Duvert: delirio dell 'omosessuale

Duvert: delirio dell 'omosessuale Duvert: delirio dell 'omosessuale Tony Duvert RECIDIVA Prefazione di Guido Davico Bonino Pratiche, Parma 99 pagine, 2500 Ire DOPO dieci anni e una mezza dozzina di libri, il nome di Tony Duvert gode ancora del prestigio del suo primo mallevadore — quel Jerome Lindon che fu l'oculato patrono della non dimenticata stagione del nouveau roman — e della stima incondizionata di quell'esigua ma selezionatissirna schiera di lettori che avevano salutato con entusiasmo il suo precoce debutto come narratore. A relegarlo nel novero dei grandi scrittori per pochi iniziati non sono state particolari ricercatezze della scrittura né concrete asperità del pensiero, ma soltanto la scelta preclusiva di un tema tra i meno accettabili: la pederastia. Fortissime remore morali e ancora più forti censure sociali colpiscono da sempre questa particolare manifestazione dell'istinto omosessuale che, in letteratura, non ha trovato finora espressioni molto dissimili dalla famosa invettiva lorchiana contro gli «assassini di colombe». Duvert celebra invece questo tipo di sessualità, ne descrive con crudo compiacimento gli squallidi riti, ne tenta una sofferta trasfigurazione onirica. Nella sua pagina non ci sono tracce della tensione tra norma e devianza, non ci sono giustificazioni o polemiche e neppure scoperta provocazione. Il lettore fatica non poco ad accettare questo radicale spaesamento, ed è molto dubbio se lo sforzo della lettura gratifichi maggiormente la sua coscienza civile o quella estetica. Solo a prezzo di una reale emancipazione e dUj^j^^soluta tolleranza si TttnjiyTrffocomprendere che, come acutamente sottolinea Guido Davico Bonino, «"Recidiva" non è il diario intimo di un pederasta caparbio e tanto meno un romanzo naturalistico, che "mima" veristicamente ,i corteggiamenti e gli Incontri casuali di un seduttore di giovinetti. "Recidiva" è, all'opposto, il romanzo di un Viaggio dalla Solitudine alla Morte». Ma il problema non sta qui: solitudine, viaggio e morte sono effettivamente il lugubre contorno di una condizione esistenziale che esalta la propria disperazione, una tragica realtà che si intuisce soggiacente all'affannoso incalzare di un ossessivo delirio sessuale. E poco importa, almeno da questo punto di vista, che la solitudine sia quella dell'amore pederastico, il viaggio si compio tra latrine e alberghi immondi e la morte abbia i gelidi sussulti della necrofilia. Il problema è nella fragile consistenza di un libro che, oscillando abbastanza goffamente tra i due poli della nuda esibizione e della fastosa celebrazione e azzardando ardimentosi soprassalti sintattici e laboriosi andirivieni tra la prima e la terza persona narrativa, cerca inutilmente un equivalente strutturale e stilistico alla scabrosa originalità della sua materia. Duvert insomma non è Rimbaud, ma soltanto uno scrittore che ha la particolarità di dire con intrepida innocenza e calcolato artificio cose terribili e disgustose. Non nascondiamoci tuttavia che la censura estetica può essere l'estremo e inconscio rifugio della censura morale e che le riserve del gusto possono offrire un qualche risarcimento a chi voglia minimizzare l'infrazione di un tabù; ma come toglierci il sospetto che, anche in questo caso, il tabù non sia altro che un comodo deterrente per salvaguardare da sguardi profani una realtà (letteraria) tra le più prevedibili e modeste? Giovanni Boglioio

Persone citate: Giovanni Boglioio, Guido Davico Bonino, Jerome Lindon, Rimbaud, Tony Duvert

Luoghi citati: Parma