America secondo Barzini di Vittorio Zucconi

America secondo Barzini America secondo Barzini Luigi Barzini O AMERICA Mondadori, Milano, 326 pagine, 6000 lire SI racconta spesso e con gusto fra giornalisti italiani che hanno avuto la fortuna di lavorare in America la storia di un collega — lo lasceremo anonimo — che dopo un soggiorno di una settimana negli Usa tornò a Roma e diede alle stampe il saggio «La Vera Anima dell'America». L'aneddoto, non necessariamente vero ma reso verosimile dall'incessante produzione di occasionali «scoperte» giornalistiche sull'America passata, futura, presente e prossima che si accatastano negli scaffali dei Remainders mi ritornava maliziosamente alla memoria osservando la copertina e il titolo dell'ultima fatica di Luigi Barzini. «O America». Nonché maligno, il ricordo si rivelava presto ingiusto alla lettura: non alla ennesima riscoperta-dettiA-nìerica, ma alla scoperta di Barzini il libro è veramente dedicato. Troppo intelligente, troppo conoscitore d'America è Barzini per cadere nella trappola che impietosamente Tocqueville ha aperto per i suoi epigoni. Dietro il vocativo sospiroso del titolo, dietro le lusinghe alla Martin Scòrsese della foto di copertina, si nasconde — per pudore o per presunzione — la storia tenera e buffa, viva e umana di una piccola famiglia «petit-bourgeois» milanese, quella del vecchio grande Barzini. sbalzata negli Anni 20 dall'ombra di Albertini a quella di Woodrow Wilson. Nell'America di Doclorow e di Lewis, fra il tramonto del sogno titanico dei «tvventies» e l'alba della Grande Depressione, arriva Luigi Senior, «Rich Man. Poor Man» del giornalismo italiano e di poco segue la famiglia. In questa nebbia di «nostalgia» (con l'accento sulla prima «a», se volete provare il brivido della pronuncia yankee) si disegna ora con prepotenza ora con timidezza l'America invocata, ma sempre filtrata dalle piccole avventure, dagli umori, dai giudizi dei Barzini-Jordache. E più che di stantie «chiavi» calviniste o pragmatiste o kennedyane girate in ogni toppa per schiudere la «vera anima dell'America», il libro odora di ferro e di hamburgers. di mare e di Little Italy come una strada di New York. Ricorda, l'autore, il suo primo incontro con il nuovo continente, consumato in un «sodaparlour» di Long Island. mangiando gelato alla vaniglia, cosi strano, nel sapore debole, uguale e gradevole, rispetto ai violenti gelati d'Italia. E proprio come quella crema, anche il libro non ha sapori forti, non lascia «after-testes», ma ha toni gentili, freschi, perfettamente digeribili. Un lessico familiare declinato nel frastuono dell'«olivetta». cioè della ferrovia «elevated» secondo lo slang degli italo-americani, pieno di donne nuove e perciò desiderabili, di piccole ristrettezze — mentre il vecchio Barzini tentava l'impossibile trapianto della sua fame nel «Corriere d'America» — e di grandi umiliazioni riservate, ieri e oggi, ai «wop» (pronuncia «uop») come si definivano con sprezzo gli italiani, storpiando «guappo». Una giovinezza, questa che Luigi Barzini ci descrive, un po' oppressa da grandi ombre incombenti, il padre caro ma troppo famoso, il Direttore Albertini paterno e tirannico (licenziò Monelli per avere questi osato acquistare una automobile, come il direttore), la Statua della Libertà (il mostruoso «fermacarte» di Alphonse Allais). i grattacieli, le strutture della sopraelevata, i vati del giornalismo americano, infine l'America stessa. Alla fine esce — come evitarla — una visione dell'America «secondo Barzini». ma felicemente mediata dalla lontananza temporale (il libro è racchiuso negli Anni 20) dal ricordo, dalla insistita «ingenuità» del protagonista narratore, cioè Barzini. Chi ama e conosce «the U.S.» scoprirà nel libro il diario di un emigrato di lusso, finalmente senza padrini e «consigliori». Chi non conosce l'America troverà spicchi di una verità ancora troppo grande, troppo mutevole per essere detta, da chiunque, tutta d'un fiato. Vittorio Zucconi "3 SS E <