Pasquino gira il mondo

Pasquino gira il mondo Continua l'inchiesta sulla letteratura delle regioni italiane: il Lazio Pasquino gira il mondo Uno spirito che affonda ie radici in Pasquino e nel Belli. Iperboli, trasiati, doppisensi. similitudini ardite fanno del dialetto romano una lingua. Rossellini, Pasolini, fs '. • 1 » K sorci! e la Magnani hanno creato opere e personaggi «dialettali» di grande respiro internazionale. "W J ! •. di Mario Dell'Arco, il Centro Romanesco Trilussa e i poeti dell'Associazione fra i Romani... La nostra inchiesta sulle letterature dialettali tocca questa volta Roma e il Lazio. I precedenti articoli erano dedicati a Trieste e Venezia Giulia (Magris), Emilia e Romagna (Marabini). Sicilia (Pasqualino). Lombardia (Cucchi). Basilicata (Trufplli). Sardegna (Mundula), il Veneto c 11 Trentino (Frasson). ROMA — La letteratura dialettale, a Roma, è un caso a pane. Contrariamente a quanto si crede, che la triade Re!!: i-elìa Tri¬ lussa. una sua qua : „..:.•. ;eueratura municipale. rie. d >pc i fasti ai teatrali dell'Ottocent e dei ori; No tane ci Lo nardo nhitft. 'Xiv. atre naroie- mai viva e alia r de pubblico; sopra:tu:- grazie al cinema, cne ne na uiiluso : modeiii culturali e resi popolari i personaggi. Attori come Alberto Sordi. Vittorio Gassman. Nino Manfredi. Gigi Proietti hanno dato vita. t ;»1 f>\ 'C hipr" '] Tf unto camatteri. per. che. dai dialettale, .'ratura na- specie di oppiare, a .no. arazie ret. a un vivace e n pionario di tipi, cai sonaggi. macchietta campo municipale . hanno invas. la leu zionale. con una «koiné dialektos» • cui i! dialetto rem alla sua facilità di comprensio- HO 111 lUììC iC ;CiliVT:t: Li italici, noti! tO * nn 1 ■a r"* ' *~« : *"* • r 1 1 *3] neorealismo Sceneggiatori e registi quaii Rossellini. Zavattini. \midei. De Concini. Maini, hanno creato opere «dialettali» di grande respiro e prestigio, rappresentate sugli schermi anziché sui teatri, ma r.or. per questo meno popolar; delle commedie di Eduardo o di qUCiiC di Go\ : od: Basci'jio. ,sl. tirale L'ultimo spettaci; di Proietti. «A me gli oceni. please». ha riscosso un successo di pubblico strepitoso, degno del grande Petrolini. I "attore ^ttT..:-..-. dialetto naturalmente aggiornato, moderno, un linguaggio piem d'inventiva, con una girandola d'immagini e d'accostamenti originalissimi, ricchi di vere raffinatezze linguistiche. E' un modo personalissimo di fare teatro, d'interpretare Roma e ii suo spirito popolare cosi sferzante, mordace, corrosivo, uno spirito satirico che affonda le radici in Pasquino e nel Bel!: e cne è cosi congeniale al bravissimo attore romano, tragico più che comico, sarcastico più che ironico. Iperboli, traslaii. doppisensi. similitudini ardite ~ acutissime fanno di questo dialetto romano, che Proietti ha nel sangue, una lingua universale, con pieno diritto di cittadinanza in un mondo culturale come il nostr... in cui la lingua ufficiale, letteraria quella dei critici, dei saggisti, si è cosi allontanata dalla realtà, e conosce i melanconici esibizionisti d'un gergo da ini/iati, compiaciuti d'un >cabolario esoterico vuoto di sangue e di carne. Proietti fa «letteratura" con il dialetto, sa parlare con ii gesto, con gli occhi, con la smorfia, con il ghigno, con il sorrisemi ammiccante e coinvolgente, con la piroetta, con il mozzicone di paro con il canto detto a me/za voce, con sfumature ìntimiste da scanzonato chansonnier trasteverino di oggi. Calato nel suo personaggio romano (attualmente sta. preparando «Ghetanaccio»). ha le capacità sceniche e la professionalità d'un attore della Commedia d'arte, ma anche la maturità intellettuale e la consapevolezza storica d'un attore moderno, che il cinema, il teatro e la tv rendono testimone e interprete della storia civile del paese. Cosi Alberto- Sordi, con i suoi personaggi romani più popolari, ha seguito passo pa>> la crescita civile degli italiani, ma anche la decadenza e ia crisi, dal dopo guerra a« oggi: una ricca gaiferia di tipi e caratteri che solo in dialetto potevano essere espressi. Attori come Sordi. Manfredi. Fabnzi. avrebbero potuto certamente dare vita a un teatro romano di qualità: senza contare le indimenticabili interpretazioni dialettali di Tino Buazzelli. che ha inciso dischi di brani poetici da «La Scoperta dell'America» e da « l'illa Glori» di Pascarella. e dai sonetti del Belli, considerati ormai un'opera classica delia letteratura nazionale. Eppure un teatro romano ad alto livello, nonostante la buona >Iontà de! compianto Checco Durante, non esiste a Roma, proprio perché il cinema, con film come «Ruma città aperta». «La dolce vita». «Il sorpasso». «Nel nome del Signore» e tanti altri che potremmo definire «dialettali», ha sostituito massicciamente il teatro, e grazie ai cinema il dialetto romano si è affermato in tutta Italia attraverso tipi, caratteri, macchiette, a cui Sordi. Manfredi. Gassman. Fabrizi. e ultimamente Montesano. Cerusico. Pippo Franco hanno dato vita. Non vogliamo dire con questo che non esiste oggi a Roma una letteratura dialettale al di fuori del cinema. La fauna poetica romana è ricca di nomi molto noti: da Mario Dell'Arco a Francesco Possenti, da Giorgio Roberti a Luciani) Luciani, da Robeno Ortensi a Sante Rinaldi, senza contare il gruppo deg!: anziani, dei poeti tradizionali, che fanno capo alla vecchia «Associazione fra i Romani»: Vincenzo Minerviile. Romeo Collalti. Amilcare Petiinelli. Ugo d'Andrea. Valerio Jandolo. Gino Castellani, vicedirettore di Romanità. Esistono perfino due recenti versioni romanesche del Vangelo: una. in sonetti, dell'autore di questa nota. (Er Vangelo seconno noantri): l'altra, in prosa, di Giorgio Roberti. Er Vangelo seconno Marco. Un discorso a pane merita il «Centro Romanesco Trilussa». che ha riaperto il problema della «prosa romanesca», curando ne! una vivace pubblicazione: «Filosofastri strappapensien e sciroccali in giro pe' Roma». Il Centro Trilussa ha curato anche, per l'Anno Santo. Ceci fìnti e stroppi immaginari durante il Giubileo. esilarante zibaldone romano: letteratura romanesca attuale, tenuta a battesimo dalla libreria Remo Croce. Anche i giornali dialenali sono di casa a Roma: dopo Rugantino, nato il 15-9-1887 sotto la direzione di Giggi Zanazz" e morto appena tre anni fa. abbiamo La Barcaccia, diretto da Renaio Micheli e Romanità diretti) da Jole Petrini. E a proposito di giornali, un fatto singolare a Roma, è dato dal Messaggero, che pubblica quotidianamente una rubrica in dialetto romano. «Avventure in città», di Nino Longobardi, e dal Tempo, con la rubrica in poesia vernacola «Angolo de Roma», che presenta volta per volta i numi poeti romani. Fra i più scrupolosi e documentati cultori di cose romane, usi. costumi, feste, tradizioni, generi letterari d'una Roma che sta scomparendo sotto l'incalzare del cemento armato, dobbiamo ricordare il bravo e schivo Livio Jannattoni. di cui esce in questi giorni, per la Newton Compton. Osterie e feste romane. Ma ii linguaggio romanesco, di la dai risultati dialettali, ha avuto influenza soprattutto sulla letteratura in lingua, negli ultimi trent' anni. Lo sforzo di molti fra i rinnovatori deila nostra narrativa nell'ultimo dopoguerra è stato quello di colmare definitivamente, in maniera a volte esasperata, il solco fra letteratura e reale, fra lingua colta e dialetto. f! merito di questa narrativ a é quello d'aver spazzato via dal¬ l'orizzonte letterario italiano quella «aulicità» e quella retorica da «stile grave», che caratterizzavano, ancora dopo ii movimento romantico. l'isolamento aristocratico e classico della nostra cultura. Questo sforzo di creare, anzi di copiare tout-court dalla vita personaggi reali, con il loro linguaggio autentico, non letterario, ha portato lo scrittore a scandagliare la realtà quotidiana della povera gente dei rioni popolari e ad ispirarsi ai «personaggi di vita», colti per la strada. E il dialetto romano, in questo processo di rinnovamento della lingua scritta, ha assunto ne! dopoguerra, grazie al film neorealista che di questa corrente letteraria ha risentito inevitabilmente l'influenza. .... ruolo molto importante, quasi di '/volgare illustre» moderno. Soprattutto il cinema, cne a R ima ha avuto un centro di produzione di risonanza mondiale, ha avallato certi compiaciuti vezzi dialettali e certi atteggiamenti sciolti del «tipo grave» trasteverino o della «bellona» de! Quarticciolo. inserendo nella moda e nel costume nazionale, almeno quello de! grosso pubblico, il gusto per il colore romano. Dal «vitellone» de! biliardo, campione di carambola, al «bulletto» motorizzato, che si esibisce in costume da bagno sulla spiaggia superaffollata di Ostia, dal «seduttore', al «povero ma bello», il tipo cinematografico del «fusto» dei rioni popolari e delle borgate di Roma è entrato fra i cliché letterari e i «modelli» psicologici delle nuove generazioni. Ormai parole di gergo come «piotta». «sacco», «tubbo» Miri" entrate di straforo nel parlare comune di studenti e associazioni giovanili, insieme a quel gusto tutio rugantinesco dell'iperbole, dell'esagerazione, che ha fatto del dialetto della capitale quasi una lingua da iniziati. II vezzo della definizione sintetica e fotografica si rivela a Roma soprattutto nei soprannomi. Da «Checchino». davanti al Mattatoio, al Testaecio. ogni avventore ha un nomignolo, che sintetizza la sua personalità e una sua caratteristica particolare, alla «Melafumo» di Baldini. Sono questi gli ero; d'una certa narrativa realistica italiana, da Pasolini a (ìadda. che registrando fedelmente, per obietti- dei vita scientifica, il frasari.> au tentieo di «malandri» «bulli», va cercando una via alla «lingua nazionale», ir. cui il dialetto, come linguaggio delia maggioranza, abbia il posto che ali spetta. 1! dialetto, come forma di espressione letteraria e non letteraria, ha indubbiamente una forza e una immediatezza emotiva sconosciute alla linsua col¬ ta. E la «parolaccia», presa nella sua realtà etnologica e sociale di protesta e di ribellione contro il compromesso dell'eufemismo e dei puntini di reticenza, ha un suo valore catartico di chiarificazione. Non per nulla una «romanaccia» come Anna Magnani, la nostra attrice meno sofisticata, ha fatto de! suo personaggio popolare, sboccato, violento, vero, un pers.-nasinc universale, in cui il dialetto romano supera i limiti del folclore, per divenire «lingua», costume internazionale noto, come il dialetto napoletano nelle canzoni di Murolo o nelle commedie di Eduardo. Cosi uno scrittore che sia alla ricerca d'una formula narrativa capace di colmare il solco fra il libro e la strada, riporterà fedelmente il gergo e le espressioni tipiche della gioventù romana, dalla «Mammella» a «Tormarancia». dalla «Garbatella» al «Quarticciolo». come il Belli, in periodo romantico, lasciava nei suo: sonetti un «monumento» di quello che era allora la «plebe di Roma» e come il Verja inseriva nella sua prosa ii buon pane casereccio del dialetto siciliano. Primo ira tutti questi personas- gi è il «bulletto» romano, un'edizione moderna, motorizzata del «bullo» tradizionale, un bullo sublimato dal mito del superuomo, a cui la macchina dà la potenza de! «centauro». Indubbiamente Marion Brando, con quella fascinosa maschera de «TI selvaggio», classico eroe della «gioventù bruciata» americana, ha avuto un'influenza decisiva sulla metamorfosi moderna del «bullo» romano. Oggi il segni di distinzione di questo «bravo» Novecento non è più il coltello, ma i! numero di centimetri cubi di cilindrata della sua moto. Il suo linguaggio si riaiiaceia sotto certi aspetti, ai gergo dei bullo tradizionale, è irto di sottintesi, sempre alla ricerca dei';- battuta satirica, della frase ad effetto, elaborata, metaforica ricca di riferimenti presi in prestito, volutamente a sproposito, dal i.. ,i„n,, „„!:.: ... ,i.,t uionuo ucua politica, cici cinema, della cultura classica Perché questi «ragazzi di vita» hanno una loro retorica dialettale, con tanto di canoni e di leggi stilistiche: sono sempre all'erta per controbattere l*av versano con una risposta «a Ciccio», appropriata, pregnante. Oggi è scomparso il classico tipo del bullo romano, come ii «Tinca», «er più» d; Trasteveredei primi del Novecento che camminava a testa alta, strascicando i piedi come un camorrista napoletano, e parlava con una cadenza, lenta, declamatoria e un po' cantilenosa. contrappuntando le parole con quella «calata», che conferiva al suo discorso qualcosa di solenne e di minaccioso insieme: ma ancor oggi è rimasto nel bulletto romano il gusto dei virtuosismo oratorio, il compiacimento per la sintesi e la similitudine ardita. «Amircare». un'autentica macchietta che fino a pochi anni fa teneva banco al «Ristoro San Paolo», è uno dei tanti esempi: le sue discussioni con «li amici erano girandole di doppisensi. di traslati, di similitudini a scoppio ritardato, cosi divertenti che si formava un crocchio di persone intomo a lui. ogni volta che prendeva in giro qualcuno, bersagliandolo con le sue «beccate». Quando «Amircare» apriva bocca, aveva sempre in serbo una battuta da maestro, che il giorno dopo faceva il giro degli amici. La sua satira era degna di Pasquino. Non fa meraviglia, quindi, se alcuni scrittori moderni abbiano cercato ne! diale". ». e in particolare nel dialetto romano, ricco d'una tradizione satirica come quella di Pasquino e di Rugantino, una nuova formula narrativa in cui la «parolaccia» è di casa. Ce una psicologia della «parolaccia», specialmente qui a Roma, dove la parola sboccata affiora sulle labbra dei popolani per rafforzare il discorso e per esprimere i moti dell'animo più immediati e genuini. Il romano è condannato ad esprimersi con modi rozzi anche là dove vorrebbe essere delicato: vorrebbe farti un complimento e gli scappa un insulto, vorrebbe farti un sospiro e gli vien fuori un suono rauco, vorrebbe carezzarti e ti dà una gran manata sulle spalle, vorrebbe dirti «carissimo» e ti dice «li mortacci lui». Lo scrittore che usa il dialetto, quindi, lo fa per determinate esigenze spirituali ed artistiche, per un desiderio di sincerità e di spontaneità, per paura della retorica e dell'estetismo. Il dialetto é una materia grezza, ma le parole e le frasi sono sature di significati complessi, di sfumature particolari, di concelti sintetici derivati dall'uso e legati a una tradizione municipale, sconosciuta alla lingua letteraria. E la «letteratura» sta nel dialetto stesso, perche il dialetto è il riflesso della «cultura'» d'un popolo o d'un ambiente: le associazioni d'idee, i modi di legare logicamente ti pensiero ne sono l'espressione più vera. Bartolomeo Rossetti