I "Quaderni piacentini,, per ricordare con rabbia

I "Quaderni piacentini,, per ricordare con rabbia I "Quaderni piacentini,, per ricordare con rabbia QUADERNI PIACENTINI Antologia 1962-1968 Edizioni Gulliver, Milano 552 pagine, 5500 lire NON c'è ombra di esagerazione se si afferma che questa antologìa dei primi sette anni di attività dei Quaderni Piacentini è uno dei libri più importanti di questi ultimi anni, e questo per una prima e fondamentale ragione: che non c'è pericolo di leggerlo per capire osapere, nostalgicamente, «come eravamo» ma perché i Q. P. si impongono con analisi e interventi che sono strumenti indispensabili per sapere come siamo e soprattutto come dobbiamo agire. Produce un deciso effetto di «straniamento» la lettura di queste densissime 550 pagine: quando si alzano gli occhi dal libro si guarda alla realtà ' politica dei nostri giorni con rabbia aumentata dalla consapevolezza, dalla lucidità con cui i problemi vengono enucleati e affrontati Poiché anche il libro conserva e forse accresce questo carattere di militanza politica si può aggiungere che ci troviamo di fronte anche a una rivalutazione di questo «strumento cartaceo» a volte inutilmente contestato, almeno quando si vuole maleficamente fare di ogni erba un fascio portando acqua al mulino dell'azzeramento culturale e allora sul serio si deve parlare di nuovo fascismo, il quale conta soprattutto, come si sa, sull'espropriazione culturale di ciascuno di noi. Va da sé che il terreno su cui si è misurata e si misura la rivista è quello dei rapporti di potere e dunque politici, al centro degli scontri di classe, la cui violenza si può misurare anche dalla solerzia del lavoro di spengimen to messo in atto daipartiti della sinistra tradizionale, e rispettabile, verso i quali i Q.P. hanno sempre dedicato una straordinaria attenzione critica (e non molto importa se certe previsioni si sono rivelate false: le ragioni critiche sono ancora quelle giuste). Per questo credo di non poter condividere certi rilievi sulla totale, o quasi assenza di attenzione per le attività artistiche del periodo (c'è solo uno scritto caustico ma esatto di Claudio Olivieri che sistema Guttuso nel limbo degli illustratori) o sul senso di vuoto d'aria che provoca la latitanza di molte problematiche o discipline che hanno pure segnato i nostri anni in maniera decisiva: per esempio la linguistica... Qui si tratta di mettersi d'accordo sul che cosa ci importa di più, o anche sulpunto di vista che meglio ci sentiamo di difendere, che può anche essere quello del fare poetico, ma non possono essere cento, in un colpo solo, gli osserva torii che si vogliono occupare e le posizioni nella lotta... A parte i saggi di G. Viale sull'Universi Là (1968), di F. Ciafaloni sulle corporazioni della scienza, di C. Donolo sul movimento studentesco in Germania (1968), di Edoarda Masi sulla rivoluzione culturale cinese (1967), ' di Renato Solmi sulla va sinistra americana» (1965) che sono punti di riferimento di provata solidità, il percorso dei Q.P. riserva una serie di sorprese vitali (sorpresa per chi se n'era dimenticato o non sapeva e riscoperta di vitalità per chi sapeva o ricordava bene e ne ha una conferma di resistenza). Prima di tutto uno scritto di Franco Fortini, «Difesa del cretino», che è tra i più emozionati dei suoi interventi e ancora efficace per la critica tagliente di uno dei «vizi capitali» della classe intellettuale: lo snobismo di casta. (Ahimè, si sa che troppi intellettuali non hanno mai conosciuto direttamente il mondo del lavoro e che ne avrebbero avuto un gran bisogno). E subito dopo la paradossale attualità della rubrica «Cronaca italiana» che sembra di oggi invece che di ieri da unire agli interventi del «Franco tiratore», che sorprendono non solo per la loro efficacia politica (vedere a pag. 420 il pezzo sul processo del 21 Maggio 1967 a carico dì 12 giovani per i fatti di Bologna; scontri con la polizia in seguito a una manifestazione contro le guerra in Vietnam, dove compaiono anche i primi slogan ironici, come: «Meno scioperi e più chiese»/ ma anche per la capacità di lettura di certi episodi di cronaca del costume, cotti e il commento al caso WardProfumo, che è uno spaccato rivelatore della fondamentale ipocrisia di una società che si dice (e lo è anche) «liberale». Di «fare poesia» si parla poco nei Q.P., e a volte con un atteggiamento di distacco, di resistenza, ma ci sono alcune poesie che rimangono, che «agiscono» ancora: di Giorgio Cesarano, di Boris Vian, di Giovanni Raboni e Fernando Bandini. Notevole contributo critico rimane il saggio di Asor Rosa sul fenomeno della neo-avanguardia e qui c'è forse da aggiungere che maggiori contatti, tra i più affini, avrebbero giovato: è certo che i «se» servono a poco ma il terreno per il confronto rimane ancora lì, aperto. La rivista continua e l'attenzione per la scrittura è in crescita; contemporaneamente si ha la certezza che molti spazi si stiano, ancora una volta, richiudendo. A questo punto non c'è altra possibilità che continuare a lavorare molto e duro, come i Q.P. hanno dimostrato e dimostrano che si può, e senza autocensurare, proprio nel momento in cui questa odiosissima forma di bavaglio viene continuamente «suggerita» dalla dinamica dei rapporti politici Antonio Porta

Luoghi citati: Bologna, Germania, Milano, Vietnam