Iran: un ambizioso impero che scivola sul petrolio

Iran: un ambizioso impero che scivola sul petrolio Iran: un ambizioso impero che scivola sul petrolio SOLTANTO due anni fa l'ambizione dello Scià di Persia era di fare del suo impero una grande potenza mondiale. Oggi i facili castelli in aria sono crollati, e al loro posto sono sorte le barricate, .sono comparsi i carri armati I sogni di grandezza, insomma, sono svaniti; e con essi si è vanificato tutto il modello di sviluppo iraniano che, partendo dalle ricchezze del petrolio, intendeva edificare una società altamente industrializzata, affrancata dalla schiavitù del sottosviluppo. Frattura netta Come capire oggi, al di là degli affrettati giudizi, che cosa in questo modello non ha funzionato e perché si è creata una frattura così netta tra il popolo e un potere certamente dispotico, ma anche portatore della modernizzazione? Per il lettore italiano, trovare una risposta a questi interrogativi non è agevole. La pubblicistica sull'argomento reperibile nella nostra lingua, infatti, è scarna, per non dire povera, almeno per quanto riguarda gli ultimi anni della storia iraniana. Interessanti per il loro valore di documenti sono: Fa- iurzii. Prospetto dei 12 punti della rivoluzione dello scià e del popolo, Teheran, 1972, ministero Informazioni (p. 106. senza prezzo) e Mohammed Reza Pahlevi, La rivoluzione bianca in Iran, 1970 (p. 145, senza prezzo). Biblioteca Imp. Pahlevi. Sono libri che illustrano il grosso sforzo di defeudalizzazione delle campagne iniziato nel 1962 e tutte le altre riforme che per un decennio sono state il vanto del regime: emancipazione della donna, istruzione di massa, sviluppo industriale attraverso la incentivazione dell'iniziativa privata. Mostrano bene, inoltre, le illusioni del regime e il significato di quella occidentalizzazione ora tanto contestata (ad esempio, alle citazioni del Corano si preferiscono quelle di Voltaire e Rousseau). Quanto alle analisi vere e proprie, in pratica si possono segnalare soltanto: Gianal- do Grossi, Iran petrolio violenza potere, Mazzotta, Milano, 1975 (p. 184. lire 2500 e Nirumand Bahmand. La Persia modello di un Paese in via di sviluppo, Feltrinelli, Milano, 1978 (p. 220, lire 700). n libro di Grossi (pseudonimo di Giuseppe Leuzzi), sebbene sia stato scritto nel momento del boom del petrolio, già preconizza la crisi del regime a causa dell'inattuabilità del modello di sviluppo prescelto. Lo schema interpretativo è «terzomondista» (riferimento a Samir Amin, Gunder Frank, Furtado). Tuttavia l'autore non pecca di ideologismo e se individua certe carenze di fondo —come l'incapacità di creare una borghesia produttiva —rivela anche errori contingenti come l'incoerenza del governo o le eccessive ambizioni. Pure decisamente critico nei confronti dello Scià e delie sue riforme è il libro di Nurimand, dallo spirito marcatamente antiamericano. Non per nulla l'obiettivo di fondo è partire dall'esperienza iraniana per illustrare il modello di sfruttamento neocoloniale, valido per tutto il Terzo Mondo. A sinistra si colloca anche : Maria Antonietta Macciocchi, Persia in lotta, Ed. di Cultura Sociale, Roma 1952 (p. 216, fuori catalogo). Libro un po' antiquato nella concezione (si presenta come un resoconto di viaggio), ma che contiene intuizioni felici e spunti ancora attuali (in particolare il rapporto tra lo Stato e le gerarchie religiose). Oltre a queste opere, di taglio giornalistico, se ne possono ricordare altre più propriamente storiche: Antonino Pagliaro, Iran antico, e Vladimir Minoski, Iran islamico in Le civiltà dell'Oriente, voi. I Casini, Roma, 1956 flire 12.000); Von Grunebaum G. E. (a cura di), L'islamismo, voL n, Feltrinelli, Milano, 1972 (p. 522, lire 3000, capito1 o di Nikki Keddie) e soprattutto Alessandro Bausani, I persiani, Sansoni, Firenze, 1962 (p. 291, lire 1500). Opera quest'ultima di uno dei massimi orientalisti italiani che però — come le altre citate — concede poco spazio all'ultimo cinquantennio. Ottima è invece, oltre alla ricca bibliografia, l'analisi della nascita della nazione iranica, dagli Achemenidi ai Selgiuchidi a Nadir Scià, e soprattutto lo studio degli aspetti culturali e religiosi. Aspetti che si ritrovano, adeguatamente sviluppati, in Alessandro Bausani, Persia religiosa, Il Saggiatore, Milano, 1959 (p. 550); A. Bausani e A. Pagliaro, Storia della letteratura persiana, Nuova Accademia, Milano, 1960 (p. 470). Libri purtroppo ormai fuori catalogo e reperibili solo nelle biblioteche come, d'altra parte, A. M. Piemontese, Storia della letteratura persiana, Fratelli Fabbri, Milano, 1970, 2 voli. Co. 190 e 158). Ancora in commercio sono invece: G. Scarda, Letteratura persiana in Storia delle letterature d'Oriente, Vallardi, Milano, 1969, voL H (lire 85.000, per tutti i 4 voi.) e Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Milano, Adelphi, 1973 (p. 286, lire 6500) che, malgrado il titolo generico, concede molto spazio alla filosofia iraniana. Ciro e Ali Infine, per quanto riguarda quel passato glorioso a cui lo Scià ha tentato di ricollegarsi e a cui le masse iraniane, più attaccate al ricordo del califfo AU che a quello di Ciro il Grande, sono rimaste totalmente indifferenti, si possono citare: Richard Nelson Fie, La Persia preislamica, n Saggiatore, Milano, 1963 (p. 486, lire 7000) interessante per lo studio particolarmente approfondito dei motivi dell'affermazione dello zoroastrismo; Kugiuri Parviz Danesh, L'orma immortale, Commerciale Pavese, Pavia, 1972 (p. 244, un po' troppo apologetico); Costa Mignosi C. (a cura di), L'Ecumene persiana, D'Anna. Firenze, 1970 (p. 164, lire 1600); Roman Girshman, La civiltà persiana antica, Einaudi, Torino, 1972 (p. 300, lire 5000); A. Pagliaro, Ciro e l'impero persiano. Accademia Naz. dei Lincei, 1972 (p. 188, lire 1000). Fabio Tana.