Walser e il sapore dell'essere felici

Walser e il sapore dell'essere felici Torna un capolavoro dello scrittore svizzero Walser e il sapore dell'essere felici Robert Walser L'ASSISTENTE Nuovi Coralli Einaudi Torino 260 pagine, 3800 lire JL-1 ri- RO un giovanottino, _j cordo, quando lessi per la prima voi la Der Gelitilfé («L'assistente») dello svizzero Robert Walser (1878-1956). passato nella vita in punta di piedi, apprezzato altamente da alcuni grandi (Kafka. Hofmannsthal. Musil. Benjamin), poi rinchiuso in un manicomio dove tini i suoi giorni. Ricordo anche ii periodo in cui ebbi, sulle pagine deìYAssistente, il primo incontro con lui. Era. per me. un periodo decisamente triste. Una mattina mi parve di essere arrivato con la faccia al muro. Ma. proprio allora, mi si accese un lampo interno, quasi una voce chiarissima e muta: «Coraggio, c'è p r sempre L'assistente di Walser». Il muro rivelò una porta, anziché batterci il muso passai oltre. Nel 1961. tradotto egregiamente da Ervino Pocar, L'assistente giungeva tra noi. In quello stesso anno Aloiso Rendi ci faceva conoscere, in antologia, racconti e prose varie. Ma solo dopo il 1970. con ('«operazione Adelphi». Walser sbarcava in Italia alla grande (Jakob von Glinten. La passeggiata, I fratelli Tanner), e anche il più distratto dei nostri recensori lo metteva al posto che gli compete: che è. quanto meno, la prima fila. Ora L'assistente torna nella stessa versione pocariana. E tornano i miei ricordi di allora. Vado a leggermi la presentazione di Claudio Magris, di finezza e attenzione straordinarie, al suo solito. E vedo che si parla di felicità, anche di felicità, ma in un contesto di colore più cupo. Walser, in sostanza, si chinerebbe sui brevi istanti gioiosi dell'effimero perché ogni altra certezza e struttura e possibilità di stile grande, di sintesi totali è crollata. Ultima voce armoniosa eli un mondo ormai in disi irmonia, ultimo maestro di una l'orma di totalità che dopo di lui sarà irrimediabilmente travolta. Può darsi benissimo, anzi la cosa risulta molto plausibile. Ma è un fatto d'in'.en.sità, a parer mio. Gli attimi, non poi tanto rari, anzi inserti in una sorta di continuità, in cui Walter ci dà il sapore abbagliante dell'essere felici, del dono quasi insopportabilmente bello che è lo stare al mondo, sono di una tale densità e forza da costituire quasi una «totalità» nuova, una scoperta che. da conforto e forse evasione individuale, si trasforma in filosofia e messaggio collenivo. Walser. forse, crollate le vecchie ideologie, potrebbe essere il primo profeta di un'età che. pur non disprezzando i sistemi filosofici e politici, scopra però che l'importanza vera della vita è la vita stessa, che il valore rivoluzionario del nostro esistere è nel ronzio di un'ape, nel lume schermato di una lampada, nel sorriso di un vecchio al sole. Escapismo? Disimpegno? Soggettivismo egoistico? "Dipende da come lo si prende. Forse anche queste parole non dovrebbero più farci paura, se vogliamo costruire, ma tutti insieme, un nuovo umanesimo, cioè un nuovo regno dell'uomo e di Dio. Se questo avverrà, scartando gli opposti scogli della caserma totalizzamele del caos, Walser sarà stato un piccolo Diogene un po' folle con la sua lanterna fiduciosa. E allora •>i capirà che non esistono storie grandi e piccole, personaggi grandi e piccoli. Ci renderemo conto che la vicenda quasi buffa di Giuseppe Marti, giovane bonario che va a fare il tirapiedi in casa di un inventore pasticcione e della sua incantevole moglie, poi è costretto a lasciarli, col cuore pieno di tenerezza, quando le cose vanno male e il fallimento batte col suo martello di ferro, intrinsecamente non è meno grande delle avventure di Ulisse, dei vagabondaggi di Don Chisciotte.'dei rovelli di Amie-; to. Solo più sommessa. Ma un po' di voce sommessa non può che farci bene, dopo tanto uriaItalo A. Chiusano

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