Quando i romani si divertivano con gioco dell'oca e funerali di Carlo Carena

Quando i romani si divertivano con gioco dell'oca e funerali Città bigotta e violenta nel diario settecentesco di Valesio Quando i romani si divertivano con gioco dell'oca e funerali Francesco Valesio DIARIO DI ROMA Libro primo e seconda Longanesi, Milano 2 voli, di 1520 pagine e 125 ili., 90.000 lire NELL'ANNO del Signore 1700 Roma aveva 149.447 abitanti, di cui 3916 preti, 3790 frati, 1910 monache, 277 carcerati, 487 meretrici, divisi in 81 parrocchie e con un altro numero imprecisabile di chiese e conventi dedicati a tutti i santi del calendario. Sì che, a Roma, non si parlava d'altro che di preti e cardinali, e non si faceva altro che festeggiare patroni e mandare in galera per bestemmie, oltre agli scippi e alle coltellate. Quando l'abate Francesco Valesio iniziò il suo Diario romano, per la parte almeno che ci resta, correva appunto l'anno primo del secolo diciottesimo, e in quel 9 di agosto giunse un messo all'ambasciatore francese con la notizia che sua figlia era stata uccisa dal marito ubriaco con un calcio al ventre gravido; il pomeriggio ci furono vespri solenni nella chiesa di San Lorenzo in Lucina, con esposizione di arazzi e di altre suppellettili di casa Barberini, «preziosi frutti di ventidue anni dì pontificato»; due banditi, tra i molti rifugiati nella chiesa dei Santi Apostoli, si accoltellarono fra loro; verso le sei del pomeriggio un giocatore di pallone fu assalito in una calzoleria di piazza di Spagna da cinque pistoleri che cominciarono a bastonarlo e poi fecero altrettanto col padrone della, bottega e con un passante francese che, «tratto dalla leggerezza della nazione», mise mano alla spada; la sera, un lacchè della principessa Borghese tirò una pugnalata alla gola di un altro francese che passeggiava con alcune dame; già la mattina alle dieci un cavallo che in piazza Navona frugava ira i banchi giunse dietro a un fruttivendolo che si era abbassato per sistemare un canestro dì pere, e, «postogli il capo fra le gambe, gli diede un morso nelle parti virili e strappatogli un buon pezzo dell'istrumento, non senza pregiudizio della di lui moglie e pianto delli figlioli». A questa prima giornata emblematica, ne seguirono di altrettanto pittoresche nel diario del Valesio per trentanni dal 1700 al 1711, e poi dal 1724 al 1742. L'autore, curioso umanista e storico, dalla sua casa sul Corso, davanti a San Carlo dei Lombardi, dove ora scendono, al Plaza, le dive e i potentati arabi, tra piazza di Spagna e Castel Sant'Angelo, i quar- tieri delle ambasciate e della curia e quelli del popolino intorno al Pantheon, a Sant'Agostino, e fino al Borgo e a Trastevere, annotò con una costanza sirabiiiante di tutto: queste cronache minute assieme allo svolgersi o agli echi di fatti più. grandi: le morti e le elezioni dei papi, la successione e gli scontri dei sovrani, i passaggi delle soldatesche e il rombo lontano dei Turchi, i maneggi delle corti e le alterigie dei nobili, la fatuità dei registi e dei poeti La pazienza non meno encomiabile di Gaetana Scano e di Giuseppe Graglia ci restituisce ora questo documento straordinario di storia e di vita, trascrivendo il manoscritto del Valesio conservato all'Archivio Capitolino in undici volumi, già noti agli studiosi, e divulgandoli nella pregevole collezione dei Cento Libri di Longanesi. Agli attuali due tomi (1700-1703) ne seguiranno presto altri quattro. Un testo, si direbbe, da spigolare, da sorbire per campioni, e di cui non subire le ripetizioni, non raccogliere il caduco. In realtà, la costanza del Valesio si trasmette al lettore. Anche i casi più comuni non riescono mai troppo banali; non c'è, in questo diarista, il puro pettegolezzo, e in questo abate settecentesco ben poco di fatuo, nulla di retorico. Il suo gusto gli fa velo, naturalmente, sulle «barbare e cattive» pitture del Trecento, ma pur lo tiene lontano dagli Arcadi, «compositori di freddure che servirono a temperare il caldo d'agosto» e di «fandonie poetiche». Così anche la sua posizione sociale lo fa attento e pieno di notizie e di giudizi curiali ma sempre con sprezzo per la «mera ostentazione fratina». La sua personalità talora arguta, talora pensosa, che s'intravede a squarci fra le cento e cento pagine, attrae l'attenzione o la guardia del lettore. Ma più spesso, evidentemente, è il gran teatro di Roma e, sul fondale o tra le quinte, dell'Europa, a farla da padrone. Non solo la curiosità di una nevicata il 10 di maggio, ma i ritratti ameni dei medici molieriani, dei frati pazzi, dei cocchieri furiosi, dei caporali spacconi, intercalati a talaltri episodi tragici: un principe Tassi rinchiuso in una sua torricella sopra la Trinità dei Monti a vivere fra animali «come un Nabucdonosorre. tenendo un numero grande di caprii. cervii, scimmie e papagalli, che reputa suoi vassalli, non havondo feudo di principato». Più sotto, stanno gli squarci affondati nei notturni romani, brulicanti di miserie e di misteri: «nella not¬ te precedente, essendo stato portato un bambino all'ospedale di S. Spirito, o che fosse di più giorni partorito e di grandezza tale che non potesse trapassare l'apertura della ferrata fatta e quell'effetto, o che chi portò il bambino non avesse prattica o timore, l'havevano posto sulla soglia della porta dello ospedale, onde la notte fu miserabilmente lacerato e divorato da' cani, in modo che non vi si trovò la mattina che il solo capo e parte della spalla». La fantasia di Sue e di Balzac raramente ha immaginato quanto s'immagina agevolmente sotto questa Roma settecentesca, attraversata dai cortei papali con prelati infermi di gotta e di milza, da giovani alla gogna per aver percosso un parroco iniquo, da cortigiane disfatte contese fra bettolieri, da spioni e banditori di gride spropositate e disattese. Si aggiunga, per altri interessi, che il periodo del diario del Valesio coincide con le Guerre di Successione (per ora, la spagnola), e si capirà come il ventaglio della sua documentazione comprenda ben più della Roma papalina, meschina borgata spartita fra nazionalità e milizie, dove il Papa o era un intrigante anche lui o, come Clemente XI, non faceva che versar lacrime dappertutto. I divertimenti più diffusi erano il gioco dell'oca e i funerali Carlo Carena

Luoghi citati: Castel Sant'angelo, Europa, Milano, Roma, San Carlo, Sant'agostino, Trinità