La sfida linguistica di Giovanni Paolo di Giorgio Calcagno

La sfida linguistica di Giovanni Paolo La sfida linguistica di Giovanni Paolo I segni da decifrare in uno fra i papati più brevi della storia: letture, gesti, citazioni Il segno di Giovanni Paolo I è durato 33 giorni; ed è, ancora, da interpretare. Per la prima volta, nella storia della Chiesa, il Papa non muove l'interesse del politico, dello storico, del teologo, die di fronte ad Albino Luciani si trovano sguerniti e probabilmente, anche domani avranno poco da dire. Giovanni Paolo I, a differenza di tutti i duoi predecessori, sollecita il semiologo, il linguista, lo studioso dei mass-media. Il pontificato di un solo settembre, breve nel tempo, vistoso nelle sue manifestazioni, non può modificare la storia di una istituzione bimillenaria; ma può incidere, in profondo, nel costume di una società: proprio per la scelta, consapevole, di una sfida linguistica. ★ * Nei 33 giorni di Giovanni Paolo I il pubblico scopre, d'improvviso, che l'uomo della sedia gestatoria (rifiutata) e della tiara (messa da parte/ cerca il linguaggio di tutti Ma quel linguaggio, nella sua posizione, e da quella cattedra, diventa automaticamente trasgressivo, contraddicente rispetto a un codice stabilito. Cioè, diventa espressione. Si è rilevato con stupore, dopo la sua straordinaria cronaca su quanto era avvenuto nella cappella Sistina, il fatto che il papa dicesse «io». Quel pronome in prima persona singolare, che un papa dal balcone di piazza San Pietro non aveva usato mai creava un rapporto identificante con ciascuno dei suoi ascoltatori Ma dietro l'io c'era qualcosa di più. C'erano quattrocento anni di cultura umanistica, raziocinante, antropocentrica, che la Chiesa didiiarava, finalmente, di voler accettare. Era un pronome copernicano, usato dal più moderno successore di chi aveva condannato Galileo. Si è lamentato, da parte di alcuni che questo papa avesse «poca cultura». In realtà, le sue opere si limitano a un catechismo, una tesi di laurea, molto controversa, su Rosmini e la serie delle lettere agli «Rlustrissimi», scritte per un giornale popolare come «R messaggero di S. Antonio». Si è cercato senza frutto, negli anni della sua presenza a Venezia, qualche intervento più illuminante, alla Biennale o alla Fondazione Cini Nella capitale italiana della cultura, il patriarca Luciani si limitava a indirizzi di saluto; quando non erano interventi di condanna. Piaceva al pubblico per la sua discorsività quotidiana, per quel tono naif con cui sembrava aggirare e, a volte, liquidare, i problemi più complessi. * ★ Eppure, singolarmente, proprio questo uomo dal linguaggio naif Iva mosso l'interesse della cultura laica, che di fronte alla macerata profondità di Paolo VI aveva reagito, spesso, in modo negativo. Dietro la semplicità delle parole ci doveva essere una scelta precisa di atteggiamento, e una conoscenza della psicologia di massa che presupponeva le più aggiornate, anche se non sempre dichiarate letture. Lietta Tomabuoni all'indomani del primo discorso in piazza San Pietro, riconosceva sul Corriere delle sera che nessuno specialista di mass-media avrebbe saputo elaborare un linguaggio di simile impatto sul pubblico. Vittorio' Gorresio, in un recente «taccuino» su La Stampa, si dichiarava «molto attento alle parole di Papa Luciani che, sono da meditare dalla prima all'ultima». Il linguista Francesco Sabatini in una intervista a Panorama, parlava di «semplicità studiata», e sottolineava la cultura nascosta di Giovanni Paolo: «Affonda le sue radici nel sapere laico e profano, che ha approfondito con coraggio senza nessun timore di apparire poco religioso». E rilevava l'importanza delle sue fonti «che sono notevoli. Le più appariscenti possono destare sensazione in un prete, ma sono bagaglio indispensabile della cultura laica: romanzieri, autori di teatro, poeti dialettali». E, con un fondo di dialetto, Luciani amava demitizzare sempre i suoi stessi interventi in pubblico. Questo uomo che i teologi più esigenti definivano di scarsa cultura sapeva mettere in-imbarazzo gli uomini della curia vaticana con una frase latina di Petrarca. E, insieme, non si rivolgeva mai a un gruppo di fedeli senza scegliere una citazione adatta al suo uditorio. Le traeva da autori familiari a tutti mai dal repertorio ecclesiastico: Collodi Veme, Trilussa. Nelle sue lettere agli «Illustrissimi» c'era posto per Goldoni e Mark Twain, Dickens e Goethe. * * Di Giovanni Paolo non resterà nessun insegnamento, dopo un papato così rapido. Ma resterà il segno, che egli si è quasi preoccupato di esibire: immediatamente percepibile, perche comunicante. E' un segno il nome scelto. Lo stile dei suoi discorsi II modo del suo ingresso in San Pietro. La sua sola dichiarazione importante è stata in difesa della liturgia: la disciplina che trasferisce il sentimento religioso in un sistema di segni Ed è un segno, deliberato, l'inedito repertorio di letture che i suoi interventi rivelano. Tfentatré giorni sono pochi per definire un papa, chiunque egli sia. Per questo, anche i dati marginali possono diventare decisivi Paolo VI, dicono gli uomini che gli erano intorno, è morto mentre pregava. Giovanni Paolo si è addormentato per sempre mentre leggeva Giorgio Calcagno

Luoghi citati: San Pietro, Venezia