Stasera vengono a cena Renoir, Degas e Cèzanne

Stasera vengono a cena Renoir, Degas e Cèzanne Stasera vengono a cena Renoir, Degas e Cèzanne Sta per uscire «Ricordi di un mercante di quadri» di Ambroise Vollard pubblicato dall'editore Einaudi (pagg. 320, lire 5400): un iibro di memorie in cui rivivono incontri, esperienze, figure di grandi artisti che hanno caratterizzato oltre mezzo secolo della pittura francese. Par gentile concessione dell'editore pubblichiamo alcune pagine. COME fu che conobbi la pittura di Cézanne? Per la prima volta vidi un quadro del pittore — le rive di un fiume — nella vetrina di un piccolo negoziante di colori in rue Clauzel, il «babbo» Tanguy. Sentii come se avessi ricevuto un colpo nello stomaco. Altre due persone si erano fermate, contemporaneamente a me, davanti al quadro: un borghese e sua moglie. — Guarda se non è una cattiveria deformare così la natura! — diceva l'uomo, che portava il cappello a bombetta. — Quegli alberi che non stanno in piedi ! Quella casa che pare che caschi... e quell'acqua! E' acqua o piombo? Il cielo, poi... ! Se la natura fosse così, uno non avrebbe più nemmen voglia di andare in campagna. In quel momento sopraggiunse un operaio con la borsa degli arnesi a tracolla: — To'! — esclamò. — Un posto dove mi piacerebbe andare a pescare la domenica! Il borghese si allontanò sdegnoso. Per conto mio rimpiansi che le mie magre risorse di studente non mi permettessero di comperare quella tela. Pensavo: «Che bel mestiere, il mercante di quadri! Starsene tutta la vita in mezzo a simili meraviglie ! » Così, appena entrai nel mestiere, il mio primo progetto fu di fare una mostra di quadri di Cézanne. Ma prima mi era necessario entrare in rapporto col pittore': compito particolarmente arduo, perché Cézanne non dava mai il suo indirizzo. Mi dissero però che avrei certamente potuto trovarlo nei dintorni di Fontainebleau. Quanti viaggi vi feci inutilmente, quante visite negli alberghi più frequentati dagli artisti; finché mi venne l'idea di avviare le mie ricerche fra i negozianti di colori della città. Ne avevo interrogati tre. Sempre la stessa risposta: — Il signor Cézanne? Non lo conosciamo —. Andai a cercare il quarto ed ultimo. Finalmente! — Il signor Cézanne? Aspettate... Ora ve lo indico. E mi additò una casa. Mi precipitai: macché! Mi risposero, lì, che Cézanne aveva cambiato casa di recente, senza lasciare il nuovo indirizzo. Un inquilino, vedendo il mio aspetto deluso, mi disse: — Forse vi posso essere utile: ho sentito il signor Cézanne dare il nome di una strada a uno degli uomini che facevano il trasloco. Era una via di Parigi che ha un nome di animale e anche un nome di un santo. Fornito di quest'indicazione vaga, ma nondimeno importante, tornai a Parigi, e poche ore più tardi, in un caffeuccio, stavo già consultando un elenco delle vie della capitale. Non trovai alcuna strada che portasse un nome d'animale insieme a quello di un santo. Ma tutt'a un tratto lessi: «Rue des Lions». n nome d'animale c'era. Conoscevo nello stesso quartiere una rue des Jardins che veniva anche detta rue des Jardins Saint-Paul, a motivo della chiesa di ugual nome. Ne dedussi che anche la rue des Lions potesse chiamarsi rue des Lions Saint-Paul. Deciso a suonare ad ogni porta, cominciai dal numero 2 ed ebbi la felice sorpresa di sentirmi rispondere dalla portinaia: — Il signor Cézanne? Abita qui. Lui non è in casa, ma c'è suo figlio. Il giovane mi accolse con la massima cortesia. — Cercherò di convincere mio padre ad affidarvi qualche suo quadro per la vostra mostra, — mi disse quando gli ebbi esposto la ragione della mia visita. Poco tempo dopo mi arrivarono circa centocinquanta diverse opere del pittore. Le tele erano arrotolate, e i miei limitati mezzi di quel tempi mi permisero di presentarle al pubblico semplicemente distese su bastoncini da due soldi il metro. Pochi cenni basteranno a far capire come si fosse ancora lontani, allora, dall'apprezzare la pittura del maestro di Aix. Da notare, in primo luogo, l'indignazione di certi artisti che non si limitavano a gridare allo scandalo come i primi venuti, ma, nella convinzione che quella pittura potesse trovare acquirenti, si consideravano lesi negli interessi non meno che offesi nella loro dignità. Ricorderò anche il giudizio di un critico d'arte del «Journal des Artistes» che denunciava «la trambasciante visione di quelle atrocità all'olio, che oggi superano la misura dei funambolismi legalmente permessi». [...] VERSO il 1901 ricevetti la visita di un giovane spagnolo, vestito con ricercatezza. L'aveva condotto da me un suo compatriota che io conoscevo un po' e che aveva un nome come Manache. Era un industriale di Barcellona, e ricordo che un giorno, trovandomi di passaggio in quella città, mi aveva fatto visitare la sua fabbrica: nell'entrata c'era la statua di un santo cori una lampada ardente. — Pensate, — mi spiegò, — sono gli operai che forniscono l'olio; fintanto che arde la lampada, sono sicuro che non fanno sciopero. Il compagno di Manache altri non era che Pablo Picasso. Aveva allora tra i diciannove e i vent'anni, ma era già autore di almeno un centinaio di tele, che era venuto a portarmi in vista di una mostra. Questa mostra non ebbe alcun successo e per molto tempo Pi¬ casso non trovò migliore accoglienza presso il pubblico. Anche se mi sono vietato qualsiasi incursione nel campo della critica d'arte, mi sia permesso di dire qui una parola sull'epoca «cubista» dell'artista, in un momento in cui nessuno, né passanti, né amatori, né critici, né gli stessi pittori acconsentivano a riconoscere .£.he si potesse scorgere nella natura atasfewsE»% ■ che un accostamento di forme geometriche. Sia quel che sia, il cubismo, che doveva esercitare un'influenza così importante sull'arte decorativa e su tutto un gruppo di giovani artisti, prima ancora di imporsi a Parigi, andava facendosi strada in Germania, paese, come è noto, avido di novità, e ben presto anche negli stati scandinavi e nelle due Americhe. A tale proposito un newyorchese, appassionato alle controversie sul cubismo e desideroso di conoscere il capo della nuova scuola, fece un viaggio fino a Parigi. Una stella aveva condotto i Re Magi verso la stalla di Betlemme; ma non se ne trovò nessuna per guidare l'americano all'umile studio dove si elaborava la nuova dottrina. Egli sapeva solo che era a Montmartre; si mise perciò a esplorare tutti gli angoli della Butte interpellando passanti, autisti, strilloni, portinaie sui portoni delle case, operai in vestito da lavoro e domandando a ciascuno: — Cubismo? Cubismo? — l'unica parola che sapesse pronunciare in francese. Ma non ricevendo risposta da nessuno finì per convincersi che il cubismo aveva cessato di esistere. Senza andare oltre.

Persone citate: Ambroise Vollard, Degas, Einaudi, Pablo Picasso, Renoir, Tanguy

Luoghi citati: Barcellona, Betlemme, Germania, Montmartre, Parigi