Quanta morbosità dentro quel carcere di Furio Colombo

Quanta morbosità dentro quel carcere 77 romanzo di Cheever, best seller in America Quanta morbosità dentro quel carcere John Cheever Il prigioniero dì Falconer Traduzione di Ettore Capriolo Garzanti, Milano 185 pagine, 5000 lire John Cheever ha un posto solido nella letteratura americana. Eppure questo suo ultimo romanzo, Il prigioniero di Falconer, è stato salutato negli Stati Uniti come il raggiungimento di una nuova grandezza narrativa, ha avuto le copertine dei settimanali e un coro quasi unanime, più che di approvazione, di gloria. n successo di John Cheever è comprensibile, giustificato, del tutto in linea con una vita dedicata alla costruzione di un mondo narrativo. Lo strumento tradizionalmente congeniale, per Cheever, è la short story, la dimensione del racconto, e neppure del racconto lungo, n suo talento è il ritratto istantaneo dietro cui si ixitravede lo" spessoTb uT tini viceofeejMflfVde. Estrarre questa vicenda, svilupparla nella dimensione e con la struttura del romanzo è sempre sembrata uria sua difficoltà, tanto marcata quanto il talento di alludere e la forza dei piccoli segni, dei personaggi accennati. Falconer, la parola che dà il titolo al romanzo, è il nome di una prigione. La forzata unità di luogo e di tempo è l'espediente che Cheever ha usato per spingere, materiali diversi dentro la dimensione del romanzo. L'ambiente di una prigione, la varietà dei personaggi, la quantità e diversità delle storie, la morbosità della limitazione della vita e del forzato vivere insieme, la condizione della vittima che è stata carnefice, tutto ciò ha sempre costituito una fonte molto ricca di materiale narrativo. Decine di film sono stati costruiti a partire dal contenitore «prigione». E decine di libri. Come mai questo Falconer di Cheever è stato indicato come una pietra miliare nella letteratura americana? H libro è affascinante, di facile lettura, di evidente popolarità. Ma un capolavoro? Le.tracce della mano di narratore di storie brevi sono visibilissime, chiarissimo è l'espediente del territorio prigione in funzione di elemento unificante. Nella prigione c'è un personaggio insolito, un intellettuale, un professore universitario, Pei ragut, che è condannato a vita per avere ucciso il fratello. Intorno a questo personaggio il gioco di Cheever si fa progressivamente più complicato. A un primo grado della costruzione c'è la storia privata di Perragut. E' una storia aempffte' un» vita di classe (Perragut non solo è un ex intellettuale, è anche un ex ricco) perduta nella nevrosi, poi nella droga, infine nel delitto. Su questo personaggio, e a questo grado della costruzione, piovono materiali di varia provenienza nella tradizione americana: l'ambiente protestante della aristocrazia dell'Est, che richiama Henry James, con tocchi di follia e di tenerezza alla Fitzgerald (rispettivamente: il ritratto della zia, dei maggiordomi che sembrano usciti da Washington Square. e il ritratto della madre, decisamente fitzgeraldiano), la tradizione — altrettanto intellettuale ma meno aristocratica — della cattiva coscienza cattolica che ha ispirato e tormentato CNeill, le sue creature e la vita stessa dell'autore. A CNeill, si devono il padre debole, confusionario, aspirante suicida, e il rapporto col fratello, raffinato, ambiguo, omicida. Il tipo di sessualità, di morbosità^- lo ,^t.?episoibrìè omosessuale di Ferragut per ungiovane compagno di prigionia — sono narrati con un taglio moderno e apparentemente senza complessi, come nel «dopo Updike», nel «dopo Philip Roth», nel «dopo Saul Bellow». Ma l'intrico dei sentimenti, la lacerazione del personaggio, gli incubi, i tormenti, sono di ascendenza antica, c'è continuamente il fantasma di James che gira intorno al fantasma di O'Neill, con la presenza di un atroce rimorso, un materiale che si è fatto più remoto, meno quotidiano da quando l'egemonia letteraria, in America, non è più cattolica o protestante. A un secondo livello di costruzione Cheever compie uno straordinario carosello di linguaggio e di stile. I vari materiali che tornano alla memoria ossessionata e ferita rii pprrn giit sono narrati in linguaggi diversi, con stili diversi, in tempi diversi. E' un vero e proprio esercizio di bravura con cui Cheever si vendica dell'antica accusa di scrivere solo per segmenti. Si vendica, ma conferma. Ogni cambiamento di lingua, ogni passaggio di fantasmi nella mente del prigioniero arricchisce l'antologia di short stories per cui Cheever è celebre. A un terzo livello Cheever popola la prigione e il mondo fisico di Ferragut, nel presente, con le storie degli altri prigionieri, da poche righe a molte pagine. Di nuovo l'originaria ispirazione per frammenti narrativi è evidente. Nonostante ciò. i sostegni artificiali che Cheever si è dato (l'ambiente e l'unità di tempo e di luogo della prigione), la straordinaria bravura che dimostra nell'esibi- re i reperti del suo straordinario collage, il libro potrebbe considerarsi un'opera riuscita se un disturbo persistente non ne deturpasse in parte il centro della struttura. Questo disturbo è la condizione del personaggio, malato di droga. La malattia mentale (o l'abitudine alla droga) è sempre un espediente pericoloso nella narrazione. Introduce un grado di arbitrarietà che può essere difficile controllare. Il fatto che Ferragut sia drogato rende (o almeno rende a tratti) irrilevante il resto della tragedia. Che cosa c'è di reale, di narrabile, in un drogato che uccide, se la storia è vista dalla sua parte? La droga provvede a rendere logico e fattibile l'illogico e rimpossibile. Molti fantasmi sono chiamati in soccoiso da Cheever, e non per spiegarci il delitto, per spiegarci la droga. Ma la droga si spiega, letterariamente? O non funziona piuttosto come un campo magnetico che altera tutti i segnali, e rende impossibile un controllo della loro «verità» letteraria? Infatti la narrazione di una grande attenuante al delitto (la droga) diventa una celebrazione della droga (eroina), del paradiso irrinunciabile che rappresenta. Possiamo fidarci di questa difesa che Ferragut fa di se stesso. Dobbiamo. Perché celebrando la condizione di drogato il personaggio tira una tenda pesante sulle ragioni della sua vita, e l'autore rischia di svelare l'artificiosità di una certa febbre che percorre le pagine. Che il personaggio risulti sgradevole, fastidioso, un po' ripugnante, continuamente snobistico nella contemplazione dei suoi mali potrebbe non essere un difetto. Non c'è bisogno di un eroe positivo per fare un grande ro- struttura, di lingua e di immaginazione, con cui Saul Bellow costruisce, narrativamente, una vita. Furio Colombo

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