D'annunzio sovversivo all'ombra del regime

D'annunzio sovversivo all'ombra del regime D'annunzio sovversivo all'ombra del regime D 5 ANNUNZIO torna di moda anche come • «politico»? Renzo De Felice, biografo di Mussolini ed esponente tra i più noli e laboriosi della storiografia moderata su! fascismo (quella storiografia che qualcuno ha chiamato fascista per distinguerla dalle altre correnti st« riosrafiche). risponde di sì. E raccoglie in uno svelto volumetto laterziano (nella collana Tempi Nuovi: D'Annunziopolitico, pp. 280. 4000 lire) tre sa22i dedicati a D'Annunzio e l'impresa di Fiume, Genesi, significato e fortuna della carta del Cantaro, D'Annunzio, Mussolini e la politica italiana ai quali premette un'introduzione fortemente ideologizzante, che solleva alcuni generali problemi d'interpretazione che vanno ben oltre D'Annunzio e riguardano l'analisi dei regimi di destra e di sinistrasucceduti al liberalismo negli Anni Venti e Trenta. In particolare, De Felice sostiene, sulla scorta di un saggio di G. L. Mosse, che occorre guardare D'Annunzio a Fiume «come tipico realizzatore di molti aspetti della "nuova politica", del "nuovo stile politico" che caratterizza la moderna società di massa, tanto nelle sue manifestazioni "antidemocratiche" quanto, a ben vedere, in quelle "democratiche"». Da questo punto di vista, secondo il biografo di Mussolini, si può, anzi si deve riconoscere che D'Annunzio, pur non essendo un «vero politico», «riuscì ad aprirsi come nessun altro, nel 1919 e soprattutto nel 1920, ad un eccezionale sforzo di comprensione del travaglio morale e sociale, ancor prima che politico, del momento e a dischiudersi alle nuove realtà, alle nuove soluzioni umane e sociali, e, dunque, politiche, confuse quant'altre mai, ma che erano comuni a vasti settori degli ex combattenti e della gioventù piccolo e medio borghesi e, sia pur marginalmente, anche ad altri gruppi sociali e che attivavano una sorta di "contestazione" della "vecchia" realtà e della "vecchia" società in nome di nuovi valori che non si sapeva bene definire. t1.^ di cui si sentiva la necessità». Non dunque D'Annunzio «Giovanni Battista del fascismo», come la prima storiografia antifascista aveva drasticamente sentenziato e neppure D'Annunzio filofascista in nessun peri^feta»-Ha sua vita: non nella crisi del dopoguerra o nei primi del regime, ma nemmeno negli ultimi anni della sua vita malgrado il mito del poeta-soldato sapientemente sfruttato da Mussolini e malgrado l'adesione all'impresa etiopica che De Felice definisce disinvoltamente come un atto di «valore tutto particolare ed episodico». Per dar concretezza a questa sua tesi, fautore sottolinea le differenze inteme del fiumanesimo distinguendo tra i legionari i «ragionevoli» dagli «scalmanati» e attribuendo a questi ultimi una sia pur confusa attitudine «rivoluzionaria», fa del 1920 un periodo di «bolscevismo latinizzato» per D'Annunzio e i suoi legionari, accentua l'importanza e il significato dei contatti o meglio dei progetti di contatto tra il poeta ed esponenti della sinistra estrema in Italia (come Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga). Poiché le categorie usate da De Felice per trasfigurare complessivamente l'impresa di Fiume e farne soprattutto un tentativo rivoluzionario seno essenzialmente psicologiche (a riprova del valore «rivoluzionario» della reggenza del Carnaro, egli riporta le generiche osservazioni di alcuni studiosi sul significato delle «feste» nella rivoluzione) è necessario allargare il discorso ad alcune altre categorie — sociali, economiche, politiche — per proporre una visione diversa dell'impresa di Fiume. Con De Felice si può essere d'accordo quando mette in luce il disorientamento di larghi settori dell'opinione pubblica anche di sinistra di fronte all'impresa di Fiume, quando riporta le testimonianze di tutti quei legionari che, in buona fede, ritennero nel 1920 di servire la causa deila rivoluzione seguendo D'Annunzio; infine, quando sostiene che Mussolini si servì dell'impresa ma non l'accettò mai integralmente perché non si accordava con i suoi calcoli di «entrismo» nella compagine borghese di governo. Si deve dissentire invece quando interpreta tutte le scelte e le decisioni di D'Annunzio durante l'impresa in base a impulsi personali e a stati d'animo del poeta, ignorando le forze sociali, politiche ed economiche (e cioè i nazionalisti e. dietro di loro, come hanno dimostrato in tempi diversi, Salvemini, Valiani e Catalano, «la siderurgia e la Marina») che lo sostenevano e ne condizionavano l'azione. E anche quando De Felice, come Ledeen, riduce l'analogia tra fascismo e dannunzianesimo a un puro fatto formale, di rituale di massa, di «nuovo stile politico» (analogia sulla quale — sia chiaro — siamo del tutto d'accordo) e trascura altre, importanti e forse più de-

Luoghi citati: Fiume, Italia