Il teatro continuo di Molière

Il teatro continuo di Molière Il regista Antoine Vitez spiega i temi centrali della sua ricerca Il teatro continuo di Molière Quattro capolavori come un'opera sola -1 romani li vedranno prima dei parigini PARIGI — I romani vedranno prima dei parigini — dal 25 al 28 settembre al teatro Argentina — la tetralogia di Molière diretta da Antoine Vitez, che al festival di Avignone del luglio entusiasmò il pubblico e divise la critica, suscitando violente polemiche. Si tratta di «Don Giovanni», «Il misantropo». «Tartufo», e «La scuola delle mogli», opere-chiave di Molière, che Vitez ha trattato in modo originale, considerandole come un tutto. Vale a dire che ha immaginato un unico luogo scenico, con elementi ridotti all'essenziale, e il gioco degli attori — una dozzina appena, interscambiabili — è carico di ammicchi e di riferimenti a personaggi e situazioni che rinviano dall'una all'altra pièce: làrtuto è fratello di don Giovanni, don Giovanni e Alceste sono consumati dalla stessa fiamma, eccetera. «Esiste un'unità, un intreccio di temi nell'opera di Molière che è assolutamente patente per chi ci lavora sopra come abbiamo fatto noi, reinventando modestamente delle cose vecchissime, ma essenziali: la compagnia stabile, l'alternanza, l'unità di tempo e di luogo», ci dice Antoine Vitez. «Quel che ha determinato la mia ricerca, prosegue, è anzitutto la volontà di superare la rottura che frammenta il lavoro del regista. Ne ho avuto abbastanza di esser l'architetto di effimeri castelli di sabbia, secondo l'espressione di Jouvet, il realizzatore poetico di opere singole, senza nesso tra loro se non nei mio cervello. Ho avuto voglia di costruire dei "modelli", piuttosto che delle unità separate, di reinventare il teatro come attività continua». L'idea di durata, il ritorno all'archetipo. la ricerca sul linguaggio, sono i tre cardini del lavoro di Vitez. «I personaggi di Molière, spiega, sono riducibili a un certo numero di archetipi, che sono quelli della vecchia farsa, ma a partire da questi schemi archetipici, Molière inventa un nuovo teatro, il teatro borghese. Il mio lavoro è consistilo nel mettere simultaneamente o successivamente in luce questi due aspetti, in polemica con un certo sociologismo in voga, che tende a ridurre le opere di Molière a delle "tranches de vie"". Sarà interessante ad esempio il confronto fra il mio "Tartufo" e quello di Planchon: Planchon spinge all'estremo la ricerca sociologica e la verosimiglianza, io punto sull'inverosimiglianza, approfondendo la ricerca degli archetipi». Quest'opzione concettuale si ripercuote sul gioco degli attori, che sconcerta gli spettatori abituati a un'interpretazione di Molière nello stile del «boulevard». I giovanissimi attori del «Théàtre des Quartiere d'Ivry», la compagnia stabile creata da Vitez nel 1972. possono apparire talvolta come marionette esagitate: isteriche, hanno detto alcuni critici. «Si tratta di un errore di lettura, replica il regista. Io metto gli attori con le spalle ui muro, spingendoli ad esprimere il massimo di loro stessi. Quel che è stato scambialo, non senza malevolenza, per "isteria", è una recitazione serrata, in cui non vi sono tempi moni, in cui ogni gesto, ogni momento è significante». Terzo pilastro della ricerca di Vitez: la lingua. Per lui l'espressione parlata, l'articolazio¬ ne del linguaggio sono più importanti della traduzione visuale di un testo. E se si è consacrato a Molière, non è per seguire una moda di cui per altro diffida, ma perchè lo considera, anzitutto il «padre» della lingua del teatro francese, come Shakespeare lo è per il teatro inglese: «Ed è alle radici della lingua nazionale che ritroviamo la nostra identità». Il fatto di insegnare da anni al conservatorio di Parigi ha contribuito a confermare questa sua profonda convinzione. Qual è stato l'itinerario personale, che ha fatto approdare Vitez alla fama, a più di quarant'anni? «Sognavo il teatro fin da bambino e ho cominciato a far l'attore a diciannove anni», risponde. Molti piccoli ruoli oscuri, qualcuno interessante. Poi sono venuti i tempi duri: un lunghissimo periodo di disoccupazione, di povertà artistica. «Per sopravvivere ho fatto traduzioni, sopratutto dal russo. Per due anni sono stato segretario particolare di Aragon, ma sognavo sempre un ritorno alla ri- balta. Finalmente, dodici anni fa, ho ricominciato una nuova carriera teatrale, come regista, e nel 1972 ho potuto creare la mia compagnia. La mia fu dunque una carriera spezzala e poi ricominciata da zero all'età in cui molti registi sono già giunti alla fama. Devo forse a questa ripresa tardiva di conservare una certa freschezza di spirito, una certa giovinezza artistica». E i suoi progetti per l'avvenire? «Seguirò la mia compagnia in questa tournée-Molière che durerà circa un anno. Andremo a Belgrado, poi a Roma. Il mese d'ottobre saremo a Parigi, all'A thénée, che ha per me un significato sentimentale perchè da ragazzo vi ho scoperto Molière interpretato da Jouvet. Dovremmo quindi tornare in Italia, a Milano, Torino e Firenze, poi presentare questa tetralogia al Tnp di Planchon a Villeurbane e in varie altre città di Francia, per concludere il nostro itinerario in Belgio e in Inghilterra. Nel frattempo preparerò qualche spettacolo sperimentale per il nostro teatrino di Ivry.fra cui un lavoro del belga René Kalinsky, del quale ho già realizzato "Il picnic di Claretta". che tratta degli ultimi giorni di Mussolini. Medito infine un altro progetto ambizioso: un'edizione del secondo Faust. Eiena Guicciardi