FLAIANO: IL CINEMA COME CONSOLAZIONE
FLAIANO: IL CINEMA COME CONSOLAZIONE Riflessioni sui film italiani nel FLAIANO: IL CINEMA COME CONSOLAZIONE T5 ALJTORIOGR AI ! SMO c/ie c/c/ri/iM la , sua onera letteraria — noia Cristina Bragaglia clic ha sediti e commentato le "Lettere d'amore al cinema" di Knnio Flaiano (Rizzoli, pagine 243. lire 7.000) —fa anche qui la sua comparsa, favorito proprio nati approccio "casuale", empirico, non insidiato da pregiudizi teorico-estetici, che Fiatano presenta nella sua pratica di critico». Non armato di corazza scientifica e non aspirante ad alcuna accademia, l'autore di « Tempo di uccidere» ebbe agio di essere se stesso anche frequentando le sale cinematografiche, dalla estate del 1939 alla fine del 1951. La frequenza, oltre tutto, coincise con il lavoro di soggettista e sceneggiatore (i primi contatti sono deì"41). che l'avrebbe assorbito interamente vietandogli di proseguire il discorso letterario iniziato nel *47 con il romanzo di cui s'è detto. Più d'una volta, forse. Flaiano ebbe l'impressione di essere stato rovinato dal cinema. Ma non fu mai tanto presuntuoso da confessarlo. In realtà, se da una parte il cinema lo travolse in una routine affannosa, dall'altra gli forni quella dimensione contratta e spedita, quell'esigenza di concretezza e di vivacità fulminea che più si addicevano al suo modo di tradurre la vita in letteratura. Le recensioni di film (su «Oggi». «Documento». «Star», «Bis» e. soprattutto. «Il Mondo») non sono — come pretende il titolo del volume — Lettere d'a¬ more (nulla di più lontano dai suoi gusti), ma costituiscono certamente la migliore introduzione possibile al cinema (e alla letteratura) di Flaiano. Il quadro è presto disegnalo. Amava «Ossessione» perché ne apprezzava il linguaggio («La macchina è mossa con una sapienza rara e indiscreta, il quadro è sempre denso, vive di vita propria»). Diffidava della schematicità politica della «Terra trema» («Il film di Visconti è il frutto di una rara capacità di applicazione e merita il massimo rispetto; ma è d'altro canto una riprova della nota verità che gli argomenti politici possono arricchire un'opera d'arte soltanto se assorbiti e trasformati poeticamente»). Riconosceva i meriti di «Roma, città aperta» («L'effetto è raggiunto con mezzi quotidiani, copiando la vita con la puntigliosità di chi la vede soltanto nelle apparenze»), ammirava il rigore di «Stromboli» («Il tono del film è questo: spietato nella sua semplicità, senza personaggi che chiedono la nostra simpatia»). Rifiutava l'estetismo di «Riso amaro», elogiava (purtroppo) ii «verismo patetico» di «Cielo sulla palude». Fu tra i primi a comprendere il senso dei cinema di Antonioni («"Cronaca di un amore" non è il dramma che forse il pubblico, per certe sue induzioni, si aspettava: non concede nulla alla clamorosa curiosità, cerca i suoi effetti nello studio dei personaggi, ostenta civetteria nella sua prudenza»). Secchezza, precisione, pudore: questo era il cinema che amava (e faceva) Flaiano.
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