Ma com'era lucido il "folle,, Campana

Ma com'era lucido il "folle,, Campana Il poeta dei Canti orfici visto dallo psichiatra Ma com'era lucido il "folle,, Campana Carlo Pariani Vita non romanzata di Dino Campana Miiano, Guanda pp. 180, 650C iire UN po' di inconfessabile ma soddisfatto provincialismo c'è stato, almeno agli inizi nei confronti di Dino Campana, il poeta dei Canti Orfici, che Bigongiari considera — e giustamente — «rra i venti libri del Novecento da salvare.. Che diamine! Avevamo anche noi. a portata di mano, di nostranissima estrazione, il poeta veggente, ■maledetto» quel tanto che non guasta, come Poe e Verlaine (gli assomigliava anche un po' nei tratti del volto) bevitore e poi attaccabrighe. _ come Rimbaud (anche lui con il suo bateau ivre dei Viaggio a Montevideo; vagabondo e dai centomestieri, incarcerato e in manicomio, perché pazzo come Novalis (non suicida, però) Ai sublimi deliri d'oltralpe potevamo contrapporre questa nostra delirante gloria locale, l'unica in grado di competere per turbinosi dati biografici e intensità di 'illuminazione» poetica. E Bino Binazzi, nel curare per Vallecchi la seconda edizione dei Canti Orfici, ancor vivo l'autore (nel '28), poteva definire l'amico ? sodale «una meteora dalle miriadi di colori sotto i cieli alquanto bigi del futurismo prebellico», die, «quando ancora la ecatombe umana non era compiuta, dileguò nelle tenebre della follia.. L'equazione Genio = Follia, o il suo più specifico corollario Poesia = Follia esercita sempre una forte suggestione. Anche per questo ci pare opportuna la riedizione presso Guanda (a cura di C. Ortesta e con una grossa appendice di lettere e testimonianze variamente edite) della Vita non romanzata di Dino Campana, che lo psichiatra Carlo Pariani pubblicò da Vallecchi nel 1938. Opportuna per due ordini di ruotivi: il primo, ovvio, perché si tratta di un testo che ha offerto ai critici con¬ senzienti o meno col metodo adottato dal medico, materiale comunque di grande interesse per l'interpretazione della genesi e di passi particolari dei Canti Orfici: il secondo, di incidenza meno diretta ma di più ampia evidenza nell'attuale acceso dibattito sulla pazzia e i manicomi, perché offre un reperto di quarant'anni fa sull'analisi di uno psicopatico, che fu poeta e che alterna a momenti di crisi, di deliri persecutori, altri di quasi assolute lucidità. Il Pariani ebbe con Campana, ricoverato nel manicomio di Castel Pulci una serie di colloqui tra la fine del 1929 e l'aprile del 1930, e il libro è la trascrizione di questi colloqui. E' chiaramente diviso in due parti: nella prima, dopo gli antefatti biografici, vengono registrate le idee farneticanti di grandezza, le ossessioni di persecuzione operate da occulte grandi potenze: nella seconda si incontrano invece le risposte a richieste di spiegazioni sulla sua opera, sul senso di questo o quel passo. E io mi dichiaro fra quelli che continuano a ritenere più interessante, ai fini dell'indagine critica, questa seconda parte. Certo la «folgorante. terribile oscurità di altri momenti» va tenuta presente, va messa in relazione con i significati della poesia di Campana, ma andrei m.olto adagio in queste assunzioni con queste motivazioni che provengono da un profondo sconvolto. Dalla seconda parte ci arriva invece, al di là delle singole delucidazioni una lezione assai suggestiva per il fondo distacco da cui proviene, di misura e di rassegnato attaccamento all'autenticità della propria parola. Rileggiamoci un po' tutti, noi del mestiere, la debole reazione del «demente» al giudizio del Binazzi che lo paragona a Shelley nel comune ardore per la chimica, segno di cosmica ispirazione: « Questo non va. Io studiavo chimica per errore e non ci capivo nulla». Un invito per lo meno alla prudenza prima di partire per la tangente delle deduzioni. E mi commuove il ridimensionamento del mito del poeta che vende il suo libro nei caffè, strappando fogli per disprezzo verso i compratori: /Un po' esagerato, naturalmente... Sono fantasie giornalistiche. Non è vero!... Se io vendevo quel libro era perché ero povero» (la sottolineatura e mia/; e più ancora l'appena larvata protesta per tutte le correzioni apportate al suo testo: «Vallecchi varia qua e là, non so perché: poco importa... L'edizione dovrebbe essere raffrontata e corretta sul testo di Marradi e delle riviste che stamparono i miei versi per la prima volta»; il dissociato, per difendere la propria autenticità, fa pressante appello alla filologia! Quale contrasto con certe tirate dello psichiatra che, parlando di Rimbaud die vendeva armi a Menelik, riesce a infilzare un periodo di questa fatta: «...fucili da adoperarecontro ^precursori preparatori araldi banditori messaggeri antesignani esploratori avviatori imprenditori principiatori iniziatori introduttori promotori esecutori dell'incivilimento e del giustissimo dominio italiano laggiù...». Ahi, ahi che medico e paziente, psichiatra e pazzo si stiano scambiando le parti? Stefano Jacomuzzi

Luoghi citati: Campana, Marradi, Montevideo