Briganti per un regno senza zar

Briganti per un regno senza zar Romanzo storico di un decano della letteratura bulgara Briganti per un regno senza zar Stojan Zagorcinov L'ULTIMO GIORNO Edizioni Paoline, Milano 483 pagine, 6000 lire SOTTO lo zar Ivan Alessandro «Doppiabarba» (1331-1371), si avvia al suo «ultimo giorno» il Secondo Impero Bulgaro, nato alla fine del XII secolo. E' la luce di questo crepuscolo tragico ed esaltante a riverberare dalle pagine del romanzo storico che Stojan Zagorcinov — decano, oggi, della letteratura bulgara — scrisse al principio degli Anni Trenta, e di cui viene adesso riproposta al lettore italiano una dignitosa traduzione. Il teatro dell'azione è un paese di regge dallo sfarzo barbarico e di impervi castelli, ma soprattutto di grandi boschi, di poveri villaggi contadini — grumi di capanne nel cerchio di una radura —, di fumose locande ai crocicchi delle strade di terra battuta, di conventi e di eremi. Sulle montagne e lungo le vallate si annidano comunità di bogomili, di esicasti. E lì è anche il regno degli junatzi, i «prodi», briganti di varia estrazione: ex-servi della gleba, ex-conversi di monastero. I veri protagonisti del grande polittico di Zagorcinov sono proprio questi «re della foresta». Scampati alle ire di un boiaro o sopravvissuti a qualche disperata jacquerie, essi coltivano più o meno segretamente il progetto di un utopico «regno senza zar, senza boiari e senza otrotzi», senza servi della gleba, dove «gli uomini possano vivere liberi e felici» : un progetto ricorrente nel mondo slavo (si pensi alle epiche rivolte russe di Sten'ka Razin, di Pugacèv), ma che in Bulgaria si aumentava anche dell'ideologia antifeudale del bogomilismo. Sarà Moncil, coraggioso e romantico capobanda, «voivoda» degli junatzi, a incarnare per breve tempo il mito dello «zar-contadino» nella nativa Rodope. Ma intorno l'impero bulgaro è ormai in pieno sfacelo. Zagorcinov maneggia e orchestra una simile materia con notevole sapienza, trovando una sua efficace pista narrativa lungo la linea di intersezione fra romanzo storico ottocentesco ed epos popolare balcanico. Il libro che ci dà, pur intarsiato di stilemi folcloristici e continuamente tentato dalla rapsodia, sa mettersi ben al riparo dall'affabulazione troppo scoperta grazie a un senso robusto, quasi terragno del dettato cronistico: quello che si ritrova negli esiti più felici dell'annalistica medievale slava. Quest'aderenza ai «fatti», alla realtà bulgara del Trecento, mcontra'una conferma nelle fitte note dei curatori dell'opera, sovente utilissime, talvolta ridondanti, qua e là segnate da un eccesso di «etnocentrismo», per dir cosi. Non ci sembra molto corretto, ad esempio, defimre «superstiziose usanze» le pratiche rituali bogo- mile, e appare fuori luogo un certo atteggiamento di sussiego nei confronti degli esicasti (fuggiti davanti all'invasione turca, essi influenzarono e arricchirono sensibilmente la cultura religiosa russa, e del loro misticismo rimase una traccia, un sigillo inconfondibile nell'opera pittorica di Andrej Rublèv). Remo Faccani

Persone citate: Andrej Rublèv, Faccani, Ivan Alessandro, Razin, Stojan, Stojan Zagorcinov

Luoghi citati: Bulgaria, Milano