Vincono Kundera e Ritsos

Vincono Kundera e Ritsos Assegnati ipremi internazionali "Mondello,, Vincono Kundera e Ritsos Per la narrativa italiana Samonà, per la poesia Giuga - Dibattito sul romanzo PALERMO — Per la quarta volta questo piccolo e incantevole paese del golfo palermitano ospita il Premio Internazionale Mondello, patrocinato dalla presidenza della Regione siciliana, organizzato dall'Associazione culturale e turistica di Mondello e affidato alla cura e alla fede del suo presidente, Francesco Lentini. I ventuno della giuria e del comitato promotore si sono accordati in una scelta di esemplare rigore critico e degna di un totale consenso. Per la narrativa straniera (cinque milioni) è stato premiato Milan Kundera, un praghese da tempo residente in Francia, per uno dei più straordinari romanzi degli ultimi anni, una grande metafora della persecuzione e della solitudine, Il valzer degli addii (Bompiani) pubblicato in italiano prima — o invece — dell'edizione in lingua originale. Il premio per la poesia straniera tradotta (cinque rnilioni) è andato a Ghiannis Ritsos, il grande poeta greco già vincitore del Premio Lenin per la Pace, una «coscienza della Grecia» una figura insieme ieratica e cordiale di cui vorremmo citare un'intera poesia, «Vita» che consiste in un solo endecasillabo: Una ferita nell'inesistenza. Per la narrativa italiana opera prima (due milioni) ha vinto il fortunato romanzo Fratelli di Carmelo Samonà (Einaudi) e per la poesia italiana opera prima (due milioni) il giovane Giovanni Giuga (Lacaita), una voce ricca di luci drammatiche, un'ispirazione civile e intensamente lirica di cui certo si parlerà negli anni futuri. Nel corso della serata conclusiva abbiamo assistito ad uno di quei «concerti di poesia» che sono ormai entrati di diritto nella liturgia di questo Premio. Tra i versi di Ritsos, di Giuga e del francese Claude Estban ha fatto naturalmente spicco la personalità ispirata istrionica e travolgente di Evtusenko che ha letto le sue poesie in russo e in italiano. Quasi a sfatare il sospetto di mondanità, nei due giorni precedenti la premiazione si è svolto qui un convegno sul tema «Orizzonti attuali del romanzo», con diritto di contributi italiani, russi e polacchi, da non potersi condensare in così breve spazio senza un gravissimo scempio. La relazione iniziale di Angelo Jacomuzzi dell'Università di Torino è stata un po' il perno e la cassa di risonanza dei circa quindici interventi successivi. Qual è oggi la situazione del romanzo? Quali orizzonti si aprono a questo «genere» che —per sua sfortuna e come segno del suo prestigio — rispetto agli altri generi ha subito le sollecitazioni ideologiche con frequenza incomparabilmente più alta e in maniera più decisiva? Sfuggito alle catalogazioni delle retoriche, quasi impossibile da definire, il romanzo" è il più impuro e compromesso dei generi. Jacomuzzi accentra il suo discorso sulle posizioni inconciliabili di Lucàkcs e di Bachtin. Per^ Lucàkcs il romanzo è l'epo-' pea di un'epoca in cui il senso della vita si è fatto problematico ma che nondimeno aspira alla totalità; è il segno di una crisi, di una perdita, di un eclissi. Per Bachtin la natura critica e problematica del romanzo è una conquista definitiva dell'età moderna, preparata dalle forme «non ufficiali» della letteratura classica e medioevale. Chiaro che una simile citazione — seguita da un'analisi della crisi d'identità del personaggio narrativo — dovesse scatenare discussioni e reazioni vivaci dai versanti che per brevità e con approssimazione chiameremo di destra e di sinistra, dei fiduciosi e degli apocalittici, espressioni da non prendere alla lettera e che possono dialetticamente coesistere in una medesima persona. Per Ferruccio Masini che con veemenza integra il discorso di Jacomuzzi, la crisi o meglio la dissoluzione del romanzo è vita, è un elemento saiutare, auspicabile, inevitabile, è il sale stesso del gioco e della sua sfida. Rifiuta con Butor, la teoria in nome della ricerca, respinge ogni incertezza e ogni moralismo. Il romanzo è un viaggio sull'orlo del possibile, una continua sperimentazione, deve far posto alla sua contraddizione e alla trasgressione. Mentre i russi ricordano Tolstoi — come è di dovere quest'anno —e il suo appello all'uomo perché perfezioni se stesso, alcuni scrittori del centro Europa fanno risuonare una nota dolorosa, come Milan Kundera che a proposito dell'espressione «morte del romanzo» ricorda tutte le morti alle quali la storia recente ci ha abituati: morte delle nazioni, morte della cultura occidentale, morte della musica europea. Parla del grande influsso del surrealismo sul romanzo e di quella dimensione onirica, da Novalis a Kafka, che fonde il reale e l'irreale non per evadere ma per dare più realtà al reale stesso, e conclude anche lui come i più che il romanzo sarà l'ultimo genere a morire in quanto è più ricco di libertà e più capace di trasformazione. Meno sono le ipoteche del passato e più vitale è il romanzo. E' il caso della letteratura americana di cui parlano Guido Finck e Agostino Lombardo che con l'apporto di ogni sorta di germi e di conteminazione, dei negri, dei pellirosse, degù emigranti, senza paura del compromesso ha creato un mondo vitale e incandescente di forme. Giuseppe Pontiggia fa una ricognizione storica sulle profezie di morte dei generi: i neoteroi della giovinezza di Virgilio non credevano possibile la nascita imminente di un grande poema epico. Dopo altri dotti interventi, la conclusione viene trovata dal sovietico Jury Trifonov secondo il quale la crisi del romanzo ci ricorda la crisi del petrolio. Si esauriranno le riserve? In questo caso si troverà altro combustibile. Maria Luisa Spazìani

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