Un giocatore sconfitto anche nei sentimenti

Un giocatore sconfitto anche nei sentimenti gine del diario inedito della Suslova e in uno sceneggiato televisivo Un giocatore sconfitto anche nei sentimenti mio dottore? Quel...?». «No, no». Gli ho detto allora che amavo molto quell'uomo. «Sei felice?». «No». «Come mai? Ami e non sei felice, è forse possibile questo?». «Lui non mi ama». «Non ti ama! — si è messo a gridare lui. afferrandosi disperatamente il capo tra le mani —. Ma tu non lo ami forse come una schiava? Dimmelo, devo assolutamente saperlo! Non è vero forse che tu lo seguiresti in capo al mondo?». «No, io... me ne andrò in campagna» gli ho risposto scoppiaj^o^^j^fieTC, «Oh Polja, perché devi èssere così disgraziata! Doveva accadere proprio questo: che tu t'innamorassi d'un altro! E io lo sapevo! Tu ti sei innamorata di me per sbaglio, solo perché hai un cuore grande e avevi aspettato fino a ventitré anni; tu sei l'unica donna che non pretende mai nessun impegno, ma anche questo non è giusto; essere un uomo o una donna non è la stessa cosa: quello prende e questa dà». Quando gli ho detto di che uomo si trattava, lui mi ha detto che in quel momento aveva provato un sentimento disgustoso: si en_ sentito più tranquillo per il fatto che non si trattava di un uomo serio, non era un Lermontov. Poi abbiamo parlato a lungo d'altro. Lui mi ha detto che era felice di sapere che c'era al mondo un essere come me! Mi ha chiesto di restare sua amica e soprattutto di scrivergli quando mi fossi sentita particolarmente "felice o infelice. Poi mi ha proposto di partire per l'Italia mantenendo dei rapporti da fratello e so^ Ha. Quando gli ho detto che lui probabilmente avrebbe lavorato al suo romanzo, lui ha replicato: «Ma per chi mi prendi! T'immagini forse che tutto ciò passerà senza produrre su di me nessuna impressione?». Gli ho promesso di tornare il giorno dopo. Mi sono sentita sollevata dopo aver parlato con lui. Lui mi capisce. [...] 6 settembre, fi863} Baden-Bctden. Ti viaggio con F[édor] Mjichajlovic] è abbastanza divertente; ha litigato all'ambasceria papale dove si era recato per far vistare i nostri fogli di viaggio; per tutto il viaggio ha parlato in versi, e infine qui. dove con fatica abbiamo trovato due cam[ere] a due Ietti, ha scritto sul registro dell'albergo «Officier», cosa che ci ha fatto molto ridere. Non fa che giocare alla roulette tutto il tempo e in genere è molto spensierato. Durante il viaggio mi ha detto che nutre speranza, sebbene prima mi avesse assicurato di no. Non gli ho risposto nulla, anche se so che ciò non avverrà mài. Gli è piaciuto il fatto che io abbia lasciato con tanta decisione Par[igi]; non se l'aspettava. Ma su questo non si possono ancora fondare delle speranze, al contrario. Ieri sera, tuttavia, queste sue speranze si sono manifestate in maniera particolarmente evidente. Verso le dieci prendevamo il tè. Finito di here il tè. siccome quel giorno mi ero stancata molto, mi sono sdraiata sul letto e ho chiesto a F[èdor] M(ichajiovic) di sedermisi accanto. Mi sentivo bene. Gli ho preso la mano e l'ho tenuta a 'tingo fra le mie. Lui mi ha detto che era molto ''•'lice di starsene seduto così. Gli ho detto che ero stata ingiusta e villana con lui a Par[igi], che certo sembrava che io pensassi soltanto a me stessa, ma in realtà pensavo anche a lui, solo che non volevo parlare per non offenderlo. A un tratto si è improvvisamente alzato, ha fatto per andarsene, ma ha inciampato nelle mie scarpe che stavano lì accanto al letto e allora è tornato subito indietro e si è seduto. «Volevi andare da qualche parte?» gli ho chiesto. «Volevo chiudere la finestra». «Chiudila pure, se vuoi». «No, non è necessario. Tu non sai cosa mi è successo in questo momento!» ha aggiunto con una strana espressione in viso. «Cosa è successo?» e l'ho guardato in viso, dove si rifletteva una violenta agitazione. «Proprio adesso volevo baciarti il piede». «Oh, e perché mai?» ho esclamato profondamente turbata e quasi spaventata, ritirando le gambe. «Me n'è venuta una tale voglia che ho deciso di baciarlo». Poi mi ha chiesto se volevo dormire, ma io gli ho detto di no, che avevo voglia di star „^duta lì con lui. Pensavo di coricarmi e di spogliarmi e gli ho chiesto se sarebbe venuta la cameriera a prendere le tazze. Lui mi ha assicurato di no. Poi mi ha guardato in tal modo che mi sono sentita a disagio, e gliel'ho detto. «Neanch'io mi sento a mio agio», mi ha risposto lui con uno strano sorriso. Ho nascosto il viso nel guanciale. Poi gli ho chiesto di nuovo se sarebbe venuta la cameriera], lui di nuovo mi ha assicurato di no. «Be', allora vattene in camera, voglio dormire», gli ho detto. «Subito», mi ha risposto, ma è rimasto ancora un po'. Poi mi ha baciato con grande ardore e finalmente si è messo ad accendere una candela per sé. La mia intanto si era quasi consumata. «Rimarrai senza luce», mi ha detto. «No, ho una candela intera». «Ma questa è mia». «Ma io ne ho ancora». «Hai sempre una risposta», ha replicato lui sorridendo, ed è uscito. Ma non aveva chiuso la porta e poco dopo era già di ritorno con il pretesto di chiudere la mia finestra. Mi si è avvicinato e mi ha consigliato di spogliarmi. «Ora mi spoglio», gli ho risposto, facendogli capire che a?~ettavo solo che se ne andasse. Allora lui è uscito di nuovo e poi di nuovo è tornato con qualche altro pretesto, dopodiché è finalmente uscito davvero e ha chiuso la porta. Oggi, parlando della scena di ieri, mi ha detto che era ubriaco. Poi mi ha detto che per me era forse piuttosto sgradevole il fatto che lui mi tormentasse in quel modo. Io gli ho risposto che non mi dava nessun fastidio, e ho lasciato cadere il discorso, cosicché lui non ha potuto ricavarne né speranza né disperazione. Ha detto poi che io avevo un sorriso particolarmente beffardo e che lui, probabilmente, aveva fatto la figura dello sciocco, aggiungendo che lui stesso riconosceva la propria sciocchezza, ma che si trattava di una sciocchezza inconscia [...] 17 settembre, Torino. 1863. Di nuovo sento della tenerezza per F[èdor] M[ichajlovic]. L'avevo rimproverato per qualche motivo, ma poi avevo sentito di non aver ragione, mi è venuta voglia di cancellare la mia colpa e sono diventata tenera con lui. Lui mi ha risposto con una tale gioia che mi ha commosso, e così la mia tenerezza è raddoppiata. Mentre gli sedevo accanto e lo guardavo con affetto, lui mi ha detto: «Ecco il ben noto sguardo, che da tanto tempo non avevo più visto». Allora gli ho appoggiato il capo sul petto e ho pianto. Mentre pranzavamo lui, guardando una bambina che prendeva lezione, mi ha detto: «Ecco, immaginati una bambina come questa con un vecchio, e a un tratto un qualche Napoleone che ordina: "distruggere tutta la città". A questo mondo è stato sempre così» [...]. Roma. 29 settembre [1863] Ieri F.M. ha di nuovo cominciato ad assediarmi. Mi dice che considero con eccessiva serietà e severità cose di cui non vale la pena di preoccuparsi tanto. Gli ho risposto che per questo c'era un motivo di cui prima non mi era mai capitato di parlare. Poi mi ha detto che era l'utilitarismo che mi consumava. Gli ho à impesto che non potevo condividere l'ideologia dell'utilitarismo, anche se avevo una certa tendenza a farlo. Lui non era d'accordo e mi ha detto che ne aveva le prove. Era chiaro che aveva una gran voglia di conoscere la causa della mia ostinazione. «No, tu non lo sai, non è questo», rispondevo ogni volta alle sue varie ipotesi. Lui aveva in mente che si trattasse di un capriccio, del desiderio di tormentarlo. «Tu sai — mi diceva — che non si può tormentare così a lungo un uomo; questi, alla fine, rinuncia alla conquista». Non ho potuto fare a meno di sorridere e stavo quasi per chiedergli cosa intendeva dire. «Alla base di tutto questo c'è un motivo — ha cominciato allora a dirmi con aria seria e sicura (dopo però ho saputo che non era sicuro di quel che diceva), — un motivo che m'ispira disgusto: tu tieni il piede in due staffe». Questa inaspettata affermazione mi ha messa in grande agitazione. «Tu speri ancora». Io tacevo. «Ora non rispondi, — ha proseguito lui, — ma non dici più che non è vero». Io tacevo sempre. «Io non ho nulla contro quell'uomo, perché è una persona troppo vuota». «Io non spero affatto, non ho nulla da sperare», ho risposto dopo un attimo di riflessione. «Questo non vuol dir nulla; razionalmente tu puoi negare tutte le tue aspettative, ma questo non t'impedisce di sperare». Lui aspettava una risposta che non è venuta; io sentivo la giustezza delle sue parole. Improvvisamente s'è alzato ed è andato a sdraiarsi sul letto. Io mi sono messa a camminare per la stanza. Tutt'a un tratto qualcosa è cambiato nei miei pensieri, ed effettivamente ho visto balenare una speranza. Senza più vergognarmene ho ricominciato a sperare. Svegliatosi, lui è diventato straordinariamente disinvolto, allegro e maligno. Proprio come se in quel modo volesse vincere l'intima afflizione e il dispetto, e farmela pagare. Io stavo a sentire perplessa le sue strane uscite. Si sarebbe detto che lui volesse volgere tutto in scherzo soltanto per ferirmi, ma io non facevo che guardarlo con occhi meravigliati. «Come sei cattivo», gli ho detto alia fine semplicemente. «Perché? Cosa ho fatto?». «Così; a Parigi e a Torino eri più buono. Come mai sei così allegro?». «E' un'aifegria rabbiosa», mi ha risposto e se n'è andato, ma dopo un po' è tornato. «Non mi sento bene, — mi ha detto con aria seria e triste. — Sto a guardare tutto questo come se ci fossi costretto o se stessi imparando una lezione; pensavo almeno di distrarti». Allora gli ho gettato le braccia al collo con fervore e gli ho detto che lui aveva fatto molto per me e che ne ero molto felice. «No, — ha risposto lui con tristezza, — tu andrai in Spagna». Queste allusioni a S[aIvador] mi davano una sensazione quasi di paura e allo stesso tempo dolcemente dolorosa. Tuttavia, che razza di assurdità in tutto ciò che c'è stato tra me e Salvador]! Che abisso di contraddizioni nei rapporti tra lui e me! F[èdor] M[ichajlovic] ha cominciato di nuovo a volgere tutto in scherzo e uscendo dalla mia stanza ha dichiarato che per lui era umiliante lasciarmi così (era l'una e mezza di notte. Io mi ero già spogliata e stavo a letto). «Perché i russi non hanno mai indietreggiato». (Traduzione di Gianlorenzo Pacini per gentile concessione dell'editore Guanda).

Persone citate: Ietti, Lermontov, Pacini, Suslova

Luoghi citati: Italia, Parigi, Roma, Spagna, Torino