Trappola di Matapan di Giuseppe Mayda
Trappola di Matapan Trappola di Matapan Una documentazione agghiacciante sulla battaglia navale, una polemica sulla "spietata ingratitudine della patria,, P Giuliano Capriotti MORTE PER ACQUA A CAPO MATAPAN (I tre minuti fatali del 28 marzo 1941) Bompiani, Milano, 265 pagine, 1800 lire AGATA pesantemente con la perdita degli incrociatori Pola, Fiume e Zara e dei cacciatorpedinieriAIfieri e Carducci. la battaglia di Capo Matapan — combattuta nelle acque di Creta la notte del 28 marzo 1941 —fu, forse, la pagina più sfortunata e tragica della Marina italiana durante tutta la seconda guerra mondiale. Sappiamo, attraverso una lunga bibliografia sull'argomento, come purtroppo andarono le cose. Per l'insistenza degli alleati tedeschi la Hotta di Jachino aveva preso il mare verso le acque della Grecia con l'intenzione di intercettare e distruggere i convogli inglesi lungo le rotte fra l'Egitto e il Pireo ; ma quella che doveva essere una sorpresa si risolse in una terribile trappola: il nemico, attraverso la macchina «Ultra» che decifrava i messaggi di Supermarina, conobbe in anticipo le nostre mosse, venne all'attacco per primo appoggiato dall'aviazione (mentre a noi mancò l'«ombrello» della protezione aerea), colpì la Vittorio Veneto con un siluro e immobilizzò il Pola. La squadra deU'ammiraglio Cattaneo, tornata la notte stessa sui propri passi per soccorrere l'incrociatore ormai destinato all'affondamento, si trovò all'improvviso sotto il fuoco concentrato della «Mediterranean Fleet» di Cunningham che accorreva all'isola di Gaudo: devastati dalle bordate nemiche il Fiume e lo Zara colarono a picco nel giro di pochi minuti, uguale sorte toccò al Carducci e all'Alfieri, e di cinquemila marinai finiti nelle gelide acque di Capo Matapan se ne salvarono poche centinaia. Questo saggio di Capriotti, comparso da Lerici una dozzina d'anni fa e ora opportunamente ripubblicato nei «tascabili» di Bompiani, pur inquadrando esaurientemente lo scontro navale nel vasto disegno strategico delle due parti in lotta per il controllo del Mediterraneo, accentra l'indagine su che cosa accadde «dopo» la battaglia e impernia il racconto (ma non è un racconto, bensì una documentazione agghiacciante) sulle vicende del Carducci — sacrificatosi con eroica manovra per salvare due altre unità, il Gioberti e YOriani—e del suo comandante, il capitano di fregata Alberto Manlio Ginocchio, futura medaglia d'oro. Facendoci grazia, una volta tanto, di quella abusata tecnica da «Giorno più lungo» diventata ormai consueta per tanti autori. Capriotti ricostruisce i cinque tremendi giorni dei naufraghi del Carducci sulle zattere sperdute nel Mediterraneo (dai cadaveri alla deriva al gelo della notte e all'arsura del giorno, dalla fame alla séte, ai casi di pazzia: «... c'era chi scorgeva bottiglie di birra in fondo al mare, chi giurava di poter raggiungere a nuoto la costa vicinissima, chi vedeva navi all'orizzonte... Ipiù furiosi si buttarono in mare e furono recuperati finché le forze lo consentirono») e il lungo, silenzioso calvario del comandante Ginocchio per dimostrare davanti alla burocrazia militare, quasi un vero e proprio processo, che degli uomini si erano volontariamente sacrificati per gli altri uomini. Questo libro, così singolare nella scrittura e nel taglio, meritava davvero di essere ripresentato al pubblico: la sua polemica contro «Za spietata ingratitudine della patria» (a livello di documento, non di «pamphlet») è argomento piuttosto desueto nel pur vastissimo panorama della saggistica sull'ultima guerra mondiale. Giuseppe Mayda
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