Ma la morte non è morta di Vittorio Messori

Ma la morte non è morta Un nuovo fenomeno editoriale in Francia: il boom del "tanatologo,, Ma la morte non è morta MORTE e resurrezione nella lista dei bestseller. Dio, Marx sono morti, forse. La morte, certo non è morta. Da alcuni mesi atei», la Dame Sombre è entrata in silenzio ma trionfante, come le si conviene, tra i succès de la semaine di Francia. La vie après la vie di Moody, Changer la mort di Schwartzenberg e VianssonPohté, L'homme devant la mort di Ariès si contendono inquietanti posti alti nelle classifiche. Li tallona una piccola folla di altri titoli agghiaccianti: Essai sur 1' histoire de la mort dello stesso Ariès; Les vivalits et les morts di Ziegler; L'homme et la mort di Morin; Anthropologie de la mort di Thomas, tradotto in Italia, da Garzanti Il «tanatologo», prevedono con un ghigno Les Nouvelles Littéraires, è e ancor più sarà l'esperto più corteggiato dell'editoria prossima ventura. Gongolano i nouveaux philosophes che della macabra rentrée si considerano ispiratori e padri. Maurice Clavel, l'unico tra loro che si dichiari credente, celebra il trionfo con mano non leggera; guarda addirittura aldi là della morte, all'inferno stessoJ.anciando in questi giorni tra scandali e raccapricci il suo libro sul diavolo, il satanismo Deux siècles avec Lucifere. Di Clavel, l'uomo passato in pochi anni dai pensieri di Mao al Discorso della montagna, Città Nuova propone adesso la traduzione italiana di Ce que je crois dove, nella dimenticanza della morte, è indicata la croce che potrebbe portare il marxismo classico alla tomba. Perché proprio di questo si tratta, come gli stessi neomarxisti francesi non esitano a riconoscere: forse è vero che non tutto il privato può essere ridotto al politico. Il «privato» per eccellenza, poi, come da tre secoli Blaise Pascal non si stancava di ripetere: '.Bella come vi pare questa commedia della vita. Ma alla fine, n'oublions pas, on mourra seuls». Philippe Ariès, storico e antropologo, alla fine delle settecento pagine del suo~L' homme devant la mort sembra mostrare l'attualità delle crudezze pascaliane: «Sì, siamo soli davanti alla morte. Lo siamo sempre stati, ma mai come oggi, n trapasso, un tempo, era pubblico: si scendeva nel buio circondati dai parenti, gli amici, i vicini di casa, i compaesani, la società intera. Ora si muore in ospedale, in una corsia o in una stanzetta : con accanto, semmai, medici sconosciuti, infermieri distratti, funzionari dell'impresa di turno di pompe funebri». R traffico ha cacciato persino il corteo: i furgoni cor¬ rono verso cimiteri sempre più anonimamente estesi, sempre più lontani dalla città. Le norme urbanistiche stesse esprimono il desiderio di cacciare questa peur sans paroles nella solitudine, stabilendo vincoli di chilometri tra il muro del cimitero e le case. «Ma, non illudetevi: nei millenni si è cercato ogni mezzo per esorcizzarla, domarla, rimuoverla, dimenticarla: non ha smesso di riapparire e di angosciare anche chi diceva di volerla ignorare». Ariès parla da ricercatore d'archivio, da osservatore per interposto libro. Ma avanza, implacabile, Leon Schwartzenberg, forse il maggiore dei cancerologi francesi. L'accompagna Pierre VianssonPonté, editorialista di Le Monde. I due la morte l'hanno vista in diretta, nelle corsie dove, imbottiti di morfina, i cancerosi as-peitano liberazione. Sono sedici «casi», sedici vite disperate, non aneddoti: «testimonianza quasi insostenibile», ha scritto Jean Duvignaud. E Max Gallo, in una sorta di deposizione manoscritta che, con gusto discutibile, accompagna il battage pubblicitario di Changer la mort: «Un libro da rifiutare, da respingere, da chiudere subito e che pure non si può lasciare. Spavento, male, un gruppo di terrore da qualche parte, nella pancia». Per questo dossier del cancerologo e del giornalista, come per la grande storia di Ariès, i francesi da mesi fanno la coda in libreria. «Forse — dice sull'Express Marcel Péju — stiamo scoprendo il "moriamo tutti", "la morte è un fatto naturale"; ebbene, queste sono certezze, non una soluzione». Forse per una ricerca di soluzioni tra gli altri best-seller dell 'inverno c 'è anche quelhB. vita dopo la vita che pure da noi tradotto da Mondadori, ha tenuto banco per mesi nelle classifiche? Raymond Moody, si sa, era cronista in un piccolo quotidiano della provincia americana. Per caso ascoltò il racconto di un «resuscitato», un uomo dato per morto e rianimato con certe nuove tecniche ospedaliere. Moody andò in giro, sentì molti altri, richiamati indietro dall'orlo della tenebra, forse già nella tenebra stessa. Il registratore gli restituì alla fine una scoperta sconvolgente: tutti i racconti coincidevano; a migliaia di chilometri di distanza, uomini sconosciuti gli uni agli altri narravano le stesse cose dell'«aldilà». Dicevano tutti che non c'è il «buio» ma c'è luce, c'è Qualcuno che viene incontro, più spesso sorridente, talvolta corrucciato; chedietroquelchesì tocca e si vede, passando per un misterioso buco nero, c'è «qualcosa» di cui tutti sono nostalgici dopo averla intravista. I resuscitati di Moody sperano di morire al più presto e per sempre, scongiurano che medici troppo bravi non li richiamino di nuovo indietro: «Si sta così bene, di là». Fantasie, allucinazioni, alienazioni? Forse. O forse no. Ma, osservano alcuni, non è questo che importa. Ha scritto Hans Kùng che, se l'epoca vittoriana aveva il tabù del sesso, il nostro secolo ha il tabù della morte. Per proteggerci, abbiamo inventato ogni sorta di trucchi, marchingegni, convenzioni Ma ogni epoca deve fare i conti con ciò che l'epoca precedente ha rirriosso. Il reale, e la morte è la realtà per eccellenza, non tollera a lungo di essere ignorato. Del politico, del sociale, sappiamo ormai quasi tutto, pare dicono i lettori francesi che hanno spinto i «tanatologi» ai vertici della vendita; ora, vorremmo sapere qualcosa su di noi. Noi non soltanto in quanto «masse» e «classi»; ma proprio inquanto «noi», «noi che moriremo soli». Vittorio Messori

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