L'editore americano guarda a Hollywood di Furio Colombo

L'editore americano guarda a Hollywood L'editore americano guarda a Hollywood NEW YORK — Vi sono studiosi della letteratura americana che sostengono la possibilità di dividere le «scuole» del romanzo americano non secondo l'epoca, lo stile, gli antecedenti o le origini, ma attraverso una semplice identificazione geografica. Se questo percorso viene preso sul serio, una delle più importanti fonti di ispirazione per la narrativa americana risulta essere Hollywood. Forse perchè tanti scrittori, celebri e ignoti, sono indotti a trapiantarsi sotto il sole californiano dalle promesse dell'industria cinematografica e — adesso — di quella televisiva. L'elenco, che si apre con il più illustre di questi scrittori, lo Scott Fitzgerald del Last Tycoon, ha i suoi celebri capitoli con II parco dei cervi, di Norman Mailer, con la Myra Brickendridge di Gore Vidal, con Plaiys As It Lays» di Joan Didion e They Shoot Horses, Don't They di Horace Me Coy. Sono citazioni in ordine cronologico e, in qualche tnodo, anche di valore (anche se il Mailer e il Vidal ispirati da Hollywood non sono confrontabili in nessun modo) se non altro per indicare che la strada non è in salita. Ma nelle librerie e presso le caseedilu^ il genere continua ad essere f otTe^"^* Qualunque editor drizza le orecchie se un personaggio con connessioni hollywoodiane si fa avanti ad offrire un libro. Peggio. L'industria editoriale si aggrappa disperatamente alla coda del cinema, pubblicando, quasi a caso (forse sperando nella legge dei grandi numeri) qualunque cosa derivi dal cinema: i frammenti di un copione, i sussurri di un divo, il diario di una truccatrice. gli appunti di lavoro gettati nel cestino da Robert Altman, e qualunque riproduzione possibile dei testi originali. Infuria, ad esempio, la moda del romanzo tratto dal film, ricostruito cioè, in forma narrativa, da uno scrittore abbronzato e disoccupato sulla base della scaletta di un film. La scarsa dignità della palude lascia ancora qualche spazio per prendere nota di libri diligenti fBogey's Baby, pubblicato da Knopf) e di libri interessanti, se non altro per l'esperienza che li ha ispirati, come Perdido di Jill Robinson. Bogey, lo dice il titolo, immerge la penna in quella fontana magica che porta i nomi di Humphrey Bogart e Laureen Baccal. una vena che nel mito cinematografico americano non si esaurirà mai, forse perché è la somma di tutti i miti. La forza dell'immaginazione è tale, nella storia della celebre coppia, che ha la forza di condannare quella dei due che è sopravvissuta (la Baccal) a vivere nel passato, ad apparire solo come una citazione di se stessa, anche se continua ad essere un'ottima attrice e un'ottima fonte di incassi teatrali. Bogey non dice niente di nuovo. Ma ricostruisce pazientemente tutti i momenti standard dei due grandi di Hollywood, seguendo (inconsciamente?) il modello di Casablanca: fare in modo che non manchi mai nessuno dei classici materiali del plot romantico: amore, rischio, fatalità, privilegio, grandezza. E mancanza del lieto fine. Non c'è ragione di pensare che il libro non vivrà dì un lungo e felice successo vicario (in luogo dei film, in luogo dei miti) visto che l'autore se ne è impossessato dopo avere studiato bene la formula di riproduzione. Perdido, ultimo arrivato in questa stagione narrativa americana, è invece andato direttamente nello scaffale dei best-seller. Per questo immediato e straordinario successo aveva un pedigree eccezionale, che deve avere provocato salivazione e impazienza editoriale, fin da quando la prima paginetta della proposta è arrivata sulla scrivania del publisher della Martin Press. Chi è l'autrice? E'l'erede di un grande, bizzarro, fortunato e violento tycoon della prima Hollywood. Qual è la storia? E' la vita di una ragazzina che — nipote di un grande, bizzarro, fortunato e violento tycoon di Hollyivood — cresce nelle sale di proiezione e perde presto il rapporto col reale, per legarsi, anima e corpo, conscio e subconscio, al mondo di celluloide (come si diceva allora, prima che fosse inventata la pellìcola non infiammabile). Ma la Robinson coltiva il linguaggio dei tempi e provvede a non deludere con eccessive ambizioni artistiche i suoi editori. Dove si svolge la storia? fra il Canyon Perdido (nome di lusso, ma anche nome lontano nel tempo e nello spazio, con )[4 uel suono spagnolo, e q uel significato di perdizione che si coglie anche in inglese), e gli studios cinematografici del Tycoonpatriarca. Come viaggia la piccola? Su una Bugatti color crema, naturalmente. E qual è la vicenda? Amore, gloria, potere, privilegio, illusione, delusione. E la persuasione finale, che deve avere fatto esplodere un grido di entusiasmo nella sala di lettura della casa editrice: «Niente nella vita è così grave che non possa diventare un buon film». Jill Robinson ha un grande vantaggio sui produttori di finta letteratura. E' una creatura semplice che crede alla sua costruzione passo per passo. Ci crede lei, ci crtde l'editore, ci crede il lettore, e un clima rassicurante di persuasione si crea intorno al libro che avrebbe un tema immenso e complesso: realtà e finzione. Ma si esprime meglio nel linguaggio popolare della nostra autrice e dei suoi lettori: «La mia vita è un film». Furio Colombo dalla nipote di un "tycoon,,

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