Maria Bellonci «complice» dì Lucrezia

Maria Bellonci «complice» dì Lucrezia In JLJW> oc- rittrice difen 1 t CHTfSlf Maria Bellonci «complice» dì Lucrezia Abbiamo chiesto a Maria Bellonci, autrice del libro «Lucrezia Borgia», ormai un classico, giunto alla diciottesima edizione, e tradotto in 18 Paesi, se accetterebbe di prepa-t rare un programma televisivo sul personaggio e sul mondo da lei evocato. L UCREZIA mi è amica. Fra i miei protagonisti, presenze a quando a quando avvertibili, si annuncia con un soffio fuggitivo, quasi ilare, consolante e capzioso. Mi porta ogni tanto un dono impensato: la lettera di un giovane canadese che si e fatto prete dopo averla incontrata a diciassette anni nelle pagine del mio libro (caso sconcertante nella sua singolarità), l'ennesima edizione francese, rilegata delicatamente e dedicata ai bibliofili (Editions Saint-Clair, Neuilly-sur-Seine), l'edizione del libro in Ungheria — 47.000 copie dopo le molte migliaia già pubblicate — dono di Natale del 1977. Credo che Lucrezia mi consideri una specie di complice veritiera; ma quando l'interrogo sulla nuova avventura del suo nome alla televisione francese si ritrae subitamente. E naturalmente mi ritraggo anch'io. La signora Sagan che ha sceneggiato questa storia borgiana, ha una mano molto abile come sempre ha dimostrato; ma con quale autorità potrebbe Denetrare nei sottili A a moti e nessi e nel substrato di correlazioni del Rinascimento italiano? Su questo'argomento, salvo qualche rara e celebre eccezione, i francesi, non si sa perché, si muovono male: quando non, diventano grossolani cadono in ogni sorta di luoghi comuni. Mi ricordo una paginetta di Camus su Cesare Borgia che mi fece addirittura trasecolare per la sua superficialità; e sappiamo tutti che la leggenda di Lucrezia Borgia erinni avvelenatrice la dobbiamo in gran parte agli equivoci e agli esclamativi del sommo Victor Hugo. Certo, il grande leone romantico può permettersi ogni ruggito per esprimere il suo genio; ma non si può affermare la stessa cosa per altri, compreso l'infarcito copione di oggiLa domanda di Tuttolibri mi richiama ad un esame stimolante e pungente su ciò che potrei fare dei Borgia per uno spettacolo. Nel 1963, a Venezia, Jean Viiar mi chiese una pièce su Lucrezia per il suo Teatro Popolare, e, pur esitando, dissi di sì; sentii che egli intuiva, con la sua percezione immediata come un fulmineo sondaggio, l'accento che avrebbe potuto avere la mia protagonista. Ma anche se mi balenarono soluzioni diverse e magari nuove, in quegli anni subivo un lungo periodo di crisi che mi impediva di scrivere. Poi Vilar scomparve e non pensai più al teatro anche perché certe teorie che andavano in giro non mi persuadevano. Si parlava sempre meno di testo, di parola; il binomio di Vilar «testo e attóre», pareva superato; e per me la parola è tutto. E le immagini? Voglio dire il cinema e la televisione? Con il cinema ho avuto un'avventura americana: il mio agente William Packer presentò anni or sono alla Columbia un progetto che parve entusiasmare i dirigenti; si trattava di fare un grandissimo film, forse qualche cosa di simile a Via col vento. Ma all'ultima riunione, gli «esperti del pubblico» dissero di no: la gente, affermarono, avrebbe preteso assolutamente un'avvelenatrice; in nessun modo si poteva fare a meno della coppa mortifera. In Italia dajla «Spada di Cesare Borgia» alla Lucrezia di Isa Pola e a diverse altre si ebbero spettacoli risibili; ancora in Francia, Martine Carol, donna bellissima, fu costretta ad un copione scellerato; e intanto un mio amico giornalista, corrispondente a Parigi, mi scriveva da parte di Edvige Feuillère (anche lei si era misurata con una Lucrezia non so se in cinema o in teatro) per dirmi che dopo aver letto il mio libro ella provava il bisogno di chiedermi scusa. In una mandorla E' curioso ma non troppo notare che le attrici quando interpretano Lucrezia restano sempre scostate da lei, anzi spostate come per una costante divaricazione ottica, e che i fatù nei quali agiscono non aderiscono al personaggio; risultano inerti, addirittura meccanici. E difatti Lucrezia sta da un'altra parte, in una mandorla fluttuante, isolata nel manto rosso che l'avvolge nel suo ritratto idealizzato dal Pinturic- chio alle Sale Borgia in Vatica- no. Concreta e sfuggente l'ho sentita, raccontandola nelie mie pagine e bruciando a mano a mano le scorie dei docu- menti mentre la inseguivo da presso entrando nella sua dimensione segreta. Mi sarebbe dunque possibile ripetere questa azione inventiva, ritrovare uno stile per immagini parallelo allo stile della scrittura? La risposta dipende da un clima, da un colore di offerta, da una libertà di tempo, da un patto con me stessa. E adesso, avanti con la rivelazione. Una Lucrezia Borgia appare in un mio copione televisivo già scruto e consegnato; vi abbiamo lavorato insieme con la mia collaboratrice Anna Maria Rimoaldi e con il regista Gianfranco De Bosio. E' un grosso lavoro dal titolo Rinascimento, in sette capitoli o, come dicono televisivamente, puntate. Non è lei la protagonista sebbene credo che esprima anche in quello scorcio di prospettiva la sua spietata e magnetica forza di attrazione. Le sette puntate s'incentrano in un'altra figura di donna, la più vibratile, impetuosa, geniale rappresentante di quel tempo contraddetto: Isabella d'Este, marchesa di Mantova. Isabella ha una sua grandezza che si potrebbe definire femminista. Si trova coinvolta nel tremendo dramma che vive l'Italia del suo tempo; la perdita della libertà degli stati italiani iniziata dalla calata dei francesi di Carlo VIII nel 1494 c conchiusa col frantumarsi definitivo di ogni autonomia nella dura stretta della mano imperiale di Carlo V. E al dramma politico che piega il popolo italiano alle denominazioni straniere, fa riscontro lo splendido evolversi dell'arte e della cultura umani- stica che cambiano in un rapido espandersi il mondo occidentale. Questa morte della libertà e questa forza irresistibile dello spirito che ha creato un tempo nel quale ancora stiamo vivendo, s'intrecciano in Rinascimento sul filo conduttore dei fatti privati di Isabella. Dal piccolo nucleo mantovano lei irraggia intorno lo sguardo lucido e illuminante amalgamando ogni motivo dell'esistenza. Non è affatto un'eroina astratta, tutt'altro: figlia, moglie, madre, donna, le toccano sconfitte che si mutano in vittorie e vittorie che diventano sconfitte. Nel suo cerchio ci sono tutti: Ludovico il Moro e gli Sforza, i Borgia, gli Este, i Gonzaga, papi, re impe ratori; e in rapidi interventi, l'Ariosto, il Boiardo, Pico della Mirandola, il Bembo, Leonar- do, Raffaello, il Mantegna Tiziano, Machiavelli, il Guicciardini, e donne irripetibili impegnate nelle fantasie delle ambizioni o nei fervori dei sentimenti. Questo Rinascimento non ha nulla di ornamentale né di descrittivo; è azione continua del vivere che, nel suo farsi- include dramma, tragedia, commedia. • Cultura proibita? Ho lavorato sei anni a quest'opera (per me, in ogni senso antieconomica). Il copione, approvatissimo dalla commissione intema e dalla Commissione di Vigilanza che nel 1974 lo propose per l'anno della donna, è rimasto fermo per ragioni economiche, e la fermata dura tuttora. Può darsi che le vere operazioni di cultura delle quali tanto si parla siano operazioni difficili; speriamo che non siano operazioni proibite. Mi è stato domandato più volte che cosa penso sulle relazioni fra televisione e scrittori; mi sembra questo il luogo adat¬ to per una brevissima risposta indicativa. Secondo me gli scrittori devono accogliere l'esperienza televisiva del racconto a puntate con attenzione ed umiltà: non solo per andare incontro alla grande platea cer-cando di comunicare le proprie esperienze, ma per fare esperienze nuove, sollecitate dagli interrogativi che ci si pongono a ogni momento. Che succede, per esempio, durante il passaggio dal racconto letterario al racconto per immagini, del segreto succo narrativo che nutre la scrittura? Che cosa accade nello spirito di uno scrittore quando egli stesso mette mano alla sua opera rivoltandola per adeguarla ad un me«^^\verso di espressione? 'Quar^Tiuova realtà percepisce? O non ne percepisce affatto? Chissà: simili interrogativi ed altri potrebbero condurre a risultati più nuovi e più arditi e (abbiamo il coraggio di dirlo) più umani. Forse perché, a guardare bene, non sono tanto interrogativi quanto proposte da decifrare. Maria Bellonci

Luoghi citati: Columbia, Este, Francia, Italia, Mantova, Parigi, Ungheria, Venezia