Poeta nel Friuli degli emigranti
Poeta nel Friuli degli emigranti Poeta nel Friuli degli emigranti Leonardo Zanier LIBERS... DI SCUGNI LA Garzanti, Milano 160 pagine, 2800 lire IL breve libro di poesie friulane, anzi carniche. di Leonardo Zanier, pubblicato coraggiosamente da Garzanti con un'acuta introduzione di un grande dialettologo, Tullio De Mauro, in Friuli ha già una sua storia. Da noi esso è già considerato un classico della letteratura friulana. Dal '62 in qua ha avuto tre ristampe, ed ora persino un'edizione nazionale, fortuna ed onore che sono toccati soltanto a tre o quattro poeti dialettali viventi. Le poesie di Zanier hanno un indiscutibile valore letterario. Zanier sa dire le cose con un'icasticità robusta, capace di far pensare, di arrivare immediatamente al cuore del problema; sa infondere nel suo verso un ritmo iterativo e scolpito, una cadenza forte che possiede il gusto della contrapposizione, della frase secca costruita con modi ' epigrammatici, incisivi, taglienti. La sintassi poetica è semplicissima, ma concitata e drammatica. L'autore sa dare ai suoi versi una sostanza sentimentale e problematica che non è di derivazione letteraria, ma è frutto di un modo personale di aver vissuto dall'interno un problema umano di enormi dimensioni. Eppure ciò che ha sancito quasi subito l'importanza di quest'opera non è il suo pregio letterario: è il suo modo nuovo di parlare dell'eterno dramma del Friuli montanaro: l'emigrazione. Benché sia friulanissima, quella di Zanier è una poesia che rompe decisamente con il passato. Tutta la letteratura friulana, in generale, è elegiaca, dolce, fatalistica, rassegnata, dolorosamente esistenziale. La poesia dell'emigrazione (un tema del resto che non ha avuto in essa una risonanza adeguata alla vastità del problema) non fa eccezione. Sia nella poesia popolare (le celebri villotte) che in quella colta, l'emigrazione era stata vista prima di Zanier soltanto in termini di fatalità inevitabile, di triste destino sotto il quale non si poteva che chinare il capo. Pareva che il friulano, fatalista e religioso per istinto profondo, non sapesse opporre al suo dramma se non una rassegnazione dolorosa, in cui la speranza aveva connotazioni unicamente religiose. Zanier, per la prima volta, capovolge le cose, considera il problema da un'angolatura non soltanto esistenziale, ma sociologica, politica, civile e progressista. Egli indaga con la sua parola tagliente come un bisturi anche la condizione disperata dell'emigrato, la sua alienazione totale di sradicato («/ór a spiètin I e samèin apena vifs I ini di un ali pianeta I di un'aia dimension I four dal timp I e da realtàt I ombrasdioms I libers I discuignf là». «Essi aspettano/ e sembrano appena vivi / gente di un aftro pianeta / di un'altra dimensione fuori del tempo / e della realtà / ombrediuomini/liberi/didover andare»), doppiamente esule: nel paese in cui lavora, nel quale non riesce a integrarsi, e nel paese d'origine, dove torna pochi giorni all'anno tentando di recuperare una situazione umana, familiare e sociale che gli sfugge sempre di più perché muta durante le sue assenze. Ma Zanier ha ripudiato totalmente i toni dell'elegia e della semplice compassione. Lo fa con rabbia di carnico (i camici sono forse i friulani più dotati di grinta), di uomo di sinistra, stanco di rassegnarsi alla fatalità, che la suppone anzi essere soltanto la copertura del malvolere dei potenti e dei loro loschi interessi. Lo fa con una sorta di esasperazione, quasi volesse forzare l'emigrato a strappare tutti i veli e le retoriche della sua situazione, per prendere finalmente coscienza, fino in fondo, della sua condizione. V'è in Zanier la protesta. la denuncia, la ribellione e anche la speranza, il vero dio dei poveri e degli oppressi, che la situazione dell'emigrato possa mutare («no vin che jè I doprìnla I fasìnla deventà I mans I voi e rabia I e j vinzarin la poura». «Non abbiamo che essa / usiamola / facciamola diventare mani / occhi e rabbia / e vinceremo la paura»). La rabbia e la protesta di Zanier sono genuine, vissute nel profondo. Il suo attacco al potere non somiglia a quello cui siamo abituati da sette o otto anni a questa parte, che è diventato moda, vezzo, consuetudine di intellettuali marxisti di costumi borghesissimi. Ha le carte assolutamente in regola, perché risale agli anni '60-'62, e soprattutto perché Zanier ha dedicato e dedica tuttora agli emigranti e ai loro problemi tutte le sue energie e la sua intelligenza, Carlo Sgorlon
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