Greene dietro la porta di Lorenzo Mondo

Greene dietro la porta Incontro con lo scrittore inglese mentre esce il suo nuovo romanzo Greene dietro la porta Nella casa sulla Costa Azzurra ha i libri di Stevenson e Chesterton Si considera un "cattolico agnostico,, E solidale con le guerriglie del Sud America, non con le Brigate rosse Elogio dello scrittore come avvocato del diavolo ANTIBES — Graham Grccne abita al quarto piano di una delle tante Residence des fleurs, in un alloggio modesto che sembra dilatarsi nella luce alta del vecchio porto. Un tavolo da lavoro, qualche quadro alle pareti: un piccolo Hartung che si disfa in tonalità grigie, forse una lito, soverchiata dai fiori violenti di un pittore cubano: «Dietro c'è una dedica di Fide! Castro». Alto, giovanilmente alacre nonostante i 74 anni, Graham Greene si arrende alla curiosità divagante degli ospiti italiani, spalanca gli occhi azzurrissimi. ha il sorriso pronto. Nella sua biblioteca, sull'ultimo scaffale, spiccano le opere di Stevenson e di James, manca Conrad, ma niente paura: si trova, al completo, nella sua casa di Parigi. Un largo spazio della libreria è occupato da opere di problematica religiosa: Péguy e Chesterton sì, ma anche Brémond, Newman, l'autobiografia di Tyrrel. una vita del cardinale' Manning. Tutto il bagaglio, un poco obsoleto anche per lui, del neoconvertito, del transfuga dalia Chiesa Aita d'Inghilterra. Adesso, camminiamo lungo il mare parcheggiato di yacht immacolati, la brezza smuove i radi capelli aridi di Graham Greene, propizia il suo passo leggero di vecchio adolescente in maglietta e scarpe di tela. Si definisce «un cattolico agnostico», ricorda il mesto stupore di Paolo VI, «un papa liberale», quando lui gli rivelò che // potere e la gloria era stato messo all'indice: «Dal cardinal Pizzardo? Ah, sì», e Paolo VI scuoteva la testa. Ma Greene non accetta di essere messo alle strette. La conversione è una storia lontana, legata tra l'altro all'incontro con una donna alla quale ha voluto molto bene, che non è più con lui. «C'è presenza cristiana in quei posti, come in Sud America, dove ci sono uomini che si impegnano contro la povertà e l'oppressione». Lui, che ammetterà di essere stato turbato, nel 1938, dal coraggio e dalla dignità dei cristiani perseguitati del Messico. Siamo qui con Mario Soldati, con Domenico Porzio che ha portato a Greene una copia freschissima della traduzione italiana del Fattore umano, l'ultimo romanzo. «Mi è costato molta fatica, come sempre quando si interrompe un libro e lo si riprende più volte a distanza di anni». Di questa storia d'una spia aveva già scritto venticinquemila parole quando scoppiò il caso Philby, l'agente segreto inglese passato ai servizio dell'Urss. Greene, che ancora una volta aveva rivelato virtù anticipatrici, sospese il lavoro, non voleva dare l'impressione di essersi ispirato a quella vicenda imbarazzante: oltre tutto. Philby era stato il suo capo ai servizi segreti durante gli anni della guerra. Il «fattore umano», spiega, sono i rapporti privati, gli affetti personali che entrano in conflitto con la società e costituiscono per ogni uomo un elemento di debolezza, di inermità. Sta scritto nell'ambigua epigrafe conradiana che apre il romanzo «Io so soltanto che chi stringe un legame è perduto. Il germe della corruzione gli è penetrato nell'anima». Nella trattoria, dove sembra di casa, Greene si scusa perché non c'è più Beaujolais, lo ha bevuto tutto lui, chiama a testi- mone il padrone, che forse rimedierà un'ultima bottiglia. Ma l'atmosfera conviviale scatena l'estro mimico e recitativo di Mario Soldati. Prima racconta la storia di un film La mano dello straniero, che egli trasse da un racconto inedito di Greene: per Soldati, è la storia di una sconfitta, della sua viltà davanti a quei cani di produttori che gli imposero, come protagonista, un bambino sbagliato. Poi parla di Greene, che egli considera suo fratello maggiore, lo scrittore che lui avrebbe voluto es¬ sere e sarebbe se non fosse per l'impaccio della maledettissima lingua italiana, impossibile a trattare e sconosciuta ai più. «Mi è mancato l'inglese, l'inglese!», urla modulando la voce in toni di finta disperazione. «Datemi almeno il francese!». E si scaglia contro Giuseppe Prezzolini. che dirigeva la Casa italiana alla Columbia University e che gli avrebbe impedito! negli Anni Trenta, di diventare cittadino americano. Prezzolini che definì America primo amore un «acido pamphlet». «Lo ammiro. malgrado tutto, ma lo odio, lo odio, mai potrò perdonargli: per colpa sua, capite, non sono diventato un Nabokov». Poi. rivolto al «fratello maggiore» che CC sta parlando di Philby, uno che. tra l'altro, sapeva scrivere, dice: «I russi si sono presi Philby e ci hanno dato Solzenicyn. Che cosa ne pensi, Graham, di questo Solzenicyn, riesci a leggerlo?». Greene afferma di apprezzare soprattutto, del dissidente sovietico, // settimo cerchio e Agosto 1914. Superato il pretesto, rimbalzano domande sui suoi veri autori, quelli formativi o che siano comunque spia di vantaggiose idiosincrasie. James, certo, e Conrad, un poco al di sopra di Stevenson. Nonostante tutto. Madame Bovary vale più di Bouvard et Pécuchet. Tra i contemporanei (dopo il rituale omaggio a Moravia, a Calvino e. più indietro, a Manzoni) apprezza soprattutto i sudamericani. Accenna a Ernesto Sabato, a Borges, e non può trattenersi dal raccontare un episodio sull'autore dell'Aleph, quasi rapito e incantato dalla sua sostanza umana. Quando in Argentina tornò al potere Peron. qualcuno telefonò a casa di Borges con minacce di morte. Rispose la madre: «Se volete me. fate presto, perché ho novant'anni. Se volete lui. non ci sono difficoltà, perché è cieco». Qualcuno lo invita al vecchio gioco di scegliere un libro da \— C portarsi in un'isola deserta e definitiva: «Ma non c'è un libro per l'eternità». Accetta allora di stilare un elenco di dieci autori: «Shakespeare, Browning, Hardy, magari Yeats... La Bibbia? Il Vecchio Testamento è il libro più noioso che mi sia accaduto di leggere...». Sottoponiamolo a test, invitandolo a scegliere tra i «mostri» del secolo. Non ha esitazioni, sta per Thomas Mann. Di Joyce ama i racconti, ha provato a rileggere l'Ulisse, ma con un certo tedio. «Kaf\a, come non ammirarlo? Ma non mi appassiona. Leggendolo mi sento strìngere da un cerchio alla lesta, come dal dentista, quando frugu e fruga... Proust? Non amo la narrazione in prima persona, ma Dickens, nei racconti, lo aveva già preceduto». Al di là della boutade, l'impressione è di scelte meditate, sicure, senza fughe in avanti. Cosi, non ama nella sua scrittura la metafora («« meno che non sia inconscia»), preferisce la similitudine, l'aderenza alla realtà garantita comunque da un esilissimo «come». In altra occasione, parlando dei compiti dello scrittore, della sua moralità civile, lo definì «una spia in territorio nemico». Adesso preferisce parlare di «advocatus diaboli», servirsi provvisoriamente del maligno, come santa madre Chiesa, per smascherare le false coscienze. Inclina al socialismo nei paesi capitalisti e viceversa: rifiuta, pragmaticamente. di andare più in là. Detesta abbastanza gli americani, e non soltanto perché gli negarono un visto d'ingresso al tempo della guerra in Vietnam: «Dopo Lincoln, non hanno più avuto un presidente uccellabile». L'Inghilterra? «Londra è sporca», dice. E poi: «Nel sedicesimo secolo la Gran Bretagna era un grande piccolo paese, < gg: è un piccolo grande paese». Giudica l'eurocomunismo, al più, un generoso sogno. Distingue tra guerriglia e guerriglia. c ce w C T parla con simpatia, con calore, di quelli che combattono, in Nicaragua, la dinastia dei Somoza. 11 Sud America lo affascina sempre, gli sembra di cogliere laggiù, più che altrove, la storia in divenire. Non sa trovare giustificazioni per le Brigate rosse italiane, per la loro stupida crudeltà senza sbocchi, rivolta contro persone innocenti e inermi. «Non esiterei ad applicare nei loro confronti la pena di morte. L'assurdo che sia lascialo a quella gente il privilegio di uccidere. Loro sono già in guerra... E' vero che iprigionieri di guerra vanno rispettati, eppure... E' un problema...». «Non badategli, non badategli» strilla Soldati. «Se fosse convinto che l'Italia è davvero nei guai, sarebbe già vernilo a trovarci. Graham è un segno infallibile». Graham sorride, sgranando gli occhi celeste pallido, impassibili, lontanissimi. Lorenzo Mondo