tolstoj, nel folto della sua personalità e della sua opera, «aggredendolo», con ammirazione e turbamento, entusiasmo e inquietudine, da multiple angolature. Due vegeti e longevi nipoti dello scrittore ci hanno introdotto nel chiuso del suo universo domestico e familiare. Serge Tolstoj ha disegnato, con levità e arguzia, deliziosi medaglioni di suoi antenati e parenti, fra il 18" e 20 secolo; e il grande Lev è venuto a stagliarsi in mezzo a loro come il punto di massima concentrazione e densità di un albero genealogico fecondo di personaggi eccentrici, bizzarri e talentosi. Tania Albertini Tolstoj, vedova del senatore liberale. ha evocato dal fondo della sua più remota infanzia un grand-pére di stupenda, ruvida affettuosità, che lasciava mangiare la nipotina nel suo piatto («così ce n'è uno in meno da lavare»), la teneva sulle ginocchia a narrarle fiabe e alla fine chiedeva: «Ho raccontato bene?». Ma fuori di questo orizzonte privato e un poco viscerale si sono venuti affollando, nei tre giorni del convegno veneziano, motivi e nodi di formalisti e soprattutto marxisti che hanno lasciato in secondo piano la religiosità di Tolstoj, l'essenza profonda di tutta la sua opera. A tale religiosità si salda l'autobiografismo -.tolstojano; ed è questo autobiografismo ad incarnarsi —vigoroso, multiforme, pervasivo — anche in Guerra e pace. Strada non lo vede come un «romanzo storico-patriottico», ma propone di definirlo un «romanzo cosmico-storico», e ne mette in evidenza la struttura rivoluzionariamente nuova, a nebulosa, priva di un vero centro e di netti conf ini. Su Guerra e pace, la «grande epopea», era tutta incentrata la densa e brillante relazione di Lakscin. Al romanzo si è rifatta pure la relazione mandata da Heinrich Boli: e davanti a quel libro (il cui epilogo sembra volere dare corpo emblematicamente a ciò che Tolstoj «non trova mai nella realtà della sua vita: il quotidiano.), Boll si è interrogato con dolorosa ossessività sull'arte, sugli uomini, sul presente e sulla storia. Quasi rispondendo a Strada, che aveva additato il retaggio tolstoiano «nel coraggioso amore per la più aspra verità di scrittori come Trifonov, Grossman e Solzenicyn», Jurij Trifonov ha sostenute-«to*Rla letteratura è sempre ricerca morale», ma quest'idea «si è venuta ricoprendo di grappoli di cose inutili» ; e del resto il bene e il male formano a volte un inesplicabile groviglio: non resta che attenersi a un sofferto invito di Tolstoj: «Districate! Dipanate! E' possibile, occorre trovare il bandolo della matassa». La religiosità di Tolstoj ha ■ trovato echi appassionati in Italo Mancini, che ne ha delineato l'aspetto cristologico cosi anticipatore; mentre Rjszard Przybylski ne ha cercato alcune vive radici nel cuore dell'antica cultura russa. Dentro di questa, nelle pagine di una fascia delle cronache medievali, Tolstoj sembra anche aver rintracciato, secondo Lichacev, il «codice morale» che presiede alla struttura di certe zone della sua narrativa «epica» (e torniamo così a Guerra e pace): il nemico è sempre orgoglioso, sprezzante, fatuo; la guerra è sempre guerra di difesa. Eppure, può succedere che un romanzo di Tolstoj non sia «sorretto da nessuna chiave di volta, da nessun muro, da nessuna pietra»: è la conclusione di Pietro Citati su Anna Karenina, dopo averne disegnata ^architettura» in un intervento smagliante di estri e di suggestione creativa. Una serie di altri interventi ha sondato l'apporto di Tolstoj alla storia della cultura fuori dalla Russia e alla comprensione del nostro presente. Restando tra le metafore spaziali, verrebbe da dire che, oltre ai romanzi-nebulosa tolstojani, esiste una galassia Tolstoj che continua fervidamente a espandersi. Remo Faccani
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