Sette killer alla caccia di Giap nel Vietnam di Francesco Rosso

Sette killer alla caccia di Giap nel Vietnam La drammatica storia di una «missione» americana Sette killer alla caccia di Giap nel Vietnam Gayle Rivers e James Hudson CINQUE DITA Mondadori, Milano 330 pagine, 5500 lire T TNA nota di copertina \_) avverte che quanto scritto nel libro è storia autentica, e che soltanto la tecnica della narrazione è imprestata dal romanzo. Sarà tutto vero? E'possibile, in Asia l'inverosimile ha sempre un risvolto di verità anche nello scorrere dei giorni normali; figurarsi nella guerra del Vietnam.' Ogni giornalista che abbia vissuto un poco le vicende di quel terribile conflitto sa che le mezze misure, l'umanità della Croce Rossa, la solidarietà umana erano espressioni senza senso. A Saigon la vita aveva un'apparenza di civiltà, ma appena fuori, tra le risaie e nella giungla, finiva la vita dell'uomo normale ed incominciava quella del paranoico, del feroce, dell'abietto. Non c'era più colleganza, né amicizia; soltanto violenza brutale, efferatezza raffinata: la roulette della vita e della morte girava vorticosamente, si mandavano al macello, sicuri che non sarebbero tornati vivi, migliaia di uomini, dall'una e dall'altra parte in lotta. E tra queste migliaia, i sette del commando «Cinque dita»: sette uomini che venivano dai quattro angoli della terra, Corea e Nuova Zelanda, Stati Uniti e Australia, che fino al giorno prima non si conoscevano e che, messi insieme, allenati, indottrinati, preparati psicologicamente (lavaggio del cervello) ebbero come compito dì partire dia una base amica in Thailandia, attraversare la Cambogia, il Laos, il Vietnam del Nord e andare in Cina, non molto oltre il Fiume Rosso, nel villaggio di Tan Shu tang per uccidere il generale Giap, l'invincibile, che doveva partecipare ad una conferenza con emissari cinesi di Lin Piao, e quindi di Mao Tse-tung, per stabilire i dettagli di una grande offensiva antiamericana. Scopo del commando, oltre ad uccidere Giap e decapitare l'esercito vietnamita, era di provocare la Cina e trascinarla apertamente nel conflitto. I sette personaggi, di estrazione disparata, avevano in comune un solo aspetto caratteriale; il piacere della violenza, il sadismo, la voglia di uccidere. Riassumere quel loro rapido muoversi tra fiumi, paludi, savane circondati da nemici presenti ovunque, sarebbe impresa disperante. Basti sapere che in Cina, proprio davanti a Tan Shutang. dove dovrebbe avvenire la conferenza, la radio del comando americano gli ordina di tornare indietro, di non completare la missione. Forse è qui la chiave del mostruoso «tradimento» ai danni dei sette (ormai ridotti a sei, uno è morto nell'andata). Nella loro mente si fa strada la certezza di esserestati giocati con spietata freddezza, di essere stati mandati a morire per motivi che a loro sfuggono, comunque ignobili. Perché il tradimento non consiste solamente nell'aver mandato allo sbaraglio quel gruppo di ardimentosi, o disperati, ma di aver avvertito il nemico della loro presenza nelle zone controllate dai Vietcong. Se ne rendono conto pensando ad un dettaglio; niente piastrina di riconoscimento alla partenza. Tutti invece l'avevano conservata, ina senza risultati apprezzabili. Al ritorno, quando pareva che i sopravvissuti dovessero farcela, si trovavanojnesplicabilmente dinanzi a Vietcong che cercavano di intercettarli. Alla fine uno solo che ora si cela sotto lo pseudonimo di Gayle Rivers, viene raccolto da un elicottero americano, ma 'forse per errore, portato da un ospedale all'altro, curato, guarito. Ma quando rinviene non si trova più al collo la piastrina di riconoscimento. Quando parla della missione «Cinque dita» lo guardano come se delirasse; forse la guerra in Vietnam gli ha stravolto la mente, lo ha fatto impazzire. Un giorno arriva in ospedale un tenente zelandese, gli dà una grossa cifra come indennizzo, gli restituisce il passaporto, gli dice che può tornare a casa, in Nuova Zelanda. E lo prega di chiedere scusa della notizia della sua morte inviata ai suoi genitori. Evidentemente il commando «Cinque dita» lo avevano dato per defunto già alla partenza per la missione. Il protagonista abbassa il capo, accetta il denaro, sale su un aereo diretto prima ad Hong Kong da dove ripartirà poi per Wellington, capitale della sua patria. Ed è agevole immaginare con quale animo sia partito da Hong Kong ed arrivato a casa. Tutto vero ciò che si racconta in questo volume più avvincente di qualsiasi romanzo d'avventura o poliziesco? Probabile, come ho detto, in Asia tutto diventa verosimile. Ciò che conta è questa disumana vicenda, vissuta da esseri disumanizzati, in un mondo ferino. Quanti vietnamiti hanno ucciso i sette della «Cinque dita» prima di concludere col fallimento la loro missione? Carneficine, cataste di gialli vietcong. Patet Laos, Cambogiani si assiepano attorno a loro, pagine di violenza raccapricciante, di efferatezze senza nome. Le uccisioni sono descritte con la freddezza di un documentarista; corpi che saltano a brandelli sotto le bombe, crani che si spaccano come melograni all'urto con le dum dum. occhi che schizzano dalle orbite, gole recise dai pugnali, teste troncate dai machete, villaggi devastati dai razzi e dalle bombe con tutti gli abitanti nelle case. E tutto ciò per niente, solo perché al Pentagono, o alla Casa Bianca, hanno «costruito» la missione suicida per calcoli misteriosi in cui i sette entrano soltanto come zavorra da buttare al momento opportuno. Un libro atroce, ma di lettura che toglie il respiro e che. con l'orrore, insegna molte cose sull'arte della guerra. Francesco Rosso .

Persone citate: Corea, Gayle Rivers, James Hudson, Mao