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filosofia filosofia Italo Mancini FILOSOFIA DELLA RELIGIONE Abete, Roma 415 pagine, 5000 lire (ugo perone) Italo Mancini, a cui si debbono in questi anni rilevanti contributi di filosofia della religione, sia per i suoi studi storici che per i suoi saggi teorici, ripubblica a dieci anni circa dalla prima edizione questo suo Filosofia della religione. Si potrebbe dire che siamo di fronte a un trattato di filosofia della religione, organizzato secondo un rigoroso impianto teorico e nutrito di ampi riferimenti storici (che nel Prologo, aggiunto in quest'edizione, assurgono a breve storia della filosofia della religione). La definizione di trattato tuttavia è largamente imprecisa, perché tende ad oscurare il carattere sempre aperto, lo status utopico della filosofia della religione: un sapere perfettamente razionale, come dice Mancini, che non ha il potere di realizzarsi, ma che insieme è necessario perché ha il potere di rendere seriamente credibile il proprio oggetto e di farlo presente come scommessa. L'accento dell'opera è posto soprattutto sulla ricerca delle condizioni di possibilità di una filosofia della religione; una filosofia seconda, per usare la classificazione aristotelica, che richiede insieme una teoria della religione (la religione della parola di Dio), una teoria della filosofia (la filosofia dell'essere) e una teoria del loro congiurigimento (attraverso l'ermeneutica). Chi conosca l'itinerario speculativo di Mancini non mancherà di cogliere in questo saggio teso ad esplorare e definire oggetw>, metodo e fondamento della filosofia della religione, anticipazioni e presentimenti dello sviluppo successivo: lo sforzo di confrontarsi con il fatto religioso nel concreto delle religioni positive (e le teologie di Barth, Bultmann e Bonhoeffer offrono una guida significativa) e di misurarsi con ideologie e preposte di liberazione contemporanee (marxismo, strutturalismo, pensiero radicale). Di qui, quasi in cerchio si ripropone una domanda metafisica sul senso e il valore dell'idea di Dio: un interrogativo che ha indirizzato la più recente ricerca di Mancini. Marco Ravera ESTETICA POSTHEGELIANA Mursia, Milano 155 pagine, 7500 lire (f. d'a.) La convivenza dei sette teorici qui studiati —in altrettanti saggi — è giustificata su base storica, in virtù della contemporaneità e della comunanza di clima culturale che li caratterizza, e su base teorica, poiché tutti si occuparono di completare, o modificare, o avversare l'impostazione speculativa dell'Estetica hegeliana. Hegel è dunque l'interlocutore segreto (o il maestro dimenticato) di questi autori, talvolta origine di una filiazione esplicita e diretta (è il caso di Rosenkranz), altre volte padre rifiutato o disconosciuto. Escluso Arnold Ruge, cui è dedicato l'ultimo saggio della raccolta, sono teorici della «Destra» hegeliana, ossia, in base alla tripartizione proposta da Strauss nel 1835, quella corrente del dopo-Hegel che radunò i teorici «conservatori». Una suddivisione ulteriore formò successivamente, all'interno della Destra, la corrente del «teismo speculativo». E in particolare di quest'ultima «linea», posthegeliana si è occupate Ravera, affrontando autori generalmente trascurati dalla storiografia (è il caso di Moriz Carrière) o comunque a suo parere non adeguatamente studiati. Si tratta dunque di «curiosità» filosofiche: Immanuel Hermann Fichte (figlio del grande Johann Gottl'eb), C.H. Weisse, K.C.F. Krause, i già citati Carrière e Rosenkranz, F. Thiersch. Elemento a tutti comune (e particolarmente evidente in coloro che aderirono o s'ispirarono al «teismo speculativo») è un equilibrio filosofico non comune all'epoca delle accese *&ò!6&lgp> idealistiche : una misurata conciliazione di trascendenza e immanenza in campo teologico, e, in campo estetico, un «ideal-realismo» equanimemente lontano dagli eccessi dogmatici del realismo e dell'idealismo. Gyòrgy Lukacs IL GIOVANE MARX Editori Riuniti, Roma 128 pagine, 1800 lire (franca d'agostini) Nel '27 venivano pubblicati, a cura dell'Istituto Marx-EngelsLenin di Mosca, gli scritti giovanili di Marx. Si rendeva cosi possibile ricostruire l'evoluzione filosofica del giovane Marx, seguire le tappe di formazione del «materialismo dialettico», il distacco da Hegel e i rapporti con la sinistra hegeliana, l'adesione a Feuerbach e infine l'abbandono della stessa teoria f euerbachiana, maturato nel '45 con YIdeologia tedesca. A questo lavoro, insieme storico è teorico, si dedicò Lukacs nel saggio sul Giovane Marx (1954), ora pubblicato in italiano a cura di Angelo Bolaf f L In particolare, il concetto di «alienazione» formulato da Marx nei Manoscritti del '44 fu per Lukacs significativo, tanto da spingerlo a rivedere le posizioni espresse in Storia e coscienza di classe, premettendo la celebre introduzione autocritica alla seconda edizione. Mentre l'alienazione in Hegel è necessariamente connessa con l'oggettività, per Marx è il superfluo, eppure disumano estraniarsi dell'uomo nella società capitalistica; per l'uni si tratta di abolire una necessità (mito utopico dell'idealismo hegeliano), per l'altro si tratta di eliminare un sovrappiù, compiendo il necessario movimento della storia. Ma non solo un compito filosofico assolveva lo scritto di Lukacs, esso era anche una proposta politica di riflessione sulle origini del marxismo, nel quadro del dibattito tra i paesi socialisti iniziato dopo la morte di Stalin. Ancora una volta si metteva in atto quel metodo, di «guerriglia culturale», o utilizzazione politica del pensiero, che fu l'astuzia tipica di Lukacs.

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