L'aristocrazia in posa

L'aristocrazia in posa Uno sguardo all'archivio di Ghitta Carell L'aristocrazia in posa SIGNORI D'ITALIA 200 fotografie di Ghitta Carell a cura di Maria Francesca Occhipinti presentate da Adele Cambria Fotolibri Longanesi pagine 95, lire 5000 SARA' stata ancora l'abitudine alle operette, ma per tutti i «Trenta» i danubiani andarono a ruba. Era un surv>gato dei russi? Li si accontentava così? Calcio e tennis, e «Cavallino bianco» intanto. E poi musicisti e scrittori: Bartok, e certi Kòrmendi e Zilahi da non dire. Arrivò anche, in Italia, ragt abbastanza bruita che a Budapest aveva seguito un corso di fotografia «per signorine». Si chiamava Ghitta Carell, sbarcò a Firenze ed entrò nel giro dei forestieri - intellettuali. Che la collegarono alla Firenze-bene, che era tutrice-tramìte alle nobili convitine! del più esclusivo dei collegi italiani, Poggio Imperiale. Ancora pochi anni, e rimontando su su da nipoti di vecchi duchi e marchesinuovissimi ricchissimi, la macchina in legno di ciliegio e a soffietto, il panno nero di Ghitta entrano al Quirinale: comincia con l'imbellire le principesse minori piuttosto bruttine a forza di luci «flou» e poi (sulla lastra) con pennelline raschietti, matite; e poi ascende agli Ereditarii, ai Regnanti. Occorre dire che, a questo punto, si presentano iti massa Ciambellani ed Ambasciatori. Visir e Maniscalchi, Vescovi e Prelati? E' la Roma, quella, de «Gli Indifferenti»; capitale danubiana di un paese di periferia. La Rappresentazione, lo Spettacolo, il Simbolo qui sono tutto. Dall'altisssimo in basso non ci sono difatti che dinastie: nobiliari, politiche, industriali. Le foto della signora Carell sono dunque invariabilmente prima di capostipiti (fronte pensosa lui. soave imperlata signorilità lei); poi di mamme importanti e bambini che lo saranno; poi di babbo, mamma e con loro non più bambini ma eredi. Gente solida, insomma, italiani presentabili, un poco tra Grecia e Spagna ma dopotutto europei. Ecco qui l'Album, allora, messo assieme da un archivio che deve essere sterminato (la buona signora imperversò fino alla fine degli Anni Sessanta, in tournées sempre più provinciali) di queste duecento fotografie: dove non si trova una «faccia» ma solo dei «volti», dove non si vede nemmeno una «fotografia» ma solo dei «ritratti» alla moda. Lo diceva anche lei, la Ghitta: «Io non fotografo faccia, ma qualcosa davanti che flotta»: Mussolini tutto sfumato in bianco e argento con perfino un brillante al dito, Giulia Maria Crespi tra bambole e yorkshire. Bottai con la penna in pugno. Carlo di Robilant alla Helmut Berger. Edda Ciano con pelliccia e colonna, e poi tutto un gran poggiarsi dita alle guance o alla fronte, accostare tempie (i fidanzati), tutta una serie di catene di mani nei ritratti di famiglia. Al momento di eternare le dinastie democristiane nel dopoguerra (e dai Regnanti e gli Artisti di una volta la Carell finirà anche al «gerani ano) sotto tanti i figlioli che bisogna pigiarli due a due, con arie vagamente incestuose come nei casi Campilli e JPrt >t f rt *i -i A. Ult/U(((. «Come erano», insomma. E lo pensava anche la fotografa. Uscendo dalle cene romane, difatti, riassumeva con la sua segretaria: «Sputo in faccia». Curioso: non ci se ne accorge mai, in ritratti così ossequiosi e ruffiani. Forse, invece, sputava sull'obbiettivo, per ottenere il suo celebre «flou». Claudio Savonuzzi

Luoghi citati: Budapest, Firenze, Grecia, Italia, Poggio Imperiale, Spagna