poesia

poesia poesia Bino Rebellato MIE NON MIE PAROLE Da motivi gregoriani Bertoncello Anagrafiche Cittadella (Padova) 59 pagine, s.i.p. (alberto frasson) Di Bino Rebellato, editore di poesia fra i più meritori in Italia per una attività ultratrentennale che gli ha consentito di tenere a battesimo schiere di poeti; ma anche poeta in proprio di estremo pudore e rigore, è uscito un volumetto impareggiabile, Mie non mie parole (da motivi gregoriani) stampato senza sigle presso Bertoncello Anagrafiche - Cittadella. Sono ventitré composizioni, raccolte in margine ad una rielaborazione ed elaborazione dei Salmi cui ebbe intenzione di dedicarsi quindici anni fa. Si avverte l'essenzialità del linguaggio, che rende solenni e grandiosi i testi sacri ma che in Rebellato è il frutto di una profonda ricerca già ben oltre i codici postermetici in vigore: e si ritrovano insieme i tratti più caratterizzanti della sua poetica: il senso tenero dei luoghi, sfumato in dolcezza delicata e corrosa di malinconia: il dolore segreto per il trapasso dei tempi, cosi spietato sulle cose e su di noi; la letizia quasi francescana della natura, ri cercata con gli occhi della nostalgia; ma soprattutto quell'ansia di risarcimento religioso che lo accompagnò negli anni e che parve a molti il più affascinante segreto della sua poesia. L'esemplarità di questa poesia si riassume in una specie di dolente equilibrio, nel quale pure giocano le passioni e le aspirazioni, il paesaggio e le memorie, il senso di cosmica unità e insieme la constatazione della umana fragilità: «Sono vicini a noi i l'albero l'alba e il cielo i che non sarebbero niente i senza di noi / — come niente saremmo noi i senza di loro». L'autore ha preparato una meditatissima antologia della sua produzione, che dovrebbe vedere la luce entro breve tempo: sarà una felice occasione per verificare la continuità e più ancora la rara qualità di un poeta, cui il lavorare fra i poeti sembra aver concesso il dono prezioso di una solenne biblica solitudine. Giovanni Giuga POESIE DA SMERDJAKOV (1965-1977) Lacaita, Manduria 122 pagine, 3000 lire (giovanni tesio) Ha ragione Maria Luisa Spaziani che, con riferimento alle sue sensibilissime e quasi rabdemantiche antenne di lettrice, nella Prefazione invita a non farsi imbrigliare, nel caso di Giuga, nella casistica dei distinguo; a non pretendere di separare («vetusti crociani»: ma è un bersaglio scontato) le «plaghe selvagge»^ quelle dissodate e coltivate: ma a lasciarsi piuttosto trascinare, a sentire «che qualcuno ha qualcosa da proporre e da dire, che un giovane poeta ha trovato un tono capace di andar oltre le scontate contestazioni e le ironie obbligatorie e impotenti». La poesia di Giuga s'impone nella sua evidenza autobiografica: di povero poeta «venuto dalla provincia / che parla da solo e si declama versi incrociando / donne dai sensi inquieti e gonne più delle nudità i procaci», e di moralista insieme ingenuo e goffo «che si sdegna del lusso e dell'impudicizia i ma invidia le dimore dei ricchi». Sia ben chiaro, ad ogni modo, che la storia di questo «povero poeta», ignoto «nel gran ventre di Roma», non sarebbe diversa ne meno velleitaria della storia di tanti altri poveri poeti provinciali usi a combattere mulini a vento o a intenerirsi su sé stessi, se non si traducesse in forza di immagini, in vitalità di stile. Qui che, nel caso di Giuga, sembra accadere. La confessata e profferta dipendenza da Pasolini (ad indirizzo del quale si legga in Nora una lettera, a suo tempo realmente spedita, che è un po' la chiave di lettura dell'opera) trae significativa risonanza, oltre che dall'identificazione con Smerdjakòv cui Giuga «librescamente» indulge, dalla seconda delle epigrafi introduttive, di Anonimo: «So, so perfettamente di essere un succubo manierista. Ma chi può immaginare quanta passione, quanta sete di perfezione ci fosse in un anonimo affrescatore (non senza pregio forse, non senza pregio) di cappelle barocche?».

Luoghi citati: Italia, Manduria, Padova, Roma