Poesia orale e poesia colta fra aie, dopolavori e scuole di Tonino Guerra

Poesia orale e poesia colta fra aie, dopolavori e scuole Inchiesta sulla letteratura delle regioni italiane: Emilia e Romagna Poesia orale e poesia colta fra aie, dopolavori e scuole I bu di Tonino Guerra e Stricarm in d'na parola di Cesare Zavattini, gli echi della "zirudela,, e i ricordi di Stecchetti: la nuova poesia d'Emilia e di Romagna si modula tra affresco popolare e un idillio pascoliano. Premi e antologie offrono un contributo vitale alla tradizione e al dialetto. Dopo l'inchiesta di Claudio Magris sulla letteratura dialettale a Trieste e nella Venezia Giulia (apparsa sul numero scorso di Tuttolibri) continuiamo il viaggio nelle culture locali del nostro Paese con un servizio di Claudio Marabini sulla poesia dialettale in Emilia e Romagna. FAENZA — Non è facile cogliere in provincia la vita della poesia dialettale. La poesia dialettale raramente approda al grande editore. Per lo più si ferma umilmente a qualche tipografia di paese. Qualche volta vive anche soltanto di vita orale, come nei «trebbi» romagnoli: una volta nelle aie. ora al ristorante, dopo il pranzo. Unico il caso de «I bu» di Tonino Guerra, che vararono col Luzi de «I fondamenti invisibili» la collana di poesia «italiana e straniera» di un grande editore, fregiandosi della densa introduzione («excursus continuo» per essere esatti) di Gianfranco Contini. Pare che Guerra inviasse a Contini un telegramma così concepito: «Pazienza, dovrò esserle grato per tutta la vita». Per la vita della poesia dialettale debbo distinguere tra Emilia e Romagna. In Romagna ce n'è di più e non credo che questa conclusione derivi dal fatto che la conosco metro a metro e quasi persona per persona. L'Emilia, come non ha un Guerra, così non ha avuto uno Spallicci o uno Stecchetti. Bisogna fermarsi a Zavattini, egregiamente, ma sempre in modo collaterale a una produzione maggiore e in lingua. Vero è che, tentando un tessuto della poesia dialettale, l'Emilia è piena di buchi e il più grosso è proprio quello del capoluogo. Ne parlo con Franco Cristofori, bolognese puro sangue e cultore di studi locali, giornalista e attento commentatore del costume. Cristofori mi dice che un grosso poeta dialettale a Bologna non c'è e non c'è mai stato. Quello che si fa è ancora fermo a Testoni: il solito modo di far ridere, il solito spirito da «sgneira Catareina» e da «ei. c'al scusa». La stessa cosa vale per il teatro. Oppongo Dino Sarti, il cantante, che ha avuto grosso successo, avallato anche da memorabili serate televisive. «Hai ragione», dice Cristofori. «Sarti ha una certa forza. Nel "Tango imbecille" ci sono cose notevoli e in fondo Sarti resta l'unico che ha rispolverato un dialetto che sembrava perduto. Però se analizzi, vedi che anche con Sarti cadi... Cadi nel tradizionale trionfalismo bolognese della buona gente e della bella gente, dell'elogio di Bologna insomma. Non si discute, ecco, non c'è critica». Fuori Bologna, troviamo le cose più vive intorno a Modena e a Ferrara. A Modena mi informano di un concorso di poesia dialettale indetto dall'Accademia della Carriola di San Felice, che premia una poesia per regione; e di un'associazione di poeti dialettali chiamata «La trivèla», che ha diverse sezioni per i diversi luoghi. Fanno incontri, serate in circoli, clubs. dopolavori, e pubblicano ogni anno un'antologia con le poesie migliori, dal titolo «L'arcitrivèla». A Ferrara invece mi informano di un singolare risveglio dialettale nelle scuole: in certe scuole. A Ferrara e provincia non si conoscono associazioni di poesia dialettale né importanti nomi di poeti; neppure mi sanno indicare libri recenti di qualche interesse; e il dialetto non ha mai attinto a qualche dignità letteraria. Tuttavia ora sarebbero nati questi anonimi concorsi a Codigoro e Pontelagoscuro, addirittura col patrocinio del Provveditorato agli Studi, aperti anche a concorrenti esterni. Seguono incontri, dibattiti con recitazione di componimenti; e questo avviene anche in città. Nulla trovo a Reggio e Parma. Ugo Bellocchi, che al dialetto reggiano ha dedicato profondi studi, mi fa il nome di Gastone Tamagnini, poeta correggese e fine dicitore; e mi ricorda, nel passato, Giovanni Ramusani e Amerigo Ficarelli. Ultimo dei maggiori, scompar-. so una decina d'anni fa. Cario Grassi. A Parma raccolgo il vecchio nome di R.enzo Pezzani (1889-1951) di cui è stato da poco ristampato, dal Battei. Bornisi, il classico canzoniere parmigiano, con introduzione di Giuseppe Marchetti: e ho l'impressione di dovermi fermare a quanto di dialettale filtra nelle pagine di Bevilacqua e di dover balzare, come dicevo, a Zavattini luzzarese, a «Straparole» ('67) e soprattutto a «Stricarm in d'na parola» (stringermi in una parola) del '73. «Invcend a vrés - buia fora in dialét - col go tgnu dentr'in italian. - As poi di tot cinal me dialét, - i so sigilla meni - da car di bo chi turna a cù sotsira». (Invecchiando vorrei buttare fuori in dialetto - certe cose tenute dentro in italiano. Può dire tutto il mio dialetto, coi suoi cigolamenti - da carro dei buoi quando tornano a casa sottosera). In Romagna ia prima opera in dialetto risale al Cinquecento, «Pulon matt» (Napoleone matto per amore), di un anonimo cesenate. Di poco posteriore è «Commedia nuova» di Francesco da Faenza, dove un contadino pronuncia le sue battute in dialetto. La «zirudela». il componimento più popolare, in ottonari a rima baciata («ahirondella», piccola «ghironda») pare risalga al Seicento. Don Pietro Santoni, mi ricorda il mio dottissimo amico Umberto Foschi, maestro di Vincenzo Monti, componeva in dialetto. E' tipico ma non sorprendente: in Romagna è ed è stato egualmente forte il culto della classicità e delle lingue classiche e quello del dialetto: ultimo altissimo punto di convergenza. Pascoli: «Zvani» notoriamente nella culla dialettale. Cino Pedrelli, notaio a Cesena e fine poeta dialettale, ha scritto che nella poesia dialettale d'oggi in Romagna spiccano tre «capiscuola»: Olindo Guerrini, Aldo Spallicci e Tonino Guerra. Guerra, nato a Sant Arcangelo nel '20 (romanziere in lingua e cineasta, non dimentichiamolo) ha avuto l'avallo di Contini. Spallicci ebbe a suo tempo quello di Momigliano, che nel suo — speriamo non dimenticato — manuale lo accostò a Heine. Olindo Guerrini. per la poesia dialettale Lorenzo Stecchetti, ha avuto solo l'avallo della sua gente, che per generazioni lo ha mandato a memoria, e lo manda ancora oggi. Purtroppo il dialetto romagnolo è molto difficile e pochi lo conoscono, ma chi lo ha letto bene non ha difficoltà, sotto la sua pelle ridanciana e grottesca, a trovarvi punte degne di figurare vicino ai più antichi Porta e Belli. I «Sonetti romagnoli», vera summa della vita e dell'ideologia del popolo romagnolo, in cui s'affaccia gentuccia assie¬ me a papi e ministri, uscirono postumi nel 1920 e furono il divertimento segreto, la vera voce del cuore del grande Olindo (nato nel 1845 e morto noi 1916). Il solco della poesia dialettale -romagnola si spezza due volte: dopo Stecchetti con Spallicci e dopo Spallicci con Guerra. Dopo l'affresco popolare stecchettiano possiamo dire che l'heiniano Spallicci (si vedano i due volumi dell'opera completa. Garzanti 1975) si muove in area pascoliana, con prevalenza riservata all'idillio agreste (ma con forti e improvvise ventate d'inquietudine moderna). Con Guerra, col suo ritorno dalla prigionia in Germania, quest'area si spacca, anzi va in frantumi. Già ci accadde di rilevare come in Guerra quelli che furono i due idillici «fanciulli» pascoliani si siano trasformati in due «bagarozzi» che s'incontrano, si fanno feste e moine, poi si mangiano graziosamente. «Du bagaròzz i se incuntré - e i se guardò da in chèva fina i pi; - i s'è base doventi, - i s'è base di dri, - e via ch'i è andè...»: Due scarabei s'incontrano - si squadrano dalla testa ai piedi - si baciano davanti e didietro - e via che vanno (la traduzione è di Roberto Roversi). Poi. può anche essere la fine del mondo: «Al ródimi caroti - a Vs'è fanne, - a 'l pépi ad ter a còla - a Y s'è brusè la saira...»: Le ruote dei carri - si sono fermate. - alla sera le pipe di cotto - si sono spente - durante la veglia nei pagliai. - i muri sono-****^ - le crepe scendono - come fulmini. - Il chiodo della meridiana ^cascalo (la traduzione sempre di Roversi). Come vive adesso la poesia dialettale in Romagna? Ho qui un curioso fascicolo antolosico. G elegante, dal titolo «La pignataza 1976». che raccoglie i vincitori del quarto premio «La pignataza» (pignataccia. pentolaccia) indetto dalla Pro Loco di Casteibolognese (un premio, crediamo, biennale). Lo leggo, trovo che la qualità è buona, nel duplice solco spallicciano e post-spallicciano. o guerriano se vogliamo. I nomi: Leonardo Maltoni. Aldo Padovani. Ido Silvasni. Fausto Ferlini. Alberto P. Piraccini. Mario Vespignani. Sergio Chiodini. Vittorio Tonelli. Onofrio Orioli. Giovanni Bondi. Edoardo Spada. Bianca De Neri. Ferruccio Tassinari. Manfredi Melandri. Attilio-Nanni. Gioacchino Strocchi. Marta Azzaroli. Pietro Costa. A. Gallegati. Nino Baldrati. Giuseppe Bartoli. Gianni Siroli. Mario Pagnani. Giancarlo Brighi. Rino Cortesi'. Achille Martini. La poesia vincitrice di Leonardo Maltoni si intitola «Marilina mòrta» e dice: «,-l pianz guardànd sti flér - ad crasi stòrti drìa maràina...»: Piango guardando questi filari - di croci sghembe sulla spiaggia. - quando ogni croce tra i gabbiani - è un ricordo di giovani - con ancora negli occhi il colore delle fiabe. - Questo mare sdraiato sul battente - mischia il pianto di madri alla risacca - intanto che i miei soffi di preghiera s'arrotolano tra il vento - e fra la sabbia... Mi dice Foschi che ci sono in Romagna almeno tre premi letterari per la poesia dialettale: uno per la «zirudela» che si tiene alla Casa delle Aie vicino a Milano Marittima: un altro a Cesenatico, intitolato al Porto Leonardo, diviso in due sezioni: dialetto emiliano e dialetto romagnolo; un terzo a Castrocaro intitolato a Spallicci. Poi ci sono i «trebbi» (trebbio, trivio: incontro) inventati da Spallicci che fu fondatore della «Pie», la maggiore rivista dialettale (ma anche di buone lettere in lingua) intitolata alla piada pascoliana, che ha sempre seguito e stimolato la poesia dialettale (preceduta, all'inizio del secolo, dal «Plaustro»). Di trebbi se ne tengono quattro all'anno: quest'anno a Sant'Alberto (marzo) a Dozza (aprile) a Verrucchio (giugno) a Rocca San Casciano (settembre). Gli autori che partecipano ai trebbi non sono ■PHfc/ìiissimi, ma Foschi mi fa G anche nomi di autori intorno ai trent'anni come Smeraldi e Muratori. Secondo Foschi dovremmo ricordare oggi Libero Ercolani e Giovacchino Strocchi di Ravenna. Leonardo Maltoni di Cesenatico. Giordano Mazzavillani (scomparso l'anno scorso a Ravenna), di cui sono appena usciti due volumi presso le edizioni del ravennate Girasole di Mario Lapucci. «Ombar e lus» (Ombre e luci) e «La vos dl'anma» (La voce dell'anima) con illustrazioni di Luca Zacctgnini (il figliolo da tempo scomparso dell'onorevole Benigno Zaccagnini): e ancora Wal ter Galli di Cesena. Giuseppe Bollosi di Fusiiinano. Tolmino G Baldassarri di Cervia: mentre a me piace di aggiungere Ermanno Cola di Faenza, che ha pubblicato un volume due anni fa. Foschi mi segnala anche una simpatica curiosità: sotto Natalo è uscito un libretto di poesie dialettali dalle scuole elementari di Civitella. curate dal maestro Tonelli. col titolo «Poeti in grembiule». La poesia dialettale romagnola è veramente un mare e non importa che i problemi di grafia siano lontani dall'essere risolti. Ci ha provato un glottologo di fama europea come Friedrich Schurr. che ha anche pubblicato un testo fondamentale come «La voce della Romagna» (Il Girasole. 1974) in cui è delineata esattamente l'area del dialetto romagnolo in base al reticolalo delle isoglosse. Resta il fatto che altri nomi andrebbero citati e vorremmo ricordare almeno altri due Guerra. Lino ed Enzo, di Lugo. Lino modernissimo e singolarissimo autore di «Cante e poesie» uscite postume nel 1939 con presentazione di Balilla PratelI.t e il . eurcm un vòusi» (Le voci. ed. del Girasole. 1975). Vorremmo concludere citando, su sueszerimento di Cino Pedrelli. Walter Galli, vincitore ex-aequo del sesto Premio Nazionale Lanciano, dalla raccolta «La pazinzia» (La pazienza). Al di là della tematica sociale spiccano motivi esistenziali come quello della morte, la «Gnafa» (la camusa), che Pedrelli riconduce a Diodoro Zona nelIVAntologia Palatina». «Gnafa. a m'araememd. - dai un'uceda a che hahin - imeni eh 'e scala zo ad là de' /ioni. - Dai una mèn...»: Gnafa. mi raccomando - dà un'occhiata a quel bambino intanto che scendo giù di là dal fiume. - Dagli una mano, por carità. - che non inciampi, povero piccolo. - fagli coraggio so ha paura dell'acqua - cosi solo, nel buio: - prendilo in collo, che non abbia - freddo con quei piedini scalzi. Claudio Marabini